Marce europee contro la disoccupazione, il precariato, l'esclusione sociale

Una rete senza frontiere

Ritornati tutti in Italia i partecipanti alla marcia per il lavoro ad Amsterdam. E An presenta un'interrogazione parlamentare. Ma i partecipanti ai due treni speciali pensano già al futuro e alla loro scommessa per una Europa solidale

BENEDETTO VECCHI -

F INALMENTE I DUE TRENI sono in Italia. Ma questa è notizia già vecchia, perché gli organizzatori della "marcia per il lavoro" ad Amsterdam hanno appreso, appena giunti domenica notte alla stazione centrale di Milano che tre giovani erano ancora in stato di fermo nella città olandese. E ieri i telefoni del console italiano ad Amsterdam, della Farnesina, delle autorità olandesi e di alcuni deputati di Rifondazione comunista hanno continuato a squillare per sbloccare la situazione. Alla fine, uno spiraglio: i tre giovani (uno di Imperia e due di Bologna) erano attesi ieri sera provenienti dall'Olanda con un aereo di linea.

Ma come la statua di Giano, c'è anche il lato oscuro di questa vicenda, cioè l'interrogazione di Alleanza nazionale sui due treni speciali per Amsterdam e sulla presenza della scorsa settimana alla camera dei deputati di Luca Casarin, leader del "Melting dei centri sociali del nord-est", in occasione di una conferenza stampa organizzata la scorsa settimana dal deputato verde Paolo Cento. Secca la risposta del segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti: "An dovrebbe interrogarsi sul perché migliaia di persone sono andate ad Amsterdam". Per Paolo Cento, "in Italia esiste un movimento alternativo o antagonista che vuol trasformare la realtà. E in questo suo o obiettivo non pone preclusioni al confronto con chi, nelle istituzioni, è interessato ai loro discorsi. Forse è questo il fatto che ad Alleanza nazionale dà fastidio. Ma loro sono rimasti al passato. Sono più interessati alle voci dei danni ad uno dei vagoni dei treni per Amsterdam che al sequestro di centinaia di giovani operato dalle polizie olandese e tedesca".

Epico ritorno

L'ultima frase di Paolo Cento riporta indietro le lancette dell'orologio, cioè a quelle 23 ore del viaggio di ritorno dei due treni speciali per la marcia sul lavoro. Un ritorno che ha il sapore dell'epica, almeno per chi era nei vagoni. Poca acqua, nessuna possibilità di scendere alle stazioni per comprare da mangiare e da bere. In più, la minaccia della polizia tedesca prima e svizzera poi di fermare il treno per una perquisizione. In Germania la polizia è salita. Una presenza contradditoria, si può dire, che in alcuni casi ha cercato di contrastare, a sua volta contrastata, "l'antiproibizionismo militante" di molti giovani, altre volte si è limitata a un distratto: "No smoke marijuana".

Più i due treni macinavano chilometri, più la stanchezza cresceva. Ad ogni stazione, stessa scena: nessuno può scendere. Su uno dei due treni, una voce romana improvvisa una "radio ferroviaria pirata", usando l'interfono. L'improvvisato dj manda canzoni da un scalcinato registratore che ha le pile quasi scariche e informa sull'andamento del viaggio e dei contatti tra i due treni e il Leoncavallo, che ha organizzato una conferenza stampa per controbattere la versione di molti giornali dei fatti ad Amsterdam. Ma i telefonini hanno le batterie scariche e non ci sono prese per ricaricarle.

Colonia, Friburgo, Basilea, Bellinzona, Lugano, Chiasso. Di nuovo in Italia, e l'arrivo a Milano è salutato da un lungo applauso dai giovani del Leoncavallo, in stazione ad accogliere i "reduci" da Amsterdam. Poi i due treni si sperano, uno diretto a Sud, l'altro verso il Nord-est.

La manifestazione di Amsterdam è considerata da molti uno spartiacque, tra l'ondata neoliberista e una fase nuova che si è aperta in Europa. A tutti è balzato agli occhi quell'incontro, avvenuto nella città olandese, tra la sinistra tradizionale e l'arcipelago di associazioni e gruppi di base cresciuto in questi ultimi dieci anni. Un arcipelago che spesso ha provato a innovare l'agire politico, misurandosi con un problema non da poco: l'allargamento dei diritti sociali di cittadinanza in una Europa dove la disoccupazione ha raggiunto cifre impressionanti. Venendo sempre più a mancare la base materiale (il lavoro) di quei diritti, come sviluppare una politica che faccia della cittadinanza il suo grimaldello per contrastare l'"Europa dei banchieri"? Una domanda da cifre a sei zeri. Ed è per questo che l'innovazione politica e culturale rimane il nodo che si vuol sciogliere. Anzi è il tema all'ordine del giorno da ora in poi.

E non è poco che questa sia la posta in gioco scelta da un'area politica spesso rappresentata sulla carta stampata come l'ultima, indesiderata eredità degli anni Settanta. Sta di fatto che una scelta quest'area l'ha fatta: l'Europa è lo spazio politico commisurato alle trasformazioni produttive e sociali degli ultimi anni, senza per questo dimenticare la dimensione locale. Per Guido del Corto circuito di Roma "il vertice di Amsterdam potrà mettere anche la clausola per l'occupazione. Ma i diversi governi nazionali continuano a fare gli stessi discorsi di sempre: flessibilità del mercato del lavoro e demolizione dello stato sociale. Non hanno capito - aggiunge - che la disoccupazione è strutturale e che produce esclusione. Quello che serve è un reddito di cittadinanza che consenta a tutti di vivere degnamente".

Un bene scarso

Già, il lavoro che diventa "un bene scarso". Eppure in Europa qualcuno ha provato a indicare una strada percorribile, partendo dalla constatazione dei limiti politici che la riduzione dell'orario di lavoro, il no-profit o il reddito di cittadinanza hanno incontrato quando sono state presentate come risposte di ingegneria istituzionale e non come espressione di un conflitto sociale. Ma forse quello che scrivevano nel loro documento trentacinque intellettuali europei ha visto ad Amsterdam una "prima verifica di massa": l'Europa delle banche centrali e delle compatibilità economiche può essere contrastata costruendo un "contesto comune" per culture politiche e esperienze tra loro differenti, ma consapevoli, ognuna, della propria parzialità. E se qualcuno cerca la "ricomposizione", dovrà usare le armi della politica e non del richiamo alla fedeltà alla linea.

"Noi vogliamo parlare alla società civile, senza per questo rinunciare alla nostra identità radicale, e perché no sovversiva", commenta Luchino di Roma. Parlare a tutti, quindi, senza nessuna preclusione. E se si vuol usare una metafora molto abusata in questi tempi, Amsterdam ha visto scendere in campo una rete che comprende realtà sì organizzate, ma anche persone che qualificano la loro presenza nelle istituzioni come punto di incontro tra la "società civile" e un sistema politico autoreferenziale, come nel caso di Rifondazione comunista e altri parlamentari. "Ci piace la guerra di movimento, portando scompiglio nel campo avversario", aggiunge sorridendo Guido. "Un po' come fanno gli zapatisti - interviene Luca Casarini - nel Chiapas. I treni per Amsterdam sono stati anche questo, la nostra discesa dalle montagne per affermare i nostri desideri di libertà. Per questo, abbiamo passato le frontiere senza mostrare documenti. Perché siamo tutti sans papiers. Abbiamo scelto il treno perché vogliamo attraversare liberamente le frontiere ed essere presenti in tutti i luoghi dove si decidono i nostri destini".


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