12 settembre 1997 h: 17
INTERVENTO
YVON LE BOT
PRESENTAZIONE
DI BEPPE CACCIA
Questa
assemblea, di tutte le realtà del meeting, intende discutere il significato e l'organizzazione pratica organizzativa delle iniziative politiche dei prossimi due giorni.
Io dò inizio subito a questo incontro che abbiamo programmato con Yvon le Bot, autore de "il sogno zapatista" e ricercatore per Centro Nazionale delle Ricerche Francese che ha seguito fin dall'inizio già dal primo gennaio 1994 la rivolta zapatista in Chiapas segue ormai da anni decenni dell'america latina e poi del Messico in particolare. E' autore di questo libro "il sogno zapatista" è una lunga intervista che ricostruisce e approfondisce i nodi con l'aspetto di minor interesse dal punto propagandistico, ma con un maggior interesse dal punto di vista politico i veri nodi, i veri elementi di contraddizione che l'esperienza zapatista ha proposto e continua a proporre e ad aprire.
Con Yvon Le Bot abbiamo voluto dare titolo alla discussione di oggi sul suo libro alle comunità in lotta per l'autogoverno (l'esperienza del Chiapas).Vorremmo quindi dedicare lo spazio della discussione con lui affrontando gli elementi di maggiore interesse, anche per la nostra esperienza europea, anche per la nostra esperienza nel nord, di questo pianeta che il percorso apertosi, dal punto di vista pubblico, al mondo il primo gennaio 1994 ma cresciuto e che lievitato dentro la Selva Lacandona per più di 10 anni nei confronti della nostra realtà.
Abbiamo detto più volte che l'esperienza zapatista non è un nuovo santino da citare in testa ai cortei. L'immagine col passamontagna non é una nuova mitologia di cui noi abbiamo bisogno perchè se no non riusciamo a riconoscerci e a riconoscere la nostra identità, non è nemmeno un modello inteso in senso classico cui riferirci, è piuttosto un esperienza con cui è fondamentale entrare in comunicazione per valorizzare nelle differenze quegli elementi di apertura, su un terreno di innovazione politica che l'esperienza messicana ci propone. E lo propone proprio sul terreno del rapporto tra la nuova dimensione dei processi di globalizzazione e la dimensione locale, é forse questo il punto di maggiore interesse. La ricostruzione che é stata fatta in dieci anni di lavoro all'interno delle comunità indigene di una identità forte radicata territorialmente nella propria dimensione locale ma che al tempo stesso ha la capacità di aprirsi all'universale: di aprirsi ai territori apparentemente senza barriere del globale e di lanciare un messaggio che ha un carattere universale e parla un linguaggio immediatamente comprensibile a tutti, che ci permette di tornare a parlare di utopia, di futuro e di valori quali giustizia-libertà-eguaglianza.
Questi elementi di rapporto tra locale e globale che l'esperienza zapatista suggerisce e valorizza come ricchezza nell'apertura, nel meticciato, nella contaminazione sono per noi forse il punto da cui partiamo in questa chiacchierata con Yvon Le Bot, che farà un introduzione sui temi e la questione dell'autogoverno.
YVON LE BOT
Prima
di entrare nei temi di questo dibattito farò qualche parola di introduzione, in modo che chi fosse interessato a seguire il dibattito possa avvicinarsi.
Mentre parliamo si sta svolgendo in Messico un avvenimento estremamente importante, la marcia dei popoli indigeni sta raggiungendo la piazza centrale di tutto il paese.
Per introdurre i temi di questa marcia che sta raggiungendo il centro del paese, partirò come nella tradizione con un piccolo racconto. Il Racconto di un piccolo venditore di giornali, che ha il problema che essendo molto povero non riesce a procurarsi i giornali nuovi.
La gente non comprava questi giornali perchè erano troppo vecchi e non voleva leggere giornali vecchi. Così il piccolo venditore di giornali non riusciva a vendere niente e giorno dopo giorno accumulava sempre più vecchi giornali.
