il manifesto 20 settembre 1997

TUTTO IN COMUNE

GIANFRANCO BETTIN

L A SINISTRA, i democratici, i federalisti, tutti coloro che non sopportano l'uso e l'abuso che la Lega ha fatto della protesta e del disagio del nord, tutti coloro che si oppongono a una frantumazione dell'Italia che altro non sarebbe se non la creazione di uno staterello centralista - pervaso da una ideologia e da una pratica selvaggiamente liberiste, fondate sull'esclusione sociale e sull'intolleranza - tutti costoro, finalmente, si sono ripresi le piazze e l'iniziativa, anche nel nord, anche nel cuore stesso del territorio a più alta densità leghista.

Già eletta capitale della simbologia e delle velleità secessioniste e indipendentiste, Venezia è tornata, più naturalmente, a essere il centro della mobilitazione democratica. Qui sono venuti Romano Prodi e molti suoi ministri a render conto di quanto il governo ha fatto per rispondere a talune esigenze di modernizzazione delle procedure e della natura stessa delle strutture istituzionali. Qui l'Ulivo è chiamato a rispondere della sua capacità di riformare radicalmente il paese e lo stato: attraverso il lavoro della Bicamerale, certo, ma anche attraverso una mobilitazione di risorse, intelligenze, progetti che non si può esaurire soltanto nell'ambito istituzionale. Qui la sinistra ha rimesso in movimento e portato in piazza una vitalità per taluni inattesa, sabato scorso, al corteo promosso da Rifondazione comunista, dai Verdi, dai centri sociali, dall'Arci, dal manifesto e da un fitto arcipelago di gruppi e associazioni che hanno riempito Campo Santo Stefano di una folla che ha fatto sfigurare quella, leghista, del giorno dopo (che era la metà scarsa).

Oggi, qui e a Milano - sottratta anch'essa almeno per un giorno al ruolo di capitale della Lega e della destra - il sindacato porterà un'altra grande folla, a ribadire che il tempo del monopolio della piazza da parte della Lega è finito.

Cosa resterà, alla fine di questo ciclo di iniziative, di tanta presenza? Dove verrà giocata la forza che è scesa in campo? Se queste energie venissero spese soltanto sul piano di una risposta "di piazza", d'immagine, verrebbero sottoutilizzate. In realtà, esse esprimono un complesso di tensioni, di obiettivi. Esprimono certamente il rifiuto di ogni intolleranza, di ogni deriva neorazzista, di ogni velleità secessionista. Ma chiedono anche, e con forza, una trasformazione dell'esistente. Chiedono una dislocazione nuova degli assetti istituzionali, del potere: un ridispiegamento in direzione della comunità locale.

Più poteri, più risorse, ma anche, naturalmente, più responsabilità. Questo è il federalismo che i democratici, che la sinistra del nordest chiedono. Non la mera difesa dello stato di cose presenti, tantomeno la difesa dello stato italiano così com'è. Se molti riflettono oggi sulla necessità di difendere l'unità del paese e l'integrità dello stato dall'assalto secessionista è anche perché colgono la possibilità di ripensarlo, di rifondarlo con un nuovo patto, su basi di maggiore equità oltre che di maggior partecipazione.

E' per questo che, sul piano istituzionale, è soprattutto a un federalismo anche municipale che si guarda. Mentre si teme, di converso, una riforma che ponga al centro soprattutto le regioni, spesso già oggi autoritarie senza essere autorevoli, dispensatrici arbitrarie di risorse che non hanno nemmeno l'onere di raccogliere attraverso la leva fiscale, potenti senza essere responsabili.

Un federalismo che esasperasse questi tratti patologici, già ora presenti e sofferti in primo luogo dai comuni - cioè dagli enti davvero in prima linea, davvero interni alle comunità locali - lascerebbe assai delusi moltissimi degli attuali protagonisti della mobilitazione antisecessionista. Come pure un federalismo che non si coniugasse a una politica di promozione e di tutela sociale, che non interferisse positivamente con la riforma dello stato sociale e con l'estensione stessa dei diritti di cittadinanza, a cominciare da quelli dei cittadini immigrati finora privi dei diritti più elementari. Solo restando all'altezza di tutte queste ragioni la mobilitazione antisecessionista potrà conservare il suo carattere così ampio, così forte, così nuovo.