Interventi al seminario della rete autonoma dell'autorganizzazione sociale

25 marzo 1996

Intervento 5
sul metodo

Dal punto di vista dei risultati, a mio avviso in quest'anno molte delle cose che ci eravamo ripromessi di fare un anno fa si sono verificate. Alcuni organismi si sono consolidati, hanno cercato di avere anche una dimensione transpadovana - nel senso di rompere la centralità che, per certi versi nel nostro specifico, Padova ha sempre avuto - hanno cercato di costruire percorsi propri di radicamento e comunicazione. Mi riferisco all'estensione dell'associazione Razzismo Stop in altre province, o all'esperienza positiva del Melting dei Centri sociali, al tentativo - ancora molto difficile su cui i compagni stanno lavorando - di allargare l'esperienza dell'A.D.L.

Ad un anno di distanza possiamo dire che la base su cui siamo partiti si è materializzata, proprio dentro questa saldatura - cosa fondamentale - tra teoria e prassi. L'anno scorso avevamo l'indicazione di un percorso su cui verificarci ognuno nei propri organismi, nelle proprie collocazioni, anche in maniera più lineare di quella proposta negli interventi precedenti, nel senso che i nodi che sono stati sollevati, sono nodi che i compagni hanno posto all'attenzione di tutti noi ma che non hanno una soluzione immediata, proprio perché vanno a scompaginare in modo radicale anche il modo di pensiero con cui inevitabilmente anche noi siamo abituati a concepire l'intervento politico e anche le nostre relazioni interne.

Faccio un esempio: la comunicazione dentro la rete autonoma. Noi a volte abbiamo usato, anche in quest'anno politico, l'idea e l'immagine della consulta per cercare di definire la possibilità che dentro la rete autonoma si dessero momenti di comunicazione generale, perché gli organismi che stiamo cercando di mettere in piedi sono organismi non-settoriali, sono organismi che, a partire dalla specificità di un determinato soggetto, stanno cercando di affrontare la complessità di quello che questo soggetto affronta nel vivere sociale. Per esempio, parlare con gli immigrati non è, come negli anni '70, fare un intervento di settore su uno specifico, ma attraverso l'ottica di un discorso specifico (quello del lavoro immigrato) affrontare poi la globalità dei problemi che questa società pone nei confronti sia della tematica dell'immigrazione sia della tematica più generale del lavoro e delle figure sociali. Per cui, a partire dal fatto che noi cerchiamo di costruire organismi basati su una complessità al loro interno, si era posto poi il problema - anche nella discussione comune - di come la rete nel suo complesso si mette in comunicazione.

Secondo me questo problema è ancora aperto, perché abbiamo avuto la capacità in alcune esperienze (melting dei centri sociali) di mettere insieme esperienze politiche territorialmente diverse che si sono accomunate su un percorso e su alcune iniziative comuni - dal tema dell'antiproibizionismo al discorso dell'apertura di spazi di libertà (Vicenza, Trieste, ecc.), al fatto di abbozzare vagamente un discorso sul reddito. Però abbiamo ancora una difficoltà oggettiva nel mettere in comunicazione un'esperienza come quella dei C.S. con un'esperienza come quella dell'A.D.L., perché anche al nostro interno scontiamo la difficoltà di riuscire noi stessi ad essere protagonisti di un modo di comunicazione che sia orizzontale, ma che questo "orizzontale" non significhi disorganizzato o caotico, per cui incapace di centrare l'attenzione complessiva intorno al alcune questioni. Stiamo cercando, e secondo me è il terreno più stimolante, di capire come è possibile essere organismi complessi e viventi, lavorare dentro questi organismi viventi e contemporaneamente comunicare tra organismi differenti intorno a problematiche che nel complesso facciano emergere una comunicazione forte anche rispetto all'esterno, su alcune questioni che di volta in volta noi possiamo individuare come importanti/centrali.

