25 marzo 1996
Questo è un problema che non abbiamo solo noi, ma se lo pongono tutti, compresi gli studiosi che dibattono dentro "il manifesto" (Rossanda, ecc.); siamo arrivati a concepire la globalizzazione, il postfordismo. Ormai tutta una serie di cose che sembravano astratte - i nuovi paradigmi, il nuovo modello produttivo, ecc. - vengono assunte oggi (in alcuni casi, purtroppo, come moda) un pò da tutti, mentre fino a qualche anno fa si discuteva ancora se la classe operaia era centrale oppure no, se la forma d'organizzazione in rete fosse una cosa da sperimentare oppure in realtà eravamo ancora fermi ad un concetto di forza politica. Cioé stavamo ancora discutendo se è legittimo o meno assumere la resistenza come elemento strategico di organizzazione sociale. Abbiamo sperimentato convenzioni, coordinamenti, riunioni in cui compagni tentavano di trovare soluzioni... ma in realtà non ci sono soluzioni lineari! Perché, come abbiamo detto, il problema è che i nodi sono nodi contraddittori, sono nodi che si inseriscono in un concetto di tempo e spazio non-lineare e non-determinista.
Questa cosa non è una cazzata! Quando assumiamo la teoria del caos anche sulla dinamica sociale in termini di paradigmi nuovi, in realtà cambia tutto! Noi abbiamo tentato di dirlo in anticipo: non è stato capito, in parte è stato capito poco. Adesso noto che non ci sono più velleità per costruire forme resistenziali, forme di coordinamenti, di convenzioni, di forze politiche. Prevedo che ci sarà un periodo in cui si passerà dall'esaltazione della continuità della memoria storica, dalla resistenza dei paradigmi vecchi - comunismo, ideologia comunista - all'opposto; avremo un'esaltazione del "non c'è più niente da fare, la frammentazione è un dato assoluto"... siamo già passati al discorso "non bisogna puntare sulla pratica ma è importante puntare sulla teoria"... l'ho letto su un documento di convocazione di un'assemblea a Bologna... assurdo! E sono le stesse componenti che polemizzavano quando si diceva che non era più possibile soltanto fare le cose ma che bisognava mettersi a capire che il mondo si trasformava, a capire i processi ristrutturativi che erano in corso, i paradigmi nuovi, ecc.... Abbiamo subìto la chiusura della comunicazione perché volevamo mettere in discussione la continuità storica, la memoria storica, la "continuità dell'Autonomia", il primato delle lotte e della resistenza, il primato della classe operaia, il primato del comunismo come ideologia, mentre noi propovenamo "perché non diciamo che vogliamo costruire un movimento che trasforma lo stato di cose presenti e poi vediamo come si definisce e che tipo di sintesi ha?". Ché non ci basta definirci comunisti/autonomi, perché non è più sufficiente, perché in realtà nel termine "comunismo" c'è tutto... merda e dati eroici e mitici, utopie e merda, tragedie e cose gloriose! Quando abbiamo bisogno di aggettivare il termine "comunismo" - perché dobbiamo sempre dire "comunismo critico, libertario" o parlare di "veri comunisti contro falsi comunisti"- vuol dire che qualcosa non funziona. Però c'è qualcosa di nuovo: la convinzione che qualcosa andava cambiato... rotto una volta per tutte, per ricominciare a riflettere con la propria testa cercando di capire nuovi percorsi. Adesso siamo arrivati al punto che tutti si sono convinti che è così! Però, se sono convinti, secondo rischiano di essere convinti in maniera sbagliata, perché come sempre assolutizzano l'altro dato...
Adesso leggo che bisogna soltanto studiare, analizzare, che non serve il primato della pratica, che intando bisogna mettersi insieme per capire come riusciamo a costruire... che cosa? I processi di liberazione? Ci mettiamo a tavolino e capiamo come si costruisce una società multietnica, come si costruisce dentro l'abbattimento degli stati-nazione una dinamica di comunità solidali? Ci mettiamo a tavolino per studiare i percorsi di questo tipo? Siamo all'assurdo! Spero ci sia buon senso... l'intelligenza per capire!