Vista la situazione il piccolo venditore di giornali decise di piantare un impresa per riciclare la carta, e partendo da questo piccolo capitale di vecchi giornali diventò multimiliardario. Comprò così tutte le imprese che stampavano giornali e riviste. Dal controllo totale sulla stampa vietò la pubblicazione di notizie attuali, obbligando la gente a leggere soltanto notizie del passato. Nei giornali che sono in vendita oggi si può leggere che gli zapatisti stanno per arrivare a città del Messico, e incontreranno le divisioni di Pancho Villa, ma non si legge bene la data che può sembrare 1914 o 1997.
Chi conosce un po' il Messico comprende questo punto di vista di Marcos.
Nel settembre 96, qualche settimana dopo l'incontro intergalattico, in una lettera a Marcos suggerivo che il secondo incontro intergalattico previsto in Europa accadesse a Venezia, e non sono stato l'unico ad avere questa idea. Ho ricevuto da Marcos la risposta che vi leggerò, datata 12 ottobre 96, un data anche questa non indifferente.
Questa idea di Venezia non è una cattiva idea, ci assicurerà un pretesto per il prevedibile naufragio delle discussioni. Apparentemente il progetto non è piaciuto a tutto il mondo e l'incontro è stato realizzato altrove senza la scusa della laguna. L'idea che ci fosse qualcosa di comune tra il sogno zapatista e quello di Venezia ha continuato a percorrere la sua strada e i contatto si sono ora moltiplicati.
Qualcosa forse sta nascendo qui una nuova solidarietà che non é fondata sulla colpa o sulla compassione dell'uomo bianco e non è intaccata dal paternalismo.
Lo scambio di idee e di esperienza che non si a in eguale a quello che é stato nel quadro del terzomondismo oggi defunto. La migliore solidarietà con lo zapatismo è quella dei movimenti che facciano eco allo zapatismo, che abbiano delle corrispondenze e delle risonanze.
Credo che lo spirito di questo incontro vada in questa direzione, si tratta di trovare una nuova relazione tra sociale e polittico e questo è il senso anche dell'invito degli zapatisti qui.
Entrerò ora nel tema sul quale mi è stato richiesto di intervenire, ed è il rapporto tra locale e globale nel quadro dello zapatismo o più precisamente, il rapporto tra locale-regionale-nazionale e globale dal punto di vista dello zapatismo.La forza dagli zapatisti è quelle di essersi collegati contemporaneamente su tutti questi piani, se fossero rimasti soltanto sul terreno etnico ed identitario avrebbero perso e al tempo avrebbero bisogno di avere un eco internazionale.
Ci sono molti modi di affrontare questo problema della differenza e molteplicità di piani, io lo affronterò dal punto di vista dell'autonomia e dell'autogoverno.La questione dell'autonomia e dell'autogoverno è una questione difficile che é stata a lungo tempo evitata, ma sono convinto che in questo momento é la questione centrale ed è quella, non a caso, su cui i negoziati tra gli zapatisti ed il governo si sono arenati. Voi sapete che nel 1994 dopo l'insurrezione zapatista si sono aperti i negoziati tra governo ed esercito zapatista.
Le trattative hanno avuto alti e bassi ed in conclusione si sono arenate da più di un anno, dal settembre scorso, per iniziativa degli zapatisti che denunciavano la mancata applicazione del primo accordo precedentemente raggiunto.
Tra le questioni che sono state messe sul tavolo delle trattative, la prima era la questione dei diritti e della cultura delle comunità indigene. Su questa questione gli zapatisti si sono aperti a tutte le persone che potevano avere qualcosa da dire, non si sono posti immediatamente con una idea con una ricetta dogmatica o preconfezionata, le proposte che hanno fatto sono state il frutto di lunghe discussioni e dibattiti. Nel Febbraio 1997 si è arrivati a degli accordi grazie ad un doppio metodo, da una parte la discussione continua e dall'altra l'intervento di mediatori che erano interessati ad una conclusione positiva della trattativa.