In questo senso abbiamo, in quest'anno, usato la definizione di consulta come forma ricompositiva che ogni organismo, se si sente in grado di farlo, può di volta in volta, convocare. Questo significa la nostra capacità di ricostruire e riattraversare tutto l'universo politico che noi rappresentiamo per riuscire a trovare forme di comunicazione tra di noi anche nuove. Questo problema è poi il vero nocciolo di questa fase politica: tenendo presente tutte le analisi che si facevano, molte volte anche attraverso lo strumento della Radio ti rendi conto che ci sono momenti importanti di mobilitazione, lotte che vengono fatte da determinati soggetti sociali che poi magari urtano con la difficoltà di riuscire a saldarsi con altri aspetti del conflitto sociale. Per esempio: il discorso nuovo che si sta evidenziando nella situazione italiana con il protagonismo, ancora molto iniziale, degli immigrati nella vita politica. Sappiamo bene quali difficoltà ha nel tradursi in una comunicazione con chi si autorganizza nel mondo del lavoro o con chi è dentro ai centri sociali.

Per cui penso che se il problema della separazione dei soggetti è un problema di fondo dell'analisi che facciamo nel guardare la società, su questo si innesta la scommessa più interessante: quella di vedere come noi siamo capaci di venire fuori da questo rebus, che è lo stesso rebus delle problematiche del contropotere - la rivoluzione, in che modo il conflitto si salda con la separatezza, quale di questi due terreni privilegiamo.

Ci troviamo ad attraversare, in questa fase, un'esperienza che è molto difficile da un punto di vista oggettivo, perché le cose che ci circondano sono particolarmente drammatiche: però a mio avviso è molto stimolante perché, essendoci liberati di tutta una serie di schemi che ci hanno aiutato a resistere e a essere quello che siamo, stiamo cercando di rimettere in gioco e di ricreare qualcosa che anche al proprio interno abbia forme di autogoverno e di dimensione di costruzione collettiva completamente nuove. Quando dico nuove, non è perché c'è la mania che tutto quello che è passato è vecchio e va buttato via e ad ogni costo dobbiamo sempre trovare qualcosa di nuovo da proporre ai compagni, altrimenti ci stufiamo delle cose che facciamo: quando dico nuove intendo che le problematiche che abbiamo di fronte non sono mai state affrontate, perché finora anche gli strumenti teorici che si collegavano al discorso organizzativo sono già stati, in parte, tutti consumati al nostro interno. Per cui il periodo che si apre da qui in poi dovrebbe essere caratterizzato, da parte nostra, dal mettersi in gioco maggiormente nella sperimentazione pratica. Cioé: abbiamo raggiunto determinati obiettivi. Oggi questa rete autonoma del Nordest è una realtà, non è più una cosa scritta sulla carta, ma fermarci a questo sarebbe un errore perché significherebbe adagiarci sugli allori di una cosa che può rischiare, da un momento all'altro, di diventare banale quotidianità e, di conseguenza, non avere più la forza di rispondere a quel tipo di dinamica sociale così complessa che ci troviamo di fronte.

Tornando alla consulta, l'idea che mi sono fatta dopo tutte le discussioni, è che nel momento in cui un organismo pensa di avere al proprio interno qualcosa da comunicare agli altri perché un tal argomento può assumere una valenza di carattere generale, allora dovrebbe diventare quasi automatica una convocazione che non parte più, come siamo abituati, dai soliti compagni, ma che si dà dentro una naturale forma di comunicazione tra le varie strutture. Questa cosa non è facile né semplice, perché anche noi molte volte scontiamo la pigrizia mentale, diamo per scontato che c'è sempre qualcuno che riconduce i problemi che abbiamo ad una dimensione complessiva. Poiché nella realtà non è così, tra l'altro abbiamo di fronte un'esperienza che è unica, qui nel Nordest, nella misura in cui salda una vecchia soggettività di compagni che continuano a scegliere la forma della militanza con molti giovani compagni che hanno dato vita a nuove esperienze e che si sono costituiti anche con un percorso proprio, autonomo, legato a questi anni, e non al passato. Si tratta appunto di mettersi maggiormente in gioco: trovare forme di comunicazione che anche tra noi sperimentino una dimensione generale diversa, che non sia sclerotizzata sui modi con cui finora ci siamo rapportati al nostro interno, penso sia la scommessa più importante per tutti noi e può essere la saldatura tra la teoria e la prassi. Nel nostro piccolo noi possiamo riuscire a essere adeguati ad una necessità che è quella di provare, anche al nostro interno, a sviluppare questo meccanismo di comunicazione e di intervento politico che non è solo una questione legata a noi ma è anche il modo con cui ci si rapporta all'esterno nel proporre non solo una linea politica, ma anche un modo di operare che tenga conto della complessità, della difficoltà di comunicazione che ci sono oggi.

