Carcere di Rebibbia Roma 10/9/97
Compagni e compagne, amiche ed amici
Questo
nostro paese veneto é ricco e la sua ricchezza é stata prodotta da una comune imprenditorialità. Gli eroi di questa trasformazione produttiva non sono certo solamente i padroni e i padroncini che oggi la vantano: sono tutti i lavoratori veneti, tutti coloro che hanno messo al servizio del comune, fatica ed intellettualità, forza-lavoro e forza-invenzione; essi hanno investito ed accumulato professionalità e cooperazione in reti comuni, attraverso le quali l'intera vita delle popolazioni é divenuta produttiva.
Chi
ricorda il Veneto degli anni '50 e '60 sa quanto sia costato questo sforzo collettivo di trasformazione: quanta miseria e quanta lotta, quanta obbedienza e quanta ribellione. Questo non é un popolo di formichine industriose e bigotte. E' una moltitudine che ha sempre lottato in successive ondate, prima contro la schiavitù contadina attraverso l'emigrazione, poi contro lo sfruttamento capitalistico costituendosi in classe operaia, infine contro il lavoro salariato costruendosi come imprenditorialità comune. Oggi il cammino della modernizzazione é ben terminato. Man mano tuttavia che questa nuova realtà del lavoro si sviluppava come imprenditorialità comune, essa é giunta a scontrarsi, all'esterno, con la politica nazionale, con le sue regole di rappresentanza, con le sue procedure amministrative e le inesattezze fiscali. D'altra parte, al suo interno, essa giunge a scontrarsi con le contraddizioni dello sviluppo e deve affrontare l'emergere di nuove segmentazioni e diseguaglianze economiche e politiche, fra i cittadini produttori. Entrambe queste crisi hanno effetti distruttivi sulla natura del modello di sviluppo e della forma di cittadinanza - e vanno quindi insieme combattute, nello stesso tempo ed in egual misura. Federalismo e nuovo welfare son dispositivi atti a contrastare questi effetti negativi. Federalismo e quindi autogoverno locale, riappropriazione dell'amministrazione da parte dei cittadini-lavoratori, nuove forme di rappresentanza, democrazia della fiscalità. Nuovo welfare, e quindi nuove modalità di assistenza e di previdenza, nuovi servizi alle persone ed alle famiglie, reinvenzione della formazione (scolastica e permanente) e innanzi tutto reddito universale di cittadinanza - riforme dunque che rispondano - tutte e ciascuna - alle necessità di una società nella quale vita e produzione si ricoprono. Federalismo e nuovo welfare sono dunque politiche che vanno insieme, indissolubilmente legate per consolidare la base comune del nostro modo di produrre. Come si può pretendere che, nelle condizioni venete, il nuovo welfare non sia il prodotto di una democrazia di partecipazione? O che il federalismo sia l'ultima trovata per escludere, ancora una volta, i cittadini lavoratori dalle decisioni sulle condizioni sociali della produzioni? V'é chi si oppone a una fondazione federalista dell'imprenditorialità politica del comune. Sono da un lato coloro che, abbracciati ai privilegi delle corporazioni fordiste del capitalismo tradizionale, non vogliono riconoscere la singolarità dello sviluppo produttivo del veneto; sono dall'altro coloro che, sotto la bandiera della secessione, pervertono i sacrosanti bisogni di autonomia di questa società produttiva. Entrambi riprivatizzano ciò é diventato comune. Ai primi va detto che flessibilità e mobilità della forza-lavoro (per non parlare di quella dell'intellettualità di massa) sono irreversibili; il problema non è quello di opporsi alla nuova organizzazione del lavoro ma quello di garantire il salario e la libertà del lavoratore postfordista. La nuova organizzazione del lavoro esige meno welfare corporativo e più, molto più welfare costitutivo - costitutivo di quel comune che è base del modo di produrre (scuola e formazione permanente, servizi familiari per le donne che lavorano, asili ed assistenza ai bambini, trasporti, reti di comunicazione ecc.).Meno "rottamazione" e più vita. E' finita, è finita è per sempre l'epoca della contrattazione fra big government, big business e big labour. D'ora in poi saranno possibili solo "contratti sociali" a base federalista che tocchino le grandi dimensioni della ripartizione della fiscalità e del reddito. Ai secessionisti va detto che la loro politica sequestra nell'egoismo più arcaico la passione produttiva dell'imprenditorialità comune e ne castra alla base la potenza espansiva, ne espelle innovazione ed intellettualità, alleva una razza svizzera brutale e bigotta - sicché non è bizzarro che già ora i leghisti volentieri scivolino nel razzismo ed accennino a rigurgiti fascisti. Altro che secessione! Noi abbiamo bisogno di abbattere tutte le frontiere, quelle che accerchiano le regioni, quelle ormai ridicole che pretendono di definire gli stati-nazione, quelle che ostacolano i commerci. E nello stesso tempo abbiamo bisogno di potere, per impedire ai poteri che si mascherano dietro il mercato mondiale di schiacciare dentro cicli finanziari sempre più da noi incontrollabili e da operazioni speculative irresistibili. Ora solo un'Europa politica, economica e sociale, una forte unione di questo spazio, possono configurare la mediazione degli interessi espansivi del nuovo modo di produrre e delle urgenti necessità di resistenza al potere delle corporazioni finanziarie mondiali. Solo l'Europa è uno spazio adeguato alla costituzione federalista del comune.
Ma
poiché siamo qui riuniti a sinistra, raccontiamoci anche i nostri limiti e, com'era nelle migliori tradizioni riconosciamo anche la nostra parte di responsabilità nella gravità di quello che sta avvenendo. Perché solo ora ci riconosciamo federalisti? Perché da vent'anni almeno, piuttosto di sostenere abbiamo intralciato lo sviluppo delle autonomie produttive? Perché non siamo riusciti da subito ad identificare le caratteristiche del nuovo modo di produrre? Perché non siamo riusciti ad inventare un sindacalismo della "fabbrica diffusa"? Perché sui problemi della fiscalità abbiamo sempre avuto posizioni moralistiche e punitive? Perché abbiamo subito la costruzione del comune produttivo come si trattasse di un nemico, invece di anticiparne lo sviluppo e di poterne così rappresentare le articolazioni ed i bisogni? Eppure vi sono stati strati della cultura politica della sinistra veneta che da vent'anni avevano compreso queste dinamiche e vi operavano dentro: essi sono stati repressi e quando sono riusciti, con grande vitalità, a sopravvivere, si sono riprodotti come "esiliati dell'interno".
Bene,
questa manifestazione, attraverso le forme che l'organizzano, mostra che infine un indulto è stato proclamato per questi "esiliati dell'interno". E' ora di farlo anche per gli "esiliati dell'esterno" e per coloro che combattono ancora dal carcere. In ogni caso, senza recriminazioni, da ora si tratta di andare avanti uniti.	Si tratta di reinventare e di sperimentare il programma della nuova sinistra dal basso, da quella situazione eccezionale (ma eccezionalmente gravida di pericolo) che è il nostro Veneto. Il lavoro è qui cambiato: la soggettività ha qui oggi, di nuovo, il suo "laboratorio". Viva l'autonomia.