DA
PARIGI PER L'AMNISTIA
Siamo esuli in Francia dall'inizio degli anni
Ottanta.
I governi mitterandiani ci hano accolto e ci hanno permesso
di rifarci una vita, considerando politici gli "anni di piombo" e i reati
di cui eravamo accusati. Il governo della "droite" non ha un atteggiamento
diverso.
Da anni chiediamo un provvedimento legislativo che metta fine all'efficacia
della legislazione speciale dalla quale siamo stati colpiti.
Per la prima volta
anche fra le forze politiche italiane, confusamente ma sicuramente, percepiamo la
riflessione sull'opportunità di mettere la parola fine alla repressione degli
anni di piombo. Mutamenti radicali sono intervenuti nella società europea,
nel suo tessuto sociale e politico, nei quindici-vent'anni che separano il tempo
presente da quello antichissimo dell'estremismo e del terrorismo postsessantotteschi.
In Francia noi rappresentiamo una curiosa anomalia giuridica e un residuo marginale
di cui talora non si ricorda l'origine.
Ma in Italia la situazione è mutata
ancor più profondamente, un vero e proprio cataclisma. Non è questo
sufficiente a far guardare con occhi diversi quel tempo lontano nel quale abbiamo
lottato, siamo stati sconfitti e siamo stati colpiti dalla repressione? Non è
questo sufficiente a imporre la necessità di un'amnistia? Non v'è
un'equità giuridica e democratica che, come avviene in tutti gli Stati ben
ordinati, indichi, con la fine dell'emergenza, l'abolizione delle regole straordinarie
e dei loro effetti eccezionalmente repressivi?
Ma a noi non basta fare appello al sentimento di equità. Noi vogliamo anche
ricordare che le leggi speciali, volute negli anni Settanta dal sistema dei partiti
per allontanare il giorno del declino, hanno criminalizzato le sole forme di opposizione
al regime che si siano presentate in Italia dopo la Resistenza.
E vogliamo soprattutto
far presente che oggi funziona ancora quella persecuzione infinita che in vent'anni
ha portato migliaia di militanti del movimento e della trasformazione in galera
e in esilio: funziona ancora, quando tutte le sue condizioni sono estinte. Peggio,
funziona ancora quando molte altre ragioni della rivolta sono state se non giustificate,
certo motivate dallo sviluppo della coscienza politica democratica del Paese.
E così oggi sappiamo che una parte di quel Parlamento italiano che proclamò le leggi d'emergenza è stata incriminata per concussione e furto; che centinaia di eletti e di amministratori dei partiti che si erano eretti in Comitato di salute pubblica contro gli studenti ed i lavoratori sovversivi sono rei di delitti odiosi. Ex ministri e magistrati che della lotta contro il movimento degli anni Settanta avevano fatto patto nella loro complicità criminale, sono oggi accusati di mafia.
Abbiamo inoltre ufficialmente saputo che le stragi che hanno massacrato centinaia di cittadini, dal 12 dicembre 1969 in poi, erano opera dell'azione omicida dei Servizi segreti "fedeli" o "deviati"; siamo stati informati della Gladio bianca; avvertiti dell'alleanza fra governi, mafia e altre bande criminali e che Gladio rossa accumulava armi; abbiamo appreso che il sistema dei partiti si nutriva dell'illegalità nell'esercizio della sovranità.
Chiediamo l'amnistia. Ci sembra non solo legittimo ma doveroso che nel momento
della ridefinizione delle regole del funzionamento democratico dello Stato, si decida
una soluzione definitiva dei problemi giudiziari lasciati aperti dagli anni Settanta.
È
tempo che il Paese affronti serenamente quella parte della propria storia che riguarda
i movimenti politici susseguitisi dal '68 fino agli inizi degli anni Ottanta, interrogandosi
sulle ragioni politiche che li hanno prodotti e prendendo in conto gli errori e
le responsabilità di ciascuno. Così si renderà matura la soluzione
di una situazione che, all'alba dell'Europa unita, vede un paese democratico come
l'Italia con un centinaio di detenuti politici e 250 esuli in una nazione confinante.
