Vent'anni fa, Margherita Cagol

da "l'Unità" del 4 giugno 1995


SANDRA PETRIGNANI

I L 5 GIUGNO DEL 1975 una donna di trent'anni, Margherita "Mara" Cagol, fondatrice con il marito Renato Curcio delle Brigate rosse, veniva uccisain uno scontro a fuoco dai carabinieri, ovvero dallo Stato cui aveva dichiarato guerra. Cominciava così quel capitolo insanguinato della nostra storia recente a cui si ripensa sempre con il disagio e la cattiva coscienza di conti rimasti in sospeso, di vicende non del tutto capite, di un giudizio comunque difficile, anche se ormai fin troppo scontato, quasi si potesse davvero archiviare la tremenda pagina del terrorismo una volta per tutte.
Chi era questa guerriera rimasta sul campo di una battaglia che pochi condividevano e che oggi si preferirebbe dimenticare con il grigio, la confusione, il terrore di anni giustamente definiti "di piombo"? La storia ce la consegna bella, minuta, fisicamente fragile, occhi verdi e capelli neri, interiormente intransigente, determinata, fortissima. Morta con il fucile in mano, capace di replicare al fuoco col fuoco, coraggiosa di un coraggio che è però stretto parente di spietatezza e follia. Un meraviglioso personaggio da romanzo, non fosse stata la posta in gioco il vero sangue, la vera vita, la morte vera di vittime e, qualche volta, anche degli stessi carnefici. Ragazza perbene, di "sana" educazione cattolica, un cattolicesimo esasperato nei suoi fondamenti si direbbe, mai rinnegato. Anzi, nel '69, quando fra i suoi coetanei infuria una più leggiadra rivolta di costumi e ci si sposa in municipio soltanto o non ci si sposa affatto, lei si sposa in chiesa.
Come si fa a confondere l'insegnamento cristiano con la selvaggia pratica dei sequestri, delle rapine a mano armata, del ferro e del fuoco? Chi lo sa, eppure non è stata Mara Cagol l'unico esempio nella storia, né il più eclatante, dell'integralismo cattolico, del fondamentalismo religioso che diventa alimento e giustificazione di violenza politica. Nelle pagine del suo diario ci sono analisi dolorose della barbarie in cui sprofondava Milano, del decomporsi degli affetti fra le persone nella società così detta civile. E suona sinistramente tragico che quella generosità, quel rispettabile desiderio di cambiare la società, fondarne una più giusta, punire gli oppressori per favorire gli oppressi, non abbiano trovato altra strada per esprimersi se non il corpo a corpo del sangue.
Sono davvero ragioni da relegare nell'insondabilità della psiche individuale o non piuttosto da cercare anche nella totalità di una cultura che prima ha indotto la rivolta in alcuni suoi figli e poi l'ha estirpata con altrettanta violenza, senza mai fare conti seri, dolorosi, con se stessa? È difficile spiegare il terrorismo alle nuove generazioni, ma è anche difficile giustificare la violenza dello Stato contro i terroristi, il carcere-dimenticatoio, il pentitismo coatto, il suicidio indotto modello tedesco. È difficile assumersi le ragioni di una società che dopo quella ferita non si è preoccupata di curarsi, ma anzi ha continuato a essere corrotta, spietata, ingiusta, invivibile come e peggio di quella che i terroristi pretendevano di combattere.
Quando frequentava la facoltà di Sociolo gia a Trento, Mara Cagol era una ragazza generosa e attiva, che preparava una tesi sulle diverse fasi dello sviluppo capitalistico e intanto si impegnava con il gruppo cattolico "Mani tese" per il Terzo mondo. Sentiva l'urgenza di dare il suo contributo per una società migliore e le sembrava sicuramente che imbracciare un fucile fosse un dovere civile, quasi una necessità di sopravvivenza contro l'attacco all'intelligenza, alla libertà che vedeva incarnato nella brutta società in cui viveva.
Oggi le generazioni più giovani sembrano spaventate dai fucili e la parola d'ordine è tolleranza. Salvo buttare di tanto in tanto pietre giù dai cavalcavia, la moda della tolleranza e della solidarietà è senz'altro più quieta e rassicurante della guerriglia urbana. Ma possiamo per questo credere di vivere in una società più civile?