da "l'Unità" del 4 giugno 1995
I
Chi era questa guerriera rimasta sul campo
di una battaglia che pochi condividevano e
che oggi si preferirebbe dimenticare con il grigio, la confusione, il terrore di anni giustamente definiti "di piombo"? La storia ce la
consegna bella, minuta, fisicamente fragile,
occhi verdi e capelli neri, interiormente intransigente, determinata, fortissima. Morta
con il fucile in mano, capace di replicare al
fuoco col fuoco, coraggiosa di un coraggio
che è però stretto parente di spietatezza e follia. Un meraviglioso personaggio da romanzo, non fosse stata la posta in gioco il vero
sangue, la vera vita, la morte vera di vittime e,
qualche volta, anche degli stessi carnefici. Ragazza perbene, di "sana" educazione cattolica, un cattolicesimo esasperato nei suoi fondamenti si direbbe, mai rinnegato. Anzi, nel
'69, quando fra i suoi coetanei infuria una più
leggiadra rivolta di costumi e ci si sposa in
municipio soltanto o non ci si sposa affatto,
lei si sposa in chiesa.
Come si fa a confondere l'insegnamento
cristiano con la selvaggia pratica dei sequestri, delle rapine a mano armata, del ferro e
del fuoco? Chi lo sa, eppure non è stata Mara
Cagol l'unico esempio nella storia, né il più
eclatante, dell'integralismo cattolico, del fondamentalismo religioso che diventa alimento
e giustificazione di violenza politica. Nelle pagine del suo diario ci sono analisi dolorose
della barbarie in cui sprofondava Milano, del
decomporsi degli affetti fra le persone nella
società così detta civile. E suona sinistramente tragico che quella generosità, quel rispettabile desiderio di cambiare la società, fondarne una più giusta, punire gli oppressori per favorire gli oppressi, non abbiano trovato altra
strada per esprimersi se non il corpo a corpo
del sangue.
Sono davvero ragioni da relegare nell'insondabilità della psiche individuale o non
piuttosto da cercare anche nella totalità di
una cultura che prima ha indotto la rivolta in
alcuni suoi figli e poi l'ha estirpata con altrettanta violenza, senza mai fare conti seri, dolorosi, con se stessa? È difficile spiegare il terrorismo alle nuove generazioni, ma è anche difficile giustificare la violenza dello Stato contro
i terroristi, il carcere-dimenticatoio, il pentitismo coatto, il suicidio indotto modello tedesco. È difficile assumersi le ragioni di una società che dopo quella ferita non si è preoccupata di curarsi, ma anzi ha continuato a essere corrotta, spietata, ingiusta, invivibile come
e peggio di quella che i terroristi pretendevano di combattere.
Quando frequentava la facoltà di Sociolo
gia a Trento, Mara Cagol era una ragazza generosa e attiva, che preparava una tesi sulle
diverse fasi dello sviluppo capitalistico e intanto si impegnava con il gruppo cattolico
"Mani tese" per il Terzo mondo. Sentiva l'urgenza di dare il suo contributo per una società migliore e le sembrava sicuramente che
imbracciare un fucile fosse un dovere civile,
quasi una necessità di sopravvivenza contro
l'attacco all'intelligenza, alla libertà che vedeva incarnato nella brutta società in cui viveva.
Oggi le generazioni
più giovani sembrano
spaventate dai fucili e la parola d'ordine è tolleranza. Salvo buttare di tanto in tanto pietre
giù dai cavalcavia, la moda della tolleranza e
della solidarietà è senz'altro più quieta e rassicurante della guerriglia urbana. Ma possiamo per questo credere di vivere in una società
più civile?