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MILITARIZZAZIONE DELLE FRONTIERE E DEI TERRITORI: DAL "GLOBALE" AL "LOCALE"

I problemi relativi alla gestione dei flussi migratori alle frontiere e alla circolazione di profughi e migranti nel territorio italiano sono parte integrante della piu' complessiva questione concernente il controllo militare e poliziesco di territori globali e locali e la sua traduzione in prassi sottratte ormai a ogni "criterio di diritto" sul piano sia interno che internazionale.

La questione riguardante la militarizzazione di frontiere e territori confluisce nella tristemente nota "logica di Schengen" (Trattato + Convenzione applicativa), logica che va oggi estendendosi e capillarizzandosi dai confini esterni della Fortezza Europa per arrivare ai confini nazionali penetrando poi, diffusivamente, nei territori e nel tessuto sociale delle cittadelle occidentali.

Oggi piu' che mai verificiamo come ai confini e nei territori del nostro paese gli interlocutori privilegiati che stanno di fronte ai "pezzi di umanita' in fuga" siano le polizie di frontiera, gli eserciti, le questure, i corpi militarizzati dei vigili urbani e cosi' via, fino ad arrivare a quelle parti del sociale che, per via di un "superiore senso dell'ordine" o di una poco corretta inquadratura del problema migratorio, integrano l'intervento poliziesco nel controllo e nella repressione del migrante.

Si tratta di un sistema di controllo a cerchi concentrici che, se non fa che riprodurre comunque problemi come quello della clandestinita' e non tenta neppure di risolvere il problema dell'accoglienza, funziona come deterrente al tentativo dei migranti di emergere come "portatori di identita' e diritti".

La "fuga", all'esterno di quelle che con un eufemismo vengono chiamate "societa' ospitanti", e la "segregazione" all'interno di quest'ultime diventano dunque l'orizzonte esistenziale di varie fasce di popolazione mondiale.

Le linee direttrici percorse dalle prassi di controllo militare e poliziesco di frontiere e territori possono individuarsi nel modo seguente.

  1. Riconversione dell'esercito verso funzioni estranee a compiti strettamente connessi alla difesa, collegate invece al mantenimento dell'ordine pubblico interno e internazionale
  2. Assunzione di maggiori poteri e di prassi fortemente discrezionali da parte delle polizie di frontiera (in particolare di quelle frontiere considerate "critiche" per l'afflusso di profughi dalla ex Jugoslavia e di esuli)
  3. Diffusione delle funzioni di polizia nel senso dell'estensione dei poteri delle questure e delle varie polizie sulle condizioni di soggiorno e di circolazione del migrante e in quello della moltiplicazione dei centri di controllo e sanzione repressiva all'interno del sociale.

Queste linee direttrici, combinate alle varie forme di ghettizzazione dello straniero rispetto al tessuto sociale, riproducono approcci al problema dell'accoglienza ricalcati sulle logiche segregazioniste e differenzialiste del "campo" e della "pulizia etnica".

I FLUSSI IN ARRIVO DALLA EX JUGOSLAVIA: PROBLEMI DI GESTIONE

I problemi relativi alla gestione dei flussi migratori alle frontiere terrestri sono particolarmente rilevanti nel caso dei flussi di profughi dalla ex Jugoslavia (fonte: Consorzio Italiano di Solidarieta').

Nonostante nel caso di questi ultimi sia in vigoreuna delle poche leggi buone del panorama normativo italiano sull'immigrazione, e' stato frequentemente osservato come, nel trattare i casi relativi ai suddetti profughi, la polizia di frontiera agisca violando lo spirito della legge. Quest'ultima, la 390/92, prevede che chi dimostri alla frontiera di essere un cittadino sfollato dalle Repubbliche della ex Jugoslavia abbia diritto d'ingresso nel territorio italiano senza che sia necessario esibire alcun visto d'entrata. Una volta entrato nel territorio italiano, il profugo dovrebbe essere indirizzato verso un centro di orientameno per usufruire di una prima forma di assistenza di carattere informativo e per soddisfare le prime necessita' in mancanza di mezzi autonomi di sussistenza. Il permesso di soggiorno viene rilasciato dalle questure locali; lo sfollato dovrebbe inoltre godere di assistenza pubblica all'interno di campi attrezzati e, tendenzialmente, essere inserito nel territorio attraverso progetti mirati di integrazione (D.L. 28/12/93 n. 542).