Non è paradossale che in un'Europa nella quale la gente gira quasi senza passaporto, l'anomalia che noi rappresentiamo non sia ancora risolta? Non sarebbe ora di farla finita con processi e pene retrospettivi e vendicativi in un'Europa nella quale neppure gli agenti della Stasi sono più perseguiti?
Ci sembra che in Italia si stiano riconsiderando alcune modalità perverse
attraverso le quali funziona il diritto. Anche a questo proposito il nostro problema
è esemplare. Sarà infatti a tutti facile riscontrare che è
proprio attraverso le legislazioni speciali antiterroristiche che il nuovo disastroso
metodo inquisitorio ha avuto origine, sia per quanto riguarda l'utilizzo improprio
della carcerazione preventiva, sia per quanto riguarda lo spezzettamento e l'eternizzazione
dei processi (alcuni di noi hanno ancora oggi processi in corso per reati eventualmente
commessi agli inizi degli anni Settanta), sia per quanto riguarda la sovradeterminazione
esemplare delle pene.
Per noi l'eccezionalità della legislazione è
diventata un destino lungo un quarto di secolo, in assenza di ogni pericolosità
sociale. Si vuol continuare così per noi e per gli altri? No. Noi crediamo
sia giunto il tempo di risolvere attraverso un atto generale di clemenza, la situazione
nella quale ci troviamo. Solo un'amnistia può correggere le diseguaglianze
introdotte nell'applicazione delle leggi dell'emergenza: nello sviluppo della repressione
giudiziaria abbiamo infatti assistito a un complesso accavallarsi di leggi e interventi
amministrativi, di utilizzazione di antichi e nuovi strumenti repressivi. Ma non
basta.
La nostra richiesta investe l'intera normativa eccezionale che il Parlamento
ha prodotto e la magistratura applicato nel periodo dell'emergenza.
Solo attraverso un'amnistia è oggi possibile restaurare condizioni elementari di vigenza dello Stato di diritto: togliendo in tal modo il pretesto a una continua produzione di mostri giuridici, imposti dalla necessità di salvare più antichi mostri, e aprendo infine la possibilità che alle domande politiche si diano risposte politiche e non solamente repressive.
Sappiamo che contro la proposta dell'amnistia si solleva un'obiezione che concerne il cosiddetto "riconoscimento politico" che sarebbe in essa insito. Ci è stato sempre facile rispondere che tale riconoscimento, quantomeno giuridico, è stato costantemente presente in ogni misura legislativa (legge Cossiga, legge sui pentiti, sulla dissociazione, ecc.) presa nei confronti dei protagonisti degli "anni di piombo". E ciò appare ancora più evidente nella proposta attuale di indulto tendente a porre rimedio agli eccessi della legislazione dell'emergenza.
Ci preme sottolineare che nella discussione intorno all'amnistia emergono anche
le giuste preoccupazioni e riserve delle persone che negli "anni di piombo"
hanno perduto familiari o comunque sono rimaste vittime della violenza. Noi non
crediamo di poter dar risposta a queste rivendicazioni, sul piano giuridico; per
quanto ne sappiamo da alcuni secoli il diritto si è spersonalizzato e distinto
dalla vendetta. La riparazione di questi lutti e di queste sofferenze deve dunque
essere decisa dallo Stato, a misura che la ridefinizione delle responsabilità
degli "anni di piombo" sia assunta dal rinnovamento democratico del Paese.
A
lato di ciò, comunque, nessuno potrà dimenticare i lutti e le sofferenze
prodotti dalle stragi di Stato, mai penalmente perseguite, e quelli dei familiari
di molti, moltissimi caduti nelle lotte sociali, operaie e proletarie degli anni
Cinquanta, Sessanta, Settanta.
Ci sia consentito infine sottolineare, per amor di verità, quanto importante sia stato, per il comportamento e il giudizio politico espresso nel corso degli anni, il contributo dato dalla comunità dei ":rifugiati politici" in Francia al superamento dell'emergenza in Italia, senza dimenticare le difficoltà e le pene che è costato a ognuno di noi l'esilio.
È ora di un'amnistia per coloro che si sono battuti, giustamente o no, per il rinnovamento dell'Italia dopo il '68.
Parigi, 1 dicembre 1995