In realtà, al di là di queste difficoltà, possiamo dire che - e questo vale per noi che già da quattro anni abbiamo discusso di cose che altri discutono adesso - siamo di fronte al fatto che dobbiamo superare quello che abbiamo già discusso, nel senso che le cose che abbiamo affermato (postfordismo, globalizzazione, la mancanza di centralità, la presenza di una dinamica di frammentazione) sono già da superare perché non hanno risolto, per noi, il nodo del problema: riuscire a capire su che cosa e in che modo si possono dare nuovi processi antagonisti massificati, che abbiano il concetto della transizione non come ideologia ma come utopia concreta.
Questo è un altro grosso problema perché, come sempre, le dinamiche del conflitto si muovevano dentro la dinamica non soltanto di conflitto per soddisfare i propri bisogni, ma dentro anche ad un orizzonte di trasformazione generale. Prima si chiamava comunismo, poi la transizione al comunismo... comunque c'era sempre un concetto di trasformazione e di transizione per una società diversa, in cui si inseriva il conflitto contro lo sfruttamento, contro il lavoro nero, contro il padrone. Chiaramente anche questo tipo di dinamica va ritrovata; oggi questo tipo di problema è aperto e dobbiamo essere in grado, in modo laico, di riaffermarlo e riaffrontarlo.
Noi sappiamo cosa si è trasformato, come l'economia-mondo crea miseria, fame, sfruttamento; sappiamo come il lavoro si può sganciare, paradossalmente, dalla propria contraddizione principale che è la forza-lavoro come elemento dialettico. Questa è una dinamica epocale nuova per noi, ma anche per i padroni. In questo va interpretata anche la dinamica delle crisi. Eravamo abituati a vedere la crisi come crisi di sovraproduzione, poi come crisi di comando. Ora questo tipo di dinamica salta, perché i paradigmi citati prima anche dal punto di vista capitalistico di una nuova valorizzazione, cioé sul fatto che attraverso le macchine si può valorizzare senza avere un aggancio dialettico con la forza-lavoro in termini conosciuti, in realtà trasformano processi e dinamiche. Questo tipo di problemi sono tutti elementi aperti che dobbiamo riuscire a cogliere in questa trasformazione.
Dentro a questa cosa, noi sappiamo anche quello che non ci interessa fare: noi non crediamo sia possibile riaffermare l'ideologia comunista o l'ideologia di qualcos'altro come elemento trainante di processi politici sociali significativi, perché l'ideologia è crollata. Finalmente, per noi che l'abbiamo combattuta per anni, l'ideologia socialista è crollata. Qualsiasi tentativo di ricollocare un terreno trasformativo attorno al concetto di ideologia è perdente, se non addirittura reazionario e abbiamo molti esempi sul piano generale di cosa possono produrre le ideologie portate come elemento trasformativo. Allora noi diciamo che sappiamo che alcune cose non servono e che altre sono sbagliate e non ci appartengono come dinamica politica ed etica, che oggi invece va riconquistata. A noi interessa rideterminare l'antagonismo, la sovversione. Ci interessa rompere i coglioni perché questo mondo ci fa schifo e perciò cerchiamo di ragionare su che cosa può essere un possibile orizzonte di rottura, consapevoli del concetto di pessimismo... relativo ma fondamentale, altrimenti torniamo a parlare "in nome del proletariato"! Ma poi cos'è il proletariato? È una cosa indistinta? C'è una mitologia in cui tutte le cose sono legate a tradimenti... Ho visto "Terra e libertà"... sarà un bel film, ma a me non è piaciuto perché non racconta i meccanismi strutturali che avvenivano, non parla della tragedia dell'umanità che non si libera... non si libera per se stessa... è sempre legata a qualcuno che la fa liberare... c'è un nodo fondamentale tra liberazione e esistente che da sempre si determina. Il mito del determinismo, del progresso è servito per anni per poter dire "tra 10 anni...", sempre in avanti e non si vedeva mai... si vedevano alcuni miglioramenti però... questo concetto lineare del tempo e della storia ha permesso a generazioni di soffrire e morire sperando che "il sol dell'avvenire" sarà fra 50, 100 anni... ci sono ancora gruppi, tipo Lotta Comunista, che analizzano scientificamente che nel 2003 ci sarà la congiuntura favorevole alla rivoluzione...
