Storia di un crimine chimico

Paolo Rabitti
Ingegnere ed urbanista, consulente del pm Felice Casson

Venerdì 13 marzo 1998 inizierà il processo per strage e disastro colposi, avvelenamento di acque colposo ed altri reati contro alcuni dei più noti esponenti della chimica italiana. Il prosindaco di Venezia, Gianfranco Bettin, ha già detto che sarà un giudizio definitivo che avrà portata storica. La vicenda è lunga e complessa: si svolge nell'arco di quasi trent'anni e parte dai primi studi di un medico della Solvay di Rosignano, P. L. Viola, che portarono alla scoperta della cancerogenicit del cloruro di vinile monomero (Cvm), comunicata nel 1970 al congresso mondiale di Houston.

La vastità delle indagini preliminari può essere sintetizzata ricordando le decine di migliaia di documenti consultati e di pagine in atti, i 188 tra interrogatori e audizioni e le 29 perizie tecniche disposte dal pubblico ministero Felice Casson, nonché il lavoro ormai pluriennale della Guardia di Finanza e del Corpo Forestale. L'inchiesta è partita dopo la pubblicazione su "Medicina Democratica" del lavoro dell'operaio autodidatta Gabriele Bortolozzo, che, dopo aver visto morire per tumore i suoi compagni di lavoro, ha svolto un'indagine epidemiologica, evidenziando l'eccesso di mortalità per tumori tra gli operai addetti al ciclo di produzione del Pvc-Cvm. L'indagine preliminare ha accertato che Bortolozzo aveva ragione, pur con i limiti derivanti dall'essersi affidato per la raccolta dei dati alla memoria storica dei lavoratori, alle interviste dei familiari e ai compagni di lavoro.

Le varie consulenze epidemiologiche disposte dal Pm hanno dimostrato che vi è stato un aumento anomalo di vari tipi di tumore, tra i quali spicca l'altrove rarissimo angiosarcoma epatico, da 25 anni pacificamente collegato al contatto con il Cvm. I più colpiti sono gli operai che entravano nelle autoclavi per pulirle: per loro il rischio di contrarre questo tipo di tumore raggiunge l'iperbolico livello di seicento volte la frequenza attesa.Anche Bortolozzo faceva questo lavoro: nella sua squadra erano in sei, gli altri cinque sono tutti morti di tumore, lui invece è morto poco tempo fa, investito da un Tir mentre tornava a casa in bicicletta.

Le responsabilità verranno accertate durante il processo, ma già l'indagine preliminare ha stabilito alcuni punti fermi che opportuno elencare per evitare polveroni: si è letto, ad esempio, che la nocività del Cvm sarebbe stata nota alle istituzioni a partire dal 1987. Invece è stato nel '72 che l'oncologo professor Maltoni ha informato il mondo scientifico e i produttori di Pvc della cancerogenicità del Cvm, secondo i risultati di ricerche finanziate proprio da Montedison. Solo tre anni dopo, nel '75, furono messi in funzione in alcuni reparti gli impianti di rilevazione delle concentrazioni nell'aria di questo gas, che, come per miracolo, improvvisamente scesero a picco. Infatti, contrariamente alle richieste del sindacato, allo strumento di misura non arrivavano campioni d'aria di un singolo posto di lavoro, ma di una zona che poteva comprendere oltre sei punti di prelievo sparsi su una lunghezza di un centinaio di metri, una specie di cocktail.Una verifica effettuata dai periti nell'estate '96 ha dimostrato, dopo vent'anni che funziona, l'inadeguatezza del sistema di rilevazione, che non risulta essere mai stato controllato da Usl o predecessori.

