da il manifesto del 8 Settembre 1996
Memoria e libertà
di NICHI VENDOLA
(deputato Prc e relatore in commissione giustizia delle
proposte di legge sull'indulto)
P
ECCATO che gli argomenti seri, e anche tragici, debbano
finire sulla graticola dei luoghi comuni. Per esempio l'indulto,
e cioè un provvedimento minimo che affronti la questione del
residuo carcerario di ciò che fu il "Partito armato".
L'ineffabile Tiziana Parenti, che pure vanta attitudini
garantiste, dice che no, quell'uscio blindato non si deve
schiudere, quei 250 sepolti vivi debbono continuare ad espiare la
loro pena, perché la storia del "terrorismo" è ancora piena di
penombra, il caso Moro è una carambola di misteri, non sappiamo
ancora chi c'era dietro, chi avanti, chi a lato, chi e cosa
tramava, chi copriva, chi depistava. Torna quell'ossessione
dietrologica, lungamente coltivata a destra al centro e a
sinistra, che insegue spasmodicamente contesti cupamente
inestricabili e dettagli che riaprono continuamente il "giallo":
siamo tutti a chiederci se si sparò in quel dato giorno dal
marciapiede o dall'asfalto, chi prese la borsa, chi fittò quel
covo, chi si affacciò alla finestra, e poi che ruolo ebbero la
Cia e il Kgb e il Mossad, chi tirava i fili, e infine rotoliamo
tutti nel cui prodest d'ordinanza.
Dietrologia ossessiva
Quando si placa la febbre delle ricostruzioni esoteriche
(un po' Scotland Yard, un po' sedute spiritiche), rispunta
inesorabile la polemica sul sangue versato e sulle ferite aperte
dei parenti delle vittime, ed è tutto un grondare di lacrime
elettorali, un mercimonio indecente di memoria e sentimenti, uno
sputo in faccia a chi è vivo e a chi è morto. Riuscirà il
parlamento in carica a volare un po' più alto di certa
letteratura grandguignolesca? Riusciremo ad aprire il
dizionario delle parole che mancano su un pezzo granitico di
storia italiana? Riusciremo a coniugare, contro ogni oblio e
contro ogni vendetta, il bisogno di memoria con il
bisogno di libertà? Me lo chiedo e mi sento mancare
l'aria, perché troppe volte ci siamo illusi di aver trovato le
chiavi con cui scoperchiare la sepolcrale separatezza del
carcere, troppe volte abbiamo osato cercare il diritto e
siamo inciampati sempre nel suo rovescio, nella norma
emergenziale, nell'opportunità politica che rende prudenti e
vili, in quella pochezza e morale il cui viatico è stato la
incredibile fortuna del revisionismo storico. Eppure non c'è
rifondazione della statualità e della socialità, comunque la si
prospetti, che non rischi di pregiudicare se stessa, di
avvelenare il proprio codice genetico, se permane il rimosso (e
il rimorso) del conflitto anche armato che colpì il cuore degli
anni settanta e segnò irreparabilmente gli anni ottanta. Un
indulto naturalmente non surroga il deficit di riflessione
storico-politica, però un dibattito vero lo propone: i conti con
la stagione che riduttivamente chiamiamo "anni di piombo" sono
solo l'algebra delle pene irrogate, oppure si può chiudere per
sempre questa disumana contabilità penitenziaria, e finalmente
aprire il tempo dei rendiconti politici? La vicenda della lotta
armata, dal punto di vista di chi se ne rese protagonista, è di
una chiarezza solare: tonnellate di libri, documenti, atti
giudiziari, parole che dicono il senso e il percorso di una
scelta radicale e tragica. I misteri, i chiaroscuri, le menzogne,
le mezze verità, non stanno sulle spalle delle Br e delle altre
sigle, bensì sulla schiena ingobbita dello stato, sono la
verminosa trama di una dimensione istituzionale "doppia", di
apparati contemporaneamente al servizio della repubblica e
dell'eversione: perché devo chiedere conto a Mario Moretti di
come si comportarono i servizi segreti dopo via Fani? O si pensa
che Moretti o Gallinari fossero agenti di Cossiga?
Capro espiatorio
Oggi in carcere c'è una sparuta pattuglia di detenuti
politici: non sono lì, reclusi in saecula saeculorum, per
scontare una colpa specifica, ma sono lì per svolgere il ruolo di
"capro espiatorio" di tutti i mali della storia recente. Hanno
già scontato una carcerazione lunghissima, per anni hanno
conosciuto il rigore cimiteriale della detenzione "speciale",
furono condannati con sovrabbondanza di pena per l'aggravante del
terrorismo. Per sconfiggerli la legge fuoriuscì dall'ordinario e
si fece eccezionale. Fu emergenza. Ma esaurito il ciclo
della lotta armata, l'emergenza non fu espunta dalle nostre
giurisprudenze: anzi. L'emergenza fu cultura e senso comune e
ancora legge: contro i tossicodipendenti, contro gli stranieri,
contro ogni devianza. Come si vede il groviglio giuridico annoda
a sé questioni politiche e sociali assai scottanti. L'indulto,
oggi, non è una conquista di civiltà: è un atto di riparazione
che dobbiamo a noi stessi, alle promesse di democrazia, al
bisogno corale di uno stato di diritto. In un paese che pratica
l'amnistia per le classi dominanti e l'amnesia per le classi
subalterne, sarebbe un gesto elementare di decenza. Appunto, un
gesto di memoria e di libertà.