Sospettato di strage ed omicidio colposo a danno dei suoi operai, il
Petrolchimico della Montedison di Marghera e' da quasi due anni sotto inchiesta
da parte della procura di Venezia. Sotto accusa sono le esalazioni del
cloruro monomero di vinile (Cvm), prodotto di base per le plastiche in
policloruro di vinile (Pvc), utilizzate per imballaggi, serramenti, bottiglie
per l'acqua minerale, finta pelle, teli impermeabili. Il Pvc costituisce
il venti per cento di tutte le plastiche prodotte; da Marghera ne escono
duecentoquarantamila tonnellate l'anno, pari al quaranta per cento di tutto
il Pvc italiano. A Marghera si produce il Cvm sin dal 1952. Ma l'azienda,
che pure ha organizzato convegni e studi per promuovere la qualita' dei
suoi processi lavorativi, non si e' in realta' mai preoccupata dell'effetto
micidiale che i prodotti usati e le condizioni dell'ambiente di lavoro
hanno indotto negli operai inconsapevoli.
Eppure la pericolosita' del Cvm non e' una novita'. Non lo era nell'aprile
del 1973, quando il professor Cesare Maltoni, dell'Istituto di Oncologia
di Bologna, parlava delle sue proprieta' tossiche e cancerogene in un simposio
internazionale. E ancora prima, in ricerche effettuate in Usa ed Urss negli
anni 60 ed in una relazione, isolata e dimenticata, del dottor Viola (sanitario
alla Solvay di Rossignano, in provincia di Livorno) si era giunti alle
stesse conclusioni.
Anche lo storico dello sviluppo industriale di Marghera, Cesco Chinello,
nella sua "Storia di uno sviluppo capitalistico" del 1975, scrive: ''Taluni
impianti, anche nuovissimi, sono strutturalmente nocivi e pericolosi...
Non solo le fughe di gas attentano alla vita dei lavoratori ma anche certe
materie che vengono manipolate durante le lavorazioni... E' stata dimostrata
l'azione cancerogena del cloruro di vinile... Anche la commissione ambiente
del Petrolchimico ha rivelato che esistono altre sei morti premature sospette
da cloruro di vinile e che molti lavoratori lamentano ingrossamenti al
fegato e malattie della pelle''.
Ma Montedison non si allarma. Ed anzi, come cita lo stesso Chinello,
afferma che e' necessario ''fare ogni sforzo perche' la futura situazione
normativa in Italia tenga realisticamente conto di tutti i fattori che
consigliano una regolamentazione meno restrittiva''. In nome del ''realismo
industriale'' ricerche e relazioni vengono seppelliti, come vengono ignorati
alcuni decessi "sospetti". Muoiono infatti a Marghera e Mira due operai
per angiosarcoma epatico, un tumore raro, e si diffondono disturbi neurologici
come vertigini, cefalee, sonnolenza; e poi: alterazioni polmonari, disturbi
alla cute, difficolta' di circolazione del sangue e deformazioni alle mani
e ai piedi. Sintomi e cause non vengono connessi. Quando in fabbrica si
conoscono pero' i dati e le conclusioni del professor Maltoni, fra gli
operai si diffonde la paura. Qualcuno va di persona a Bologna e torna con
amare conferme. Rabbia e paura, ma la produzione non puo' fermarsi.
Il lavoro del Cvm avviene prevalentemente all'interno di autoclavi.
Dal 1952 fino alla fine degli anni 70, la pulizia periodica di questi ambienti
viene effettuata a mano: gli operai vengono calati all'interno delle cisterne
e gli strati di polimero (uno degli stadi di trasformazione del Cvm) attaccati
alle pareti vengono raschiati con strumenti di metallo. L'operazione viene
ripetuta ogni dieci ore di lavorazione e dura circa due ore. Due ore di
veleno inspirato a pieni polmoni.
Altro momento micidiale e' costituito dalla fase di essicamento ed
insaccamento del prodotto finito: a questo punto i lavoratori sono in mezzo
a nuvole di polvere con Cvm. E' una polvere senza odore o sapore particolare,
non irrita (nell'immediato) n‚ infastidisce: insomma, sembra uno dei prezzi
normali da pagare per un lavoro pesante.