Il concetto del pessimismo relativo è per evitare di dire stronzate, per evitare quel linguaggio, quel modo di essere e di pensare fatto di lotte politiche vecchio stile, il concetto che la lotta di classe è fatta di tradimenti, che non si può mai relativizzare nulla.
La gente che ora è più fondamentalista, è quella che negli anni precedenti non faceva niente! È gente che si appropria delle lotte che hanno fatto altri, rivendicando adesso la continuità! Io non ho mai visto nessuno di quelli che oggi parlano sugli anni '70. Molti compagni che hanno vissuto gli anni '70 stanno zitti e molte volte sono stufi di parlarne. Paradossalmente, quelli che hanno vissuto gli anni '70 in quei termini non ne vogliono più parlare, quelli che invece non li hanno vissuti oggi continuano a parlare sugli anni '70 trasformandoli in ideologia, non in una discussione sull'utopia di un "assalto al cielo" che è fallita non solo per i "tradimenti" ma per le condizioni di trasformazione di cui abbiamo parlato precedentemente, non solo capitalistica ma anche dell'umanità, di noi stessi... 'sto "uomo nuovo" che non abbiamo mai visto. In questo senso il pensiero negativo e la Scuola di Francoforte possono essere recuperate perché così, sulla soglia della propria esistenza, uno si chiede "ma è possibile che l'uomo di fronte alle catastrofi non si metta insieme e non voglia un mondo nuovo?"... questa è una problematica di tipo esistenziale, filosofica, politica e storica non risolta! E credo che nella nostra esistenza non si risolverà mai! A questo dobbiamo rassegnarci, perché altrimenti si rischia di passare da forme di esaltazioni dove si carica di significato il progetto politico... e dopo ci si scontra con le miserie e le difficoltà e si passa alla sfiducia totale...
Partendo da un concetto di autorganizzazione sociale, vediamo se è possibile individuare, potenzialmente e realmente, la possibilità di cogliere questo aspetto dell'autorganizzazione come percorso non solo di lotta ma costitutivo di altra società. È già qualcosa: eticamente è molto più utile e dignitoso di altri percorsi che anzi hanno caratteristiche reazionarie. Nel senso che è un'utopia realizzabile dentro possibili percorsi.
Il concetto delle reti di contropoteri... Abbiamo detto: il contropotere con la "c" maiuscola, figura unica che si rapporta al meccanismo del potere e che ha creato le "basi rosse" negli anni '70, in realtà è un altro mito. Noi diciamo che oggi è possibile attestarci al concetto delle reti di contropoteri. A questo punto ci si potrebbe chiedere perché non chiamarle "reti di antagonismo". Il motivo è che vogliamo da subito evidenziare il concetto che l'autorganizzazione non è solo un'espressione di iniziativa di lotta generica o radicale, ma esprime comunque una dinamica di tensione ad un terreno di transizione. Questo è il nodo della questione: non sarà comprensivo di tutto ma sicuramente è un tentativo di matenere in piedi il nesso tra le lotte e transizione, tra lotte e prefigurazione; perché sappiamo che se manca questo, la teoria del caos diventa una teoria della confusione totale, nel senso che non si capisce verso che cosa tentiamo di andare. Perché ci mettiamo insieme se manca un terreno di transizione a qualcos'altro che sia solidale, egualitario, diverso da questo mondo esistente? Ognuno potrebbe fare ciò che vuole e dopo la comunicazione ci legherebbe in maniera astratta o virtuale!
