Il Manifesto -13 Settembre 1997
26 APRILE
PIERLUIGI
SULLO
C HE NE DIRESTE se qualcuno sostenesse che oggi, nonostante le apparenze climatiche, è il 26 aprile? Un matto, commentereste. Eppure, in un certo senso, ci sono buoni motivi per far cadere il calendario in questa confusione.
Alcuni anni fa, nella primavera del '94, una sinistra smarrita e sconfitta stava per assistere al giuramento di un governo di fascisti, di leghisti e di berlusconiani, quando questo giornale propose una "manifestazione mai vista", e fu un diluvio, metereologico e politico, trecentomila persone per le strade di Milano a rivendicare l'origine antifascista della Repubblica. E quel governo di destre, non ancora nato, cominciò a morire. Facemmo la resistenza, quel giorno, in ogni possibile senso che questa parola nobile contiene.
Oggi a Venezia succederà qualcosa di assolutamente inedito, cui questo giornale ha nuovamente contribuito. Accade che il secessionismo, trionfante nel senso comune delle regioni del nord-est e che ha fin qui corso per piazze e strade come su praterie libere di ostacoli, ha finalmente trovato un avversario in grado di contrastarlo, forse di batterlo. E' questa sensazione che sta facendo impazzire i dirigenti della Lega, che sommergono le giornate veneziane e la manifestazione di oggi di insulti di ogni tipo, fuori misura e inutili.
L'avversario che il secessionismo si trova di fronte è una sinistra sociale finalmente consapevole di ciò che fa la forza dei seguaci di Bossi, e, dunque, di ciò che si deve essere e fare per smontare la nazione-incubo, la "Padania". Abbiamo capito, ciascuno a suo modo ma insieme -centri sociali e Rifondazione, Arci e associazionismo diffuso, Verdi e ambientalisti e pacifisti e molti sindaci e sindacati -che ciò che può fare inciampare i leghisti è il ridare una speranza alla democrazia. E che per fare questo, nel mondo com'è oggi, si deve andare oltre a molto di quel che ha fatto della sinistra il lievito del secolo che si sta chiudendo.
La democrazia di oggi è combattere praticamente il vandalismo economico -e il secessionismo ne è l'effetto estremo - che devasta la società, esclude e impoverisce, taglia fuori dai diritti e riduce a una condizione servile parti crescenti della società europea; e che per di più esige dal mondo più povero il prezzo insostenibile dell'inutilità di - letteralmente - miliardi di esseri umani. Dunque si tratta di suturare la socialità strappata, di ristabilire la protezione e la cooperazione, il rispetto per la natura, la colloquialità, il tempo degli affetti, l'irriducibilità dell'umano all'economia.
Quella di oggi non è solo una manifestazione antisecessionista, o antirazzista, o un corteo di sinistra. E' l'emersione di un movimento pienamente sociale, che vuole proporre - a tutti - insieme autogoverno e un orizzonte largo, largo quanto lo è il mondo: perché se è vero che una manovra di borsa a Tokyo può mettere sul lastrico dei lavoratori a Brescia, è vero anche che il grano di sabbia che gli zapatisti messicani hanno messo nella Maastricht nordamericana, il Nafta, aiuta noi europei.
Ma che qualcosa di nuovo stia avvenendo, alla fine, lo dimostra oltre ogni dubbio il clima ottimista, di cooperazione reciproca, persino allegro che si respira nei luoghi dove si prepara il grande corteo di oggi: è quel che hanno ben intuito i moltissimi sindacalisti del nord che, per aiutare se stessi nel difficile appuntamento del 20, hanno solidarizzato con il 13. E' come se tutti stessimo dicendo a tutti: benvenuti nell'Europa sociale e nella democrazia rinnovata, benvenuti nella sinistra futura.