Solo a meta' degli anni 70, dopo una serie di dure lotte sindacali, i lavoratori ottengono dall'azienda di fare effettuare ad una struttura pubblica un'indagine epidemiologica. Su millesettecentottantadue operai analizzati, tre quarti presentano disfunzioni epatiche, oltre la meta' ha danni ai polmoni. I medici dell'universita' di Padova, autori dell'indagine, scrivono: ''L'azione tossica del Cvm sull'uomo si manifesta nei seguenti quadri morbosi: rarefazione del tessuto osseo; diminuzione del numero di piastrine nel sangue; alterazioni epatiche; malattia di Raynaud (mano fredda)''. Proprio i malanni che i lavoratori hanno gia' sperimentato. Poco dopo, anche alla Usl di Rosignano si fa un'indagine, a seguito della quale, con un referendum popolare, la citta' vota "No" alla costruzione di nuovi impianti. E nel caso di Rosignano si segnala un tasso di nocivita' anche per la popolazione che vive nei dintorni delle fabbriche. Quando il pericolo delle lavorazioni non si puo' piu' negare, comincia una lunghissima fase di risanamento che dura ancora. Il tasso di presenza del prodotto inquinante nella polvere ammesso viene ridotto di anno in anno con percentuali lentamente decrescenti.
La vicenda della Montedison e' adesso nelle mani del sostituto procuratore
Felice Casson. Sono indagati i cinque direttori dello stabilimento che
si sono succeduti alla sua guida, ma anche direttori generali ed altri
dirigenti Montedison ed Enichem (subentrata nella proprieta'), nonche',
per omissione dolosa di cautele contro gli infortuni ed omicidio colposo,
sei ex presidenti e vice presidenti, fra cui Alberto Grandi, Eugenio Cefis,
Giuseppe Medici, Mario Schimberni, Tullio Torchiani. Nomi che oggi dicono
poco, ma che sono stati fra i maggiori responsabili delle scelte nella
chimica italiana del dopoguerra e che, fra l'altro, condividono la responsabilita'
di aver reso perdente questo settore industriale che, in tutto il mondo,
e' stato a lungo in attivo.
La lotta per il risanamento ambientale del Petrolchimico e la difesa,
in alcuni casi postuma, dei diritti dei lavoratori e' stata lunga ed ha
avuto protagonisti come "Medicina democratica", il Coorlach (Coordinamento
lavoratori chimici) ed il collegio di avvocati di Mestre, che affianca
i familiari delle vittime del cloruro di vinile, ma soprattutto una quasi
leggendaria figura di operaio, Gabriele Bortolozzo. ''Un aspetto mite,
quasi francescano.
Lo ricordo d'estate con la sua tuta blu e con sandali da frate talmente
fuori ordinanza che facevano incazzare il capo reparto''. Cosi' lo descrive
un suo ex compagno di lavoro al Petrolchimico, Luciano Mazzolin, ex assessore
dei Verdi alla Provincia di Venezia. ''Quello che io consideravo un sicuro
democristiano era invece un mio collega "sovversivo" e "rompiballe"''.
Solo licenza media ed esperienza di lavoro, ma Bortolozzo legge, studia,
si documenta, e' in grado di discutere della dannosita' del cloruro di
vinile anche con gli esperti. Dieci anni fa scrisse una lettera di "obiezione"
alla direzione del Petrolchimico che fu divulgata dalla stampa e dal Tg3:
''Dovere operare nei reparti dove viene trattato il Cvm mi pone nella condizione
di dichiararmi fin da questo momento e a tutti gli effetti morali e civili
obiettore di coscienza e precisamente e solamente nei confronti di lavorazioni
di sostanze chimiche riconosciute cancerogene''. Gabriele Bortolozzo fa
esposti motivati alla magistratura, scrive per la rivista "Medicina democratica",
scrive ai giornali. Ed e' proprio sulla base di un suo dossier, ritenuto
fra i piu' informati e precisi, che ha inizio, nell'estate del 1994, l'inchiesta
del magistrato veneziano.
Poco piu' di un anno dopo, il 13 settembre 95, l'operaio, ormai in
pensione, e' travolto con la sua bicicletta da un tir sulla strada di casa.
''Era sfuggito alle produzioni piu' rischiose, quelle che avevano fatto
strage di troppi suoi compagni di lavoro, uccisi dal tumore instillatogli
dentro, respiro dopo respiro... ma non al rischio quotidiano che il traffico
barbaro e invadente impone alle nostre citta''', scrive di lui lo scrittore
Gianfranco Bettin.
Il fatto che l'inchiesta prosegua non sembra pero' preoccupare l'Inail,
che non riconosce le malattie da Cvm come professionali, costringendo i
familiari delle vittime a stressanti, costosi ed umilianti ricorsi legali.
Pochi lavoratori si sono costituiti parte civile anche se, nel caso di
un lavoratore morto, il pretore di Mestre Daniela Pierobon ha condannato
l'Inail al pagamento di una rendita vitalizia alla vedova.