Nella realta' dei fatti, i percorsi stabiliti dalla legge 390/92, dalla sua direttiva applicativa (DIR. 14/4/94) e dai successivi decreti, incintra numerosi ostacoli di natura amministrativa.

La polizia di frontiera spesso segue criteri soggettivi per l'analisi dei casi: si sono verificati episodi di allontanamento del profugo perche' non in possesso di mezzi idonei al proprio sostentamento o di garanzie di ospitalita' pubblica o provata in Italia. Quanto alle questure, va sottolineato che spesso richiedono allo sfollato documenti impossibili da ottenere, per esempio una lettera di accompagnamento rilasciata dall'U.N.H.C.R. su modulo concordato con il Ministero degli Esteri italiano (modulo inesistente)

Dai dati brevemente esposti risulta dunque che le polizie di frontiera e le questure esaminano i casi in modo del tutto discrezionale; la polizia di frontiera, in particolare, sembra stabilire di volta in volta i criteri da osservare per l'ammissione, obbedendo ad una logica che e' stata definita "autoreferenziale" e disattendendo, attraverso una prassi informale, la ratio dei provvedimenti normativi citati. Anche le indicazioni normative riguardanti l'istituzione dei "centri d'orientamento" restano tuttora inapplicate, cosi' come risultano piuttosto lunghe e faragginose le pratiche di censimento dei profughi ai fini dell'ottenimento del permesso di soggiorno umanitario ex L. 390/92.

ACCOGLIENZA E LOGICHE DI SEGREGAZIONE

A dimostrazione di quanto il problema profughi sia gestito in via totalmente amministrativa ed in modo discrezionale, seguendo un orientamento basato sul criterio della sicurezza, risulta utile l'analisi della situazione dell'accoglienza relativa ai territori locali.

Nell'affrontare il suddetto problema le amministrazioni locali del Veneto tendono ad una certa frammentarieta' nell'intervento e ad un livello di responsabilizzazione solo parziale, provocata spesso dalle pressioni delle associazioni antirazziste e del volontariato.

Episodi di particolare blocco decisionale in ordine al problema dell'accoglienza sono inoltre influenzati da pressioni e ricatti da parte di forze politiche di destra e di comitati di cittadini ostili alla predisposizione dei campi profughi.

In Veneto si sono ottentui risultati sul fronte della prima accoglienza solo dopo un certo numero di vertenze. Dall'altra parte permangono, nelle province di Padova e Venezia, situazioni abusive (a Padova i campi profughi abusivi sono due, situati in aree dismesse della periferia o della cintura urbana). Queste ultime situazioni tardano a risolversi nel senso dell'accoglienza anche a causa dell'azione di boicottaggio esercitata da Lega e A.N. e dai comitati di quartiere (formati in prevalenza da artigiani e commercianti delle zone in questione). In questa direzione, A.N. ha richiesto recentemente di abrogare la legge regionale che prevede i "campi sosta" per nomadi.

La gestione del problema e' dunque largamente orientata alla contingenza ed esposta ai ricatti di svariati soggetti. Finora le decisioni relative alla prima accoglienza non sono state rapide e hanno rivelato un'efficacia che puo' essre solo di breve periodo. La collocazione territoriale dei campi profughi attrezzati e' spesso all'interno di aree relativamente isolate dal tessuto abitativo e prive dei servizi necessari a consentire un collegamento con la vita sociale nel complesso. Va aggiunto che i regolamenti interni ai campi sono spesso piuttosto rigidi relativamente alle possibilita' di entrata di nuovi profughi e alla gestione del quotiiano; nella stesura di tali regolamenti si tende a evitare una responsabilizzazione del profugo in prima persona e un coinvolgimento pieno delle associazioni antirazziste.

