il manifesto 04.09.1997

Novità a sinistra. Una specie è in evoluzione

Come un buon numero di centri sociali sono arrivati a co-promuovere la manifestazione antileghista di Venezia del 13 settembre. Quali avvenimenti hanno provocato il rapido passaggio dalla "resistenza" degli anni ottanta ai "progetti" di oggi. E quali interlocutori e quali risposte queste forme originali della politica hanno trovato a sinistra. Le opinioni di militanti di centri di Roma, di Milano e del nord-est. Tutti impegnatissimi, in questi giorni, a far partire treni

PIERLUIGI SULLO - ROMA

C ENTRI SOCIALI? C'è da scommettere che, a rivolgere questa domanda a un medio militante della sinistra o del sindacato, si otterrebbero risposte oscillanti tra la simpatia e anche no, sulla base di un'immagine dei centri sociali pencolante a sua volta tra l'idea che si tratti degli ultimi bunker dell'"autonomia" anni settanta e, all'opposto, luoghi di svago creativo, che con la politica non c'entrano un gran che. Forse tutte queste cose sono vere, ma sono anche false, e non tengono conto del tempo, ossia dell'evoluzione di ogni specie, anche dei duecento centri sociali che ci sono in Italia (all'incirca, un censimento non esiste), una trentina o forse più a Roma, probabilmente una ventina a Milano, e poi il nord-est, da Padova a Trieste, passando per Venezia, Treviso eccetera, e ancora Genova e Imperia, Brescia e la Toscana, Napoli e Torino, e così via.

Vi sono differenze grandissime, tra gli uni e gli altri; in comune l'atto di nascita, ossia l'essere luoghi di ricreazione (in tutti i sensi di questa parola) sociale, a partire da una fabbrica, una caserma o una scuola abbandonate e occupate, e possibilmente in quei quartieri in cui la sezione del Pci chiuse tanto tempo fa. "E' stata l'epoca della resistenza - è la spiegazione ad esempio di Guido Lutrario, del "Corto circuito" di Roma - in cui hanno convissuto culture diverse, quella legata all'esperienza degli anni settanta, dell'antagonismo di classe, e quella dell'autoproduzione, soprattutto culturale, dell'autogestione, l'esperienza di comunità in grado di autoregolarsi. Poi nel '91 ci fu un convegno, a Napoli, intitolato 'Dalla resistenza al progetto', in cui secondo me s'è aperta un'epoca nuova".

Basta col "nemico interno"

I centri sociali, o almeno un buon numero di essi, oggi promuovono la manifestazione "nazionale ed europea" di Venezia, insieme a tanti altri. Vuol dire che i centri sono usciti dal bunker? Luca Casarini, di Padova, è quello che dopo gli scontri davanti all'aula bunker di Mestre, al processo contro i Serenissimi, in uno slancio di entusiasmo disse a tutti i giornalisti: "Noi non siamo più comunisti". Adesso spiega: "E' un fatto oggettivo che tutta la sinistra è in crisi, no? E in questa situazione c'è chi, tra i centri sociali ma anche altrove, sceglie la vecchia tradizione del nemico interno, a cui dare tutta la colpa, e chi invece prende di petto il problema. E' solo avendo la febbre che si generano gli anticorpi. Così, noi abbiamo girato e rigirato la minestra degli anni settanta, per tutti gli ottanta, e poi sono accadute alcune cose che ci hanno spinto a guardare in faccia il nuovo". "Sono successe tre cose - elenca Sandro Marucci, de "La strada" di Roma - Prima la manifestazione di Pisa per Sofri, Bompressi e Pietrostefani, in cui abbiamo avuto la sensazione che dovessimo 'liberare' gli anni settanta, per potercene anche liberare. Poi Amsterdam, che ci ha fatto vedere il campo del conflitto, l'Europa. Adesso Venezia, che ci trasmette la sensazione del legame tra l'agire nel locale, proprio per ricostruire una trama sociale e democratica che possa combattere ad esempio il secessionismo, e il globale". "Non c'è dubbio - sostiene Luca - che abbia agito potentemente su di noi anche il segnale che viene dal Chiapas, dagli zapatisti. Sai, credo che la cosa principale che abbiamo imparato è che è finito il modo tradizionale della sinistra di guardare a se stessa, come a qualcosa che deve allargare la propria base, assorbire quel che c'è attorno. E invece il metodo zapatista, che non è la linea, suggerisce di andare oltre se stessi, di costruire altre cose con altri diversi da sé". "E infatti la prima cosa 'nazionale' che abbiamo fatto - dice Federico Mariani, del "Corto circuito" di Roma - è stata l'Associazione Ya basta!, a sostegno dei ribelli del Chiapas, in cui per la prima volta hanno cominciato a discutere centri sociali molto diversi tra loro, e a discutere di cose da fare".