Noi riteniamo che questo nodo tra conflitto e transizione sarà anche il terreno del 2000, ed è fondamentale anche oggi per dare un senso alla propria militanza, al proprio agire sociale prima che politico... al proprio essere! Posso avere ideali, utopie in positivo - che non siano ideologie - che diano un senso alla mia esistenza? Questo argomento va affrontato in questo tipo di problematica, che è una problematica non-compiuta: cioé questo rapporto non è compiuto, ma noi affermiamo con forza che è l'unico elemento in cui soggettivamente possiamo avere un senso utopico in positivo e riusciamo anche a determinare una dinamica di iniziativa che abbia senso.
Quando diciamo contropoteri, in realtà oggi potremo dire solo antagonismo, ma diciamo contropoteri per individuare questa possibilità che non è solo remota, ma noi la verifichiamo fin da subito. Il problema del nesso tra conflitto e costituzione altra, tentiamo di porlo nella quotidianità qui ed ora! Perciò riteniamo che la problematica delle reti dei contropoteri, nei termini citati prima, e di costituzione altra sai un nodo non solo di utopia in positivo su cui attestarsi, ma anche un terreno di pratica politica immediata che costituisce il nostro agire politico.
Prima si facevano degli esempi: Radio Sherwood non è "la radio del partito", è qualcos'altro! L'A.D.L non è un sindacato, né la cinghia di trasmissione di altro: è un percorso di iniziative di lotta sui posti di lavoro che possiede però una dinamica costitutiva propria per cui, in realtà, parla anche di altre cose; ha una dinamica associativa di aggregazione in positivo di per sé, per cui produce elementi, se possibile, di cambiamento di relazioni tra le persone. I lavoratori non sono solo elementi di supporto o delega da parte nostra o loro, ma in realtà tentiamo con questo tipo di vita associativa di cambiare anche il loro modo di pensare. Non ci basta che uno dica "sono contro il paròn, vojo i schei!". Perché tentiamo, attorno a queste iniziative di conflitto, possibilmente radicale, di esprimere e costruire una dinamica associativa di percorso in cui il cambiamento e il costituirsi altro per sé sia, in realtà, un elemento fondante.
È chiaro che si può riuscire come no. La problematica che va riaffrontata sono i nodi pratici che questo terreno produce. Anche sui Centri sociali, per esempio, nel senso che va sempre colto questo aspetto del ragionamento... quando fai il Coffee Shop dopo un pò ci si deve chiedere che cosa questo ha prodotto... lo stesso può essere con la musica, con il reddito... la domanda è sempre rispetto a questi due nodi... che cosa mi ha determinato in termini di conflitto e di lotta, anche con gli altri, e che cosa è riuscito a costituire come dinamica "societaria altra" senza ricadere in un concetto assoluto di comunità chiusa o di esaltazione di dinamiche ghettizzanti.
Questo nodo è aperto.
Il termine contropotere, oltre a questo, esprime il fatto che noi ribadiamo, oggi più che mai, la dinamica "con ogni mezzo necessario". Il metro di giudizio è rispetto all'autorganizzazione, ma questa fin da subito si fonda con ogni mezzo necessario. L'elemento complessivo è l'elemento fondante della pratica sociale dell'autorganizzazione intesa come dinamica di rete autonoma. Ritengo che questo non sia un elemento opzionale, ma una dinamica costituitiva, perché il conflitto è la capacità di costruire reti di contropoteri, di rompere il monopolio sull'uso della forza. E questo è un elemento da inserire dentro il ragionamento politico e sociale riferito all'autorganizzazione, mai separato, mai elemento estremizzato, mai elemento senza senso... ma fondativo di ogni percorso.