La questione dei regolamenti interni da caserma riguarda del resto anche i centri d'accoglienza pubblici e privati, nei quali e' impossibile sperimentare forme di convivenza e socialita' di sufficiente livello qualitativo a causa della rigidita' degli orari e delle norme di permanenza. A ben vedere, le logiche della segregazione e del "campo" sono in una certa misura richiamate anche dal fatto che questi centri sono ospitati all'interno di scuole abbandonate o di sedi di istituzioni religiose, ambienti che richiamano alla mente una considerazione eteronoma dei soggetti...

Tornando ai campi profughi, e' da segnalare come non si facciano apprezzabili tentativi per distribuire la presenza dei profughi nel territorio una volta superata la fase della prima accoglienza allo scopo di favorirne una socializzazione non ghettizzante. E' vero infatti che il campo attrezzato puo' salvaguardare quella dimensione comunitaria che gli stessi profughi tendono a mantenere; e' altrettanto realistico pensare che un'ubicazione piu' adeguata dei campi dal punto di vista dell'accesso a servizi come la scuola, ai luoghi di socializzazione, ecc., possa contribuire a demistificare alcuni stereotipi costruiti dai mass media ponendo alcune basi per la convivenza. Riteniamo infatti che le situazioni conflittuali si producano piu' facilmente nel ghetto, proprio in relazione alla percezione distorta che si tende ad avere di ogni gruppo o individuo presenti in modo "intermittente" nel tessuto sociale di quartieri, citta', ecc.

In tendenza, i campi attrezzati potrebbero essere sostituiti inoltre da alloggi sfitti o attraverso interventi di recupero di alloggi degradati all'interno di una stessa zona o di un medesimo complesso abitativo (come del resto dispone la L. reg. n. 8 del 1992). Cio' ovviiamente dovrebbe avvenire all'interno dello stesso tessuto urbano per evitare la dispersione di una dimensione comunitaria.

LA DIFFUSIONE DELLE FUNZIONI DI POLIZIA

La politica riguardante l'accoglienza, nella sua parzialita' e nel suo essere esposta a continue pressioni e ricatti, lascia libero un ampio spazio d'intervento nel quale si inseriscono le prassi legate ad atteggiamenti di ostilita' e ad approcci polizieschi alla questione relativa a migranti e profughi.

Nelle zone del Veneto in cui operiamo, il fatto che la maggior parte dei profughi dalla ex Jugoslavia sia di origine Rom alimenta un atteggiamento sdoppiato di fronte alla questione della guerra: da una parte possiamo assistere a vere e proprie gare nell'invio di aiuti in Bosnia, in Croazia, ecc., dall'altra ad un sostanziale rifiuto della presenza di sfollati nel territorio da parte di vari gruppi di cittadini, i quali esprimono in materia un notevole potenziale di ostilita'. Tale potenziale si rappresenta solitamente attraverso l'utilizzazione dei momenti assembleari o di piazza per rivendicare il controllo del territorio e la sua difesa da "elementi estranei" e nell'utilizzazione di un "potere di sanzione" che puo' consistere nella ronda, nel controllo dei semafori, nella spedizione punitiva, ecc.