In alcuni reparti il problema proprio non si poneva: va ancora segnalato - scrive Casson nella richiesta di rinvio a giudizio - come ancor meno tutela e ancor meno garanzie degli altri abbiano avuto gli operai dipendenti da cooperative che lavoravano in appalto presso lo stabilimento petrolchimico, con le gravi conseguenze che si ricavano dalle relazioni dei consulenti medici, quasi che i dipendenti delle ditte d'appalto, addetti ai lavori più umili e rischiosi, fossero vera e propria "carne da macello". Inspiegabilmente, le zone in cui lavorava soprattutto questa categoria di lavoratori erano (come quella dell'insacco) addirittura fuori della zona considerata a rischio e, quindi, in una zona che era praticamente esclusa da ogni seppur minima tutela.

Negli anni '70 le emissioni in atmosfera di Cvm si aggiravano intorno ai diecimila chilogrammi/giorno, con le conseguenze che è facile immaginare per la popolazione. Valutazioni dell'azienda stimano emissioni di 800 tonnellate/anno nel 1989, ridotte a 8 nel '93. Oltre all'inquinamento cronico (ad esempio le diossine trovate recentemente nello scarico SM12), vi è l'enorme problema ambientale dei milioni di tonnellate di rifiuti speciali e tossico-nocivi, smaltiti abusivamente in una ventina di discariche incontrollate interne ed esterne all'azienda. L'eliporto di Raul Gardini (antico proprietario di Montedison, poi suicida, ndr.), per esempio, una volta era un laghetto, riempito fino a metà degli anni '80 con rifiuti tossico-nocivi, a diretto contatto con la falda. Solo all'interno dell'Enichem la Forestale ha rinvenuto 340 mila metri cubi di rifiuti contaminati da ammine aromatiche, solventi organici aromatici, Pcb, metalli pesanti e così via.

In previsione della joint-venture con Enimont, venne incaricata la American Appraisal (1988) di valutare lo stato degli impianti. In tre settimane la società espresse le valutazioni richieste, raccomandando anche un'indagine più approfondita sui terreni interni agli stabilimenti Enichem e Montedison utilizzati in passato per lo smaltimento dei rifiuti, onde accertare eventuali pericoli di contaminazione delle falde sottostanti e segnalando possibili problemi economici e di responsabilità civile e penale per i futuri proprietari delle aree. Vennero evidenziate anche le alte concentrazioni di inquinanti emesse dagli impianti del Cvm-Pvc e cloruro di benzile.

Queste considerazioni vennero cancellate dal rapporto finale del 21 ottobre '88 su indicazione dei vertici tecnici Enichem e Montedison impegnati nelle trattative, scrive Casson, che conclude così la sua prima richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Cefis, Necci, Schimberni ecc.Ancor più agghiacciante, pur non essendo strabiliante, è considerare come i "cordoni della borsa" siano sempre rimasti ben stretti, quando si trattava di investimenti e di spese necessarie a garantire la sicurezza dei lavoratori e delle persone esterne alla fabbrica; mentre non altrettanto ben stretti sono stati tali cordoni, quando si è trattato di gestire fondi societari "in nero" o per tangenti, come emerge pure dagli atti acquisiti presso l'autorità giudiziaria di Milano. Il riferimento al "tangentone" Enimont è evidente.

Nel 1971, l'Istituto "Regina Elena" di Roma segnalò al ministero della sanità che il cloruro di vinile, cioè il monomero capostipite di tutte le plastiche poliviniliche, è un oncogeno a elevatissima potenzialità, notizia riportata anche da l'Unità del 2 marzo '71. Per avere una legge che tutelasse i lavoratori ci sono voluti undici anni; Casson si è chiesto perché questa segnalazione sia stata insabbiata ed ha predisposto indagini in merito, ancora in corso.

Da queste sintetiche note si può apprezzare la complessità della vicenda, che a Venezia si è conclusa in un processo grazie alla generosa testardaggine di Gabriele Bortolozzo ed alla presenza di un magistrato come Felice Casson; ci si chiede ora se, negli altri stabilimenti italiani del ciclo del cloro e, specialmente, del Cvm-Pvc, non sia successo niente.


da il manifesto del 20.11.97