Questo è un tipo di rebus che non può essere sciolto senza che i compagni più giovani siano protagonisti di questo passaggio. Infatti penso che per quanti sforzi possano essere fatti - non per usare categorie sociologiche - da chi fa militanza da molti anni, rimettersi in discussione ed essere dentro le dinamiche reali che ci sono oggi... chiaramente, alla fine, ognuno è portatore del proprio percorso, della propria storia, della propria formazione politica e soggettiva. Ma se siamo convinti che sia vero tutto ciò che abbiamo detto finora, cioé che il mondo è cambiato e che i cambiamenti sono epocali e non del tutto comprensibili nella loro globalità, allora è anche chiaro che solo i soggetti frutto fino in fondo di questa dimensione possono trovare, se hanno voglia di sperimentarsi su questo terreno, le modalità per attaccare, disarticolare, ricostruire qualcosa di diverso e di nuovo che abbia il sapore della liberazione nell'oggi.

Questo non significa l'abbandono da parte di una soggettività più vecchia, perché penso che chi ha scelto di continuare a fare militanza ha fatto una scelta precisa sia di vita, sia di relazioni sociali. La scommessa in campo è che ci può essere una discussione di carattere collettivo, ma poi sono soprattutto i compagni e le esperienze nuove che si sono fatte avanti in questo periodo che possono rappresentare uno stimolo, con tutte le difficoltà che questo terreno comporta. È sempre vero che ogni generazione si scontra con le proprie difficoltà. Voglio dire non ci può essere soluzione che venga riarticolata dagli stessi percorsi o compagni - che pure sono fondamentali nella complessità della nostra rete - che possa dare le soluzioni anche a un modo di funzionamento interno diverso. Per questo, a volte, anche cose che possono sembrare sfumature diventano importanti: abituarci tra di noi a non dare per scontate le modalità della forma organizzativa; per esempio, la radio è di tutti, ma la radio è la radio! Non è dato per scontato che la radio debba essere al servizio degli altri. La radio è un organismo che faticosamente tenta di comunicare, di avere relazioni privilegiate con le strutture della rete dell'autorganizzazione e la rete autonoma del nordest, ma non c'è niente di scontato nel modo con cui dobbiamo continuare al nostro interno a lavorare e a costituirci, perché altrimenti ricadiamo in modalità che sono delle scorciatoie.

Per cui abbiamo questa grossa ricchezza: è la possibilità di sperimentazione anche interna di relazioni e comunicazioni diverse da quelle che sono state sperimentate finora, con tutti i rischi che ciò comporta. Perché rimettersi in gioco porta del bene ma anche confusione, difficoltà,perché se rompi uno schema abbastanza preciso ti si possono presentare problemi che non pensavi di dover affrontare.

Ma, come ho già detto, secondo me questo discorso è una delle cose più interessanti e stimolanti di questo anno di lavoro politico che abbiamo vissuto insieme a partire dal seminario dell'anno scorso. Penso che oggi siamo arrivati ad una soglia in cui è possibile una maggiore responsabilità e protagonismo da parte di tutti in questa cosa che è anche il fatto di mettersi in gioco rispetto alle proprie dimensioni di vita personale, collettiva.

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