Che cosa c'è dentro questi accordi, che si chiamano - accordi di Sant'Andreis- dal nome del posto dove si è svolta la negoziazione.
Innanzitutto un'importante dichiarazione di principio, quella del diritto degli indigeni all'autonomia e all'autodeterminazione. Ora questi principi devono essere tradotti in modifiche della legge costituzionale. Quindi ora è il potere legislativo -il parlamento o il potere esecutivo- la presidenza, che devono, giocare il loro ruolo e dare una risposta ai principi annunciati.
Dal punto di vista della traduzione politico-giuridica di questi principi, sono cominciate le prime difficoltà tra cui al primo punto c'è la richiesta zapatista della ridefinizione delle municipalità.
Quello che gli zapatisti chiedono ricalca l'esempio della Bolivia dove c'è stata una ridefinizione dei municipi per andare a ricalcare la struttura originaria delle comunità indigene. Quindi passare da una struttura verticale di decisione amministrativa ad una struttura controllata dalla base.
Si tratta essenzialmente di una definizione nuova di tipo territoriale; quello che le comunità indigene chiedono non è di andare ad una ridefinizione etnica dei municipi, né di andare a costituire delle comunità etnicamente omogenee, ma di andare a ridefinire degli spazi territoriali.
Il secondo punto di conflitto con il governo è stato quello delle risorse naturali. Il Chiapas è un paese dalla popolazione molto povera pur essendo assai ricco di risorse naturali. E' il primo paese del Messico per la produzione idroelettrica, il sottosuolo è ricco di petrolio e di importanti giacimenti di uranio. Da questo punto di vista la questione dell'autonomia e dell'autogoverno si pone in maniera estremamente concreta, non è una questione astratta ma ha a che fare con il controllo dello sfruttamento di queste risorse naturali.
E' importante sottolineare che il movimento zapatista non è un movimento separatista o indipendentista. Gli zapatisti sono gelosi della loro appartenenza alla nazione messicana, che non viene messa in discussione dallo zapatismo.
La questione è piuttosto nella ricerca del luogo possono occupare le comunità indigene, ovvero l'espressione politica delle popolazioni indigene, nel quadro della nazione. Una Nazione che si sta rapportando con i processi di globalizzazione.
Gli zapatisti con queste posizioni hanno provocato un dibattito anche all'interno della stessa sinistra dove non tutti sono d'accordo con queste posizioni, rispetto ad alcuni punti che illustrerò. C'è un famoso scrittore, molto noto nella sinistra messicana, che sostiene la seguente posizione: "L'autonomia delle comunità indigene è pericolosa ed è pericolosa perché si rischia di rafforzare l'attitudine all'autoritarismo, al sessismo al machismo, all'esclusione delle donne dai processi decisionali e anche una sorta di fondamentalismo religioso." C'è stato un articolo sulla Jornada (il corrispondente H.Havilesse è qui sta scrivendo sul Meeting di Venezia per la Jornada che è il giornale più coraggioso del Messico) firmato da Roger Bartrà (un noto marxista messicano) dal titolo la violenza indigena, che metteva in discussione il principio dell'autonomia. Inoltre nello stesso articolo veniva denunciato il pericolo che possa passare il concetto di apartheid attraverso la concessione e il riconoscimento dell'autonomia.
Molti nella sinistra messicana pensano che la concessione dell'autonomia porti ad una sorta di sviluppo separato sul modello dell'apartheid, ovvero un sottosviluppo separato. Dall'altra parte ci sono invece molte posizioni all'interno della sinistra, tra cui le posizioni di molti marxisti, che fanno invece l'elogio della democrazia delle comunità.