Nella discussione su che cos'è oggi la dinamica sostanziale di quella che abbiamo chiamato la rete autonoma dell'autorganizzazione sociale... noi non abbiamo usato e non useremo mai, questo termine come sigla astratta e formale. La rete autonoma è costituita da organismi differenti con la propria autonomia che si riconoscono dentro un possibile percorso parziale o generale... nel concetto della rete autonoma è importante definire che cosa abbiamo raggiunto e quali sono i problemi che i vari organismi complessi hanno di fronte per la costruzione di questi percorsi... e questa è una discussione da affrontare.
L'altro aspetto fondamentale è il discorso degli altri. Penso che la forma di relazioni possibili rispetto ad altre situazioni è una dinamica di tipo federativo. Credo che questa problematica della "federazione" rispetto al rapporto tra locale e globale, alla riconquista del territorio come dinamica di progetto, al superamento del concetto di "forza politica", significa che non c'è nessuna sintesi possibile a priori, ma c'è un processo di dispiegamento di contropoteri delle reti, che devono trovare dinamiche strutturate e ricompositive in forma nuova. Penso, ed è già inadeguato, che l'unica forma su cui tentare di ragionare sia quella federativa, che non è il semplice coordinamento, ma non è neanche la sintesi generale. È la capacità di esaltare la propria differenza nella verifica del radicamento dei propri percorsi. È anche capacità di costruire la forma dell'autogoverno della rete. Cioé la capacità di capire quale forma costitutiva possa anche prefigurare la forma societaria complessa altra dallo Stato-nazione, possa determinarsi all'interno delle forme ricompositive, a partire, intanto, dai "nostri" organismi. Quali forme in sostanza ci possiamo dare in cui ognuno valorizzi l'altro: ma quali sono le forme anche stabili che è possibile determinare tra soggettività diverse che si mettono in federazione? Questo tipo di dinamica federativa è un problema tutto da scoprire, ma è l'unico punto di partenza che può consentire la ripresa dei rapporti, dal momento che si basa già su alcuni fatti: si parla con gli amici; si comunica con gli amici anche se non sono uguali a noi, con i differenti ma amici. Non si parla coi nemici, o con chi esprime non-rispetto, odio o ostilità. La dinamica federativa non si può dare che in questi termini, per cui va innanzittutto ristabilita una relazione di amicizia, che non significa che la pensiamo allo stesso modo, ma che ci rispettiamo reciprocamente nei propri percorsi differenti e che non si spera che all'altro vada male. Dopo anni di localismo e di chiusura, credo che vada riaffermata con forza la possibilità di parlare con gli amici, ponendogli questa problematica: la ricomposizione della soggettività autonoma, in che forma va posta ? Nel ragionare insieme sul concetto di federazione. Che cosa implica ? Essere amici. Parliamo con gente che conta, non con gente che parla e basta oppure con gruppi che in realtà sono solo poche persone che si autorappresentano. Cioé la prospettiva federativa si costituisce attorno alla relazione tra entità diverse che però hanno una dinamica di radicamento, non-uguale ma omogena rispetto ad alcuni percorsi. Nel senso che non si fa una federazione con una rivista... La rivista è caso mai uno strumento della dinamica della federazione; si parla con soggetti radicati nel proprio territorio e che esprimono elementi parziali/particolari di complessità di progetto, dove ognuno si sta confrontando con l'autorganizzazione, con il concetto delle reti di contropoteri e la costituzione altra... in forma problematica, ognuno con i propri limiti. Non facciamo la federazione con chi scrive su un giornale, ma quello che scrive su un giornale dovrebbe fare degli articoli rispetto alla propria dinamica di autorganizzazione, che - in quanto organismo - si rapporta con gli altri. Per cui la dinamica federativa chiarisce non solo il concetto dell'amico e del nemico, ma è l'antidoto più forte nei confronti di qualsiasi bluff. Va riconquistata la possibilità di parlare con tutti, ma in particolare con le soggettività che stanno provando, rischiando sulla propria pelle, dei percorsi reali, non virtuali... che usano anche il computer ma che si relazionano con persone e non con robot... parliamo di carne, di sudore, di passione... la comunicazione non ci interessa come semplice scambio di informazioni, ma la comunicazione come percorso ricompositivo sulle iniziative e sulle dinamiche sociali di lotta; nel senso che la comunicazione è il tessuto connettivo della lotta.
