Liberazione - 14 settembre 1997

L'ESERCITO DEI SOGNATORI

Fuori, alle 9 del mattino, è il deserto dei Tartari. Un bar e un'edicola non li trovi neanche a pagarli oro. Dentro ci sono colori e rumore: musica, striscioni e manifesti. Dentro c'è soprattutto - visibile, palpabile - una condizione sociale che fa a pezzi, più di qualunque parola d'ordine, ogni tentativo di divisione, di scissione. Le ragazze e i ragazzi dei centri sociali hanno animato, al palazzo dello sport di Mestre, tre giorni di "mobilitazione e lotta" in una cornice in cui alla grande la fanno Internet e il Subcomandante Marcos: i suoi occhi, ingigantiti, circondati dal cappuccio scuro, sovrastano la scritta "Federalismo, stato sociale, Europa".
Di questo si discute, assieme a Bertinotti, Massimo Cacciari, Massimo Scalia, Gigi Sullo, Franco Piperno, Beppe Caccia. Un talk show, più che una tavola rotonda, condotto da Luca Casarini e da "un'esercito di sognatori", come hanno scritto a caratteri giganti le ragazze e i ragazzi che stanno li ad ascoltare e intervenire. C'è molto che unisce assieme a differenze, spezzoni di storie irriducibili. Quello che unisce è un nodo vero, di fondo: la consapevolezza degli interessi forti della circolazione di quattrini, della ferocia con cui i padroncini del nord est stanno massacrando diritti civili e condizioni del lavoro muovendosi per fare manbassa di quelle tre parole: Federalismo, stato sociale, Europa.
A due passi da qui c'è il petrolchimico di Porto Marghera. Nell'ultimo mese, tra quelle gru e quei fumi che si fondono con il cielo grigio, ci hanno lasciato la pelle 4 operai. Un'impennata di quel bilancio tragico (4 e mezzo al giorno) che sono gli omicidi bianchi sul lavoro.
Quest'esercito di sognatori, Rifondazione Comunista, Verdi, Manifesto si daranno appuntamento, alla fine del dibattito a Roma, per una grande manifestazione sullo stato sociale. E questo sarà soprattutto l'oggetto della discussione: in ombra sin dall'inizio Europa e Federalismo, si sa, dallo stato sociale dipende il carattere della costruzione europea. Quello che unisce gli interlocutori del dibattito e la platea è proprio la dimensione europea. Nessuno ha voglia di lasciarsela scippare dai potentati e dalle logiche di Maastricht e di Schengen. Per Cacciari non è detto che essa soffra la sfida della competizione, ma piuttosto quella di una grave carenza democratica. Per Bertinotti siamo oltre: la carenza democratica è insita nella competizione e l'Europa è perduta se di quella continua a nutrirsi. Da cui la necessità della riforma dello stato sociale.
Riforma è una parola che con il passare degli anni ha acquisito un connotato negativo. Riforma pensionistica fu chiamata quella di Dini. Andando indietro nella memoria, perfino la cancellazione della scala mobile fu tentata inizialmente in nome di una riforma del salario. Eppure la riforma si farà, lo esigono la dimensione europea e i cambiamenti che attraversano la società e il lavoro. Si farà perché lo stato sociale di oggi, conquistato negli anni con le lotte operaie, poggiava sulla piena occupazione e oggi la disoccupazione è di massa. Non è una disoccupazione "oggettiva", avverte Bertinotti, ma anche soprattutto "attesa costruita durante gli anni 80, nella ristrutturazione che investì la gran parte dell'apparato produttivo, giocata per dividere salariati e generazioni, in un tentativo di azzeramento dello stato sociale del tutto funzionale alla globalizzazione. Dietro l'angolo c'è il modello statunitense, niente stato sociale, giusto un'assistenza per i miserabili. Lo stato sociale diventa, nell'Europa di Maastricht, un grande affare da spartire. Anche in questa occasione emergono pur attenuate le due sinistre. Quella di Bertinotti che si trova un filo privilegiato, una consonanza con le ragazze e i ragazzi dei centri sociali (in nome dell'Europa anti Maastricht, di una riforma che non abbandona la resistenza perché, afferma tra gli applausi, non si fa nessuna riforma se si cancellano le pensioni di anzianità); quella di Cacciari che vuole evitare l'imbuto autoritario e resistere sul terreno democratico attraverso un Federalismo europeo. Unico modo, secondo il sindaco di Venezia, per evitare che il processo di globalizzazione sia sradicamento, omologazione nell'"economico" di ogni tendenza alternativa. Il Federalismo, per Cacciari, è parte integrante dello stato sociale e insieme l'antidoto contro i meccanismi dell'amministrazione centrale che lo frenano, lo burocratizzano, lo rendono ostile ai cittadini. Il centralismo insomma, nemico dello stato sociale, dice allo stesso modo della Bundesbank.
Un filo sottile , tra i due, che appare spesso fragile, compromesso nel teso botta e risposta, come quando Cacciari se la prende con gli stipendi nella pubblica amministrazione e Bertinotti gli chiede: ma nel tuo comune quanto guadagna un'impiegato a livello minimo? Un milione e trecentomila risponde il sindaco, ma a parte questo, la media è ben più alta rispetto al settore privato. E se Cacciari conviene sui rischi che indica Bertinotti, meno lo fa sui paletti che mette il segretario di Rifondazione. Lo fa anche intelligentemente, chiamando a testimonianza la politica del pre-Maastricht, quando "i politici massacravano in deficit i consumi, massacrando insieme le opportunità delle future generazioni". Consumi, sottolinea Bertinotti, e che non si nasconda nulla di equivoco o non detto dietro questa parola, perché a lui, di fronte alla disoccupazione galoppante, all'estensione delle povertà, del deficit non importa proprio niente, anzi che deficit sia in quel caso: fa bene alla salute e allo stato della democrazia.