Altri si spingono oltre, dicono che la democrazia all'interno delle comunità indigene è un modello di democrazia diretta, perché vige il principio del consenso (perciò le decisioni si prendono dopo lunghe discussioni e sulla base del convincimento di tutti e del consenso intorno alle decisioni stese) e perché le autorità sono sottomesse alla popolazione e non viceversa. Questo principio si traduce in uno slogan che gli zapatisti usano frequentemente: "Comandare - obbedendo"
E' anche vero che non sempre funziona così e ci sono degli abusi del comandare obbedendo, ed è stata aperta una discussione per capire se questi abusi sono frutto di un intervento esterno sulla vita e la cultura delle comunità, oppure se questo è un problema interno o preesistente nelle comunità prima del processo di colonizzazione. Anche nel libro intervista che ho realizzato lo stesso Sub Comandante Marcos prende le distanze da una definizione che io definirei di tipo comunitarista.Marcos dice che fino al gennaio 1994, gli stessi indigeni membri dell'esercito zapatista non si rendevano conto che il problema della decisione politica, è molto diverso in una società aperta rispetto alla presa di posizione politica all'interno di una comunità.
In una società complessa non è possibile sospendere la presa di una decisione fino a quando l'ultimo dei cittadini non sia convinto della giustezza di questa decisione, sarebbe addirittura pericoloso farlo perché, in questo modo il consenso è un'altra forma di autoritarismo, un'altra forma di fondamentalismo. Si deve tener conto delle differenze, dei differenti punti di vista, dei conflitti di interesse e il significato delle regole democratiche che permetta il rispetto delle minoranze. Il problema della democrazia non è quello di annullare i conflitti ma anzi quello di stimolarli per permettere che essi si esprimano. Non si tratta di entrare in tutti i problemi che questi aspetti sollevano, ma di vedere quegli aspetti giuridico politici connessi con la rivendicazione dell'autonomia.
Non credo che gli zapatisti abbiano già una risposta precisa alla questione delle autonomie, sono fortemente interessati a tutte le esperienze che ci sono state, anche in Europa, hanno studiato con un certo interesse il modello di sviluppo delle autonomie. Ma il problema dell'autonomia si pone differentemente all'interno di uno stato nazionale in Europa rispetto alle comunità indigene.
Gli zapatisti non intendono tornare ad una concezione di comunità chiuse e che l'insieme delle questioni da me illustrate sono già superate dai nuovi conflitti che si sviluppano all'interno delle comunità e tra l'interno e l'esterno delle stesse. Per quanto non pensi che gli zapatisti abbiano una visione chiara e definitiva della loro concezione delle autonomie, penso comunque di poter fissare alcuni punti precisi.
Il primo punto riguarda il riconoscimento della pluralità dei punti di vista e quindi della possibilità dell'esistenza di conflitti tra visioni differenti e non ci può essere democrazia senza conflitto sociale.
Il secondo punto è la necessità di deliberare e di arrivare ad una decisione.
Il terzo punto è la necessità di democratizzare la società nazionale come condizione per promuovere lo sviluppo di una democrazia comunitaria; non ci può essere democrazia comunitaria senza un quadro di garanzie democratiche nella società, si riprodurrebbe soltanto un meccanismo di comunità chiusa. E sta portando all'eguaglianza sociale dal punto di vista dei diritti per le donne.
L'ultimo punto che mi sento di segnalare è la necessità di combinare senza fonderli la dimensione politica con quella sociale e quindi questo permetterebbe di evitare da una parte un laicismo che è soltanto una eredità del secolo dei lumi -dell'illuminismo- un universalismo astratto, e dall'altra parte di evitare però al tempo stesso ogni fondamentalismo etnico e religioso.
Concludo riassumendo le questioni che io credo fondamentali che gli zapatisti pongono e che ci interessano tutti perché sono le questioni fondamentali per la politica del ns. tempo. Come è possibile vivere insieme mantenendo le proprie differenze? Come è possibile conciliare identità e democrazia? Come articolare il rapporto tram comunità e nazione? Come assicurarsi che l'autonomia rafforzi la democrazie e non il contrario? Quindi che non produca dipendenza, non produca discriminazione e non produca forme di marginalizzazione? Come combinare autonomia e solidarietà? Queste sono le domande che gli zapatisti ci pongono.
Grazzzzzzie