Perciò la dinamica federativa pone il problema dell'intreccio di tutte queste cose; dove si ribadisce che non c'è un centro... non è Torino che diventa centrale perché c'è la Fiat, non è centrale Padova, non è centrale Milano perché c'è il Leoncavallo... questo tipo di logica va battuta!
Il concetto di rete pone il problema dei centri nomadi, nel senso che la dinamica federativa rende equivalenti le dinamiche amiche concrete e radicate, che pur si pongono in forma differente... le stesse dinamiche utopiche di autorganizzazione... in forma differente con percorsi differenziati... rifiuta un concetto di centro piramidale, ma non si ferma nemmeno al concetto di coordinamento... tenta anche, dentro la dinamica orizzontale, di forzare una dinamica costruttiva di forme di autogoverno. Che cosa siano quest'ultime non lo so, però so che è sicuramente possibile trovare delle forme in cui elementi stabili si possono determinare, perché la dinamica federativa è fatta anche di forme stabili di autogoverno.
Questa è una dinamica che va al di là dei confini nazionali. Perché dobbiamo parlare di "assemblea nazionale" quando facciamo una battaglia contro la degenerazione culturale "nazionalistica", quando siamo contro le dinamiche etniche? C'è il capitale che è postfordista o globalizzato, e noi stiamo ancora parlando di assemblea nazionale! In queste cose il linguaggio svolge un ruolo fondamentale! Perché denota un approccio di pensiero che è sempre lo stesso, e anche se si parla di postfordismo, in realtà dall'uso di questi termini si denota una concezione che non va oltre il superamento dei vecchi paradigmi culturali. Cosa vuol dire "nazionale"? Noi siamo transnazionali, transterritoriali! Siamo dentro l'economia-mondo, per cui il concetto federativo si allarga dentro una dinamica orizzontale che supera i confini! L'orizzonte non può essere mai nazionale! Penso sia ridicolo dire, oggi, "federazione nazionale delle reti": la federazione è transnazionale e rompe i confini! Cosa sarà è tutto da vedere, ma l'orizzonte di riferimento su cui lavorare è questo! Per cui penso che per alcuni di noi questa dinamica è chiusa definitivamente, perché siamo stanchi di fare riunioni inutili, perché già da tempo abbiamo compreso che questo modo di agire è finito, ormai è assolutamente inefficace, perché non si può mettere insieme tante debolezze... per formare che cosa poi?
Abbiamo aspettato che tutti questi discorsi e tirate ideologiche passassero. In parte sono passate. Penso sia importante anche per noi rilanciare con forza, partendo dal concetto federativo, dalle reti, dai nostri organismi... Ricapire e riproporsi in una forma di apertura di relazioni non solo locali o del territorio del nordest, ma con altri compagni di altri territori - a partire da una serie di relazioni bilaterali che passino attraverso gli organismi e le reti sociali reali. Il rapporto può essere costruito su tre-quattro punti: amicizia, concretezza e non ideologia, radicamento sociale e territoriale, critica della riproposizione di qualsiasi sintesi nazionale.
Ultima cosa: su questo tipo di questioni ci sono altre proposte concrete: per esempio, all'interno della festa della Radio, la proposta di una caratterizzazione politica, una sorta di seminario permanente su alcuni punti, per offrire un percorso di riflessione ai compagni in giro per il mondo rispetto ai nodi di cui anche oggi abbiamo discusso.