Il risultato di questa rapida evoluzione è quello che ad esempio descrive Francesco Purpura del "Leoncavallo" di Milano: "E' che paradossalmente ora riusciamo ad avere un buon rapporto con Rfondazione perché ci sentiamo più autonomi. E anche questa storia della vertenza con la giunta Albertini, che ha fatto tanto scalpore, mostra che non abbiamo più bisogno delle mediazioni altrui, proprio grazie al fatto che non ci interessa più essere 'puri e duri' a parole". Come dice Guido di Roma, alludendo alla discussione spesso spigolosa che questa evoluzione ha causato nei e tra i centri sociali, "ci sono quelli che sono legati a vecchie cose, all'essere 'a sinistra' di Rifondazione, come se fosse l'ex Pci. E invece - aggiunge - credo che noi abbiamo la possibilità di mettere, nel conflitto per uno stato sociale europeo rinnovato, una cosa decisiva, ovvero la capacità di riorganizzare la società, di rivolgerci agli esclusi sempre più numerosi, in particolare in rapporto con l'associazionismo". E, comunque, appunto, la svolta non ha toccato tutti i centri sociali. "Secondo me - dice ancora Guido - la parte più grossa è ancora quella incerta, e forse un po' sonnolenta, che non fa ancora il passo oltre la soglia. Però Amsterdam ha significato molto, e molti saranno a Venezia". "Noi stiamo facendo una specie di tour, per centri sociali milanesi - racconta Francesco del "Leo" - Abbiamo detto: noi facciamo questa cosa a Venezia. Chi è interessato a discuterne lo dica. Qualcuno non ci ha proprio risposto, ma molti sì. Non dobbiamo far votare la linea, e chi non vuole saperne, pazienza".

Con chi parlare, a sinistra?

E gli altri, gli interlocutori, la sinistra? Chi hanno trovato, i centri sociali, quando hanno deciso di interloquire? Hanno trovato Rifondazione comunista, naturalmente. Ha loro fatto molta impressione, ad esempio, un'affermazione di Bertinotti, segretario del partito, alla recente conferenza d'organizzazione di Chianciano: per "mordere" la società, ha detto, i circoli del partito doveno essere come i centri sociali. Bertinotti alludeva appunto alla disgregazione sociale, all'indebolimento delle classi di riferimento dei comunisti. Così, l'interesse è stato ricambiato e un incontro è avvenuto, ai primi di luglio, tra il segretario del Prc e alcuni rappresentanti di centri sociali: uno degli effetti di questo dialogo è la manifestazione del 13 a Venezia.

Ma localmente le cose sono spesso più complicate. Dice Francesco del "Leoncavallo": "L'impressione è che in Rifondazione ci siano diverse anime, dipende chi trovi, c'è chi guarda ai movimenti in modo diciamo così 'integrativo', cioè come a cose da assorbire nel partito". "Eppure - sostiene Sandro de "La strada" - Rifondazione ha bisogno di noi, per reinventarsi una militanza nel territorio, come appunto dice Bertinotti". Palpabile è però l'imbarazzo dei romani, impegnati a inventarsi una presenza "da società civile organizzata", come dicono, nelle elezioni romane prossime, e incerti sulla misura del coinvolgimento con una Rifondazione alleata con Rutelli, "che peraltro abbiamo contribuito a eleggere in modo determinante, nel ballottaggio con Fini", è il promemoria di Guido.

E poi hanno trovato il manifesto, i centri sociali, "che, guarda, è il giornale più letto", dice Federico del "Corto" di Roma. Ma? "Potenzialmente ha un ruolo straordinario - dice Luca di Padova - quello di 'spazio pubblico', espressione che solo ora apprezzo davvero. Diciamo, se fossimo tutti uniti sul metodo". "Sulla necessità di ricerca", come dice Guido di Roma. "E invece mi spaventa la sensazione che il manifesto non sempre colga questa opportunità". "Io qualche volta penso che il giornale assomiglia a un centro sociale", ridacchia Guido. "E che qualcuno continui a vederci solo come la continuazione degli anni settanta", dice Sandro. "E invece potete essere il punto di incrocio, in una storia che è solo alle prime righe", conclude Federico.


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