Il problema dei profughi e dei migranti in generale viene analizzato attraverso una sorta di lente di ingrandimento che lo enfatizza vedendolo come un fenomeno di per se' produttivo di caos ed insicurezza. L'indicatore della sicurezza orienta infatti una crescente quantita' di valutazioni relative alla convivenza, in modo tale da fare della questione relativa agli stranieri un problema di ordine pubblico da risolversi attivando il sociale per raggiungere il massimo grado di capillarita' nell'intervento. Cio' si collega ad un fenomeno di spostamento delle frontiere all'interno dei territori nazionali, che se in Jugoslavia assume i connotati del conflitto nazionalistico e dell'istituzione formale di nuovi confini, in altre zone d'Europa si esprime nei ripetuti controlli e condizionamenti sulle condizioni di soggiorno e di circolazione del migrante. Anche la deportazione, l'espulsione, ecc., funzionano in questo senso.

Un valido supporto legittimante le pratiche di esclusione e la diffusione informale di funzioni poliziesche e' la mediatizzazione del migrante o del profugo Rom come soggetti "naturalmente devianti", cosi' da farne figure da confinare in territori simbolici radicalmente altri (il termine immigrato, nel linguaggio massmediale sta spesso ad indicare una patologia); questi territori simbolici corrispondono - nella geografia locale - ai ghetti, al carcere, alle questure. Si tratta quindi di ambiti impermeabili alle garanzie, ai diritti, al riconoscimento di una piena soggettivita'.

Il lavoro dei media in questo campo giustifica le prassi di controllo del sociale dando loro questo sfondo, facendole passare come momenti di consapevolezza civica e di positiva attivazione dei cittadini rispetto ai problemi del tessuto locale.

In questo contesto, le "tradizionali" funzioni poliziesche vengono esercitate da differenti corpi di polizia (coinvolgendo in modo crescente i vigili urbani), con l'obiettivo di ossessionare il migrante attraverso ripetute identificazioni, intimidazioni e denunce per reati di scarsa rilevanza. Il tipico reato commesso in genere dai profughi serbi e bosniaci e' - per esempio - l'accattonaggio. La moltiplicazione delle denunce per questa fattispecie di reato gioca in modo tale da spostare il problema della cosiddetta devianza verso figure di illecito non gravi ma diffuse: il tutto gioca a favore della criminalizzazione del profugo e minimizza quelle che sono invece situazioni di intolleranza. Anche nel caso del piccolo furto e dello spaccio al minuto vi e' la tendenza ad "ingigantire" il reato per effetto di meccanismi incrociati di carattere giudiziario, repressivo, informativo. Cio' produce come effetto una valutazione distorta delle sanzioni a carico dello straniero da parte dell'opinione pubblica.

A Padova un piccolo Rom di dieci anni, Tarzan Sulic, e' stato ucciso in seguito a denuncia per furto; l'autore dell'assassinio, un carabiniere, ha patteggiato in sede processuale ottenendo una condanna ad un anno e tre mesi. Ad Arzignano (Vicenza) un Tunisino, presunto spacciatore al minuto, e' stato ucciso a freddo da un imprenditore della zona che, una volta fermato, e' stato poi rimesso in liberta' dopo 48 ore. La facilita' con la quale una parte dell'opinione pubblica metabolizza queste morti considerandole come normali non e' un attributo naturale, ma appare indotta da una contestualizzazione distorta di quetsi episodi, finalizzata a far risaltare il "disturbo" che la presenza di nomadi, migranti e profughi crea nel territorio. Inutile poi dire che il rigore informativo con cui i media riportano tali episodi e' spesso pari a quello della chiacchiera da bar.

Si puo' affermare, al termine di questa breve rassegna dei problemi sul tappeto, che la gestione del rapporto migranti territorio esaspera piu' che cercare di comporre gli elementi conflittuali. E' verosimile dunque che la questione, una volta consegnata a polizia e comitati per l'ordine pubblico, finisca per trasformarsi in un fatto di pulizia etnica. In questo senso i territori di provenienza della popolazione migrante ci sono sempre piu' vicini. Un'ipotesi estrema, ma altrettanto verosimile, e' a questo punto quella in cui gruppi di cittadini si mobilitano contro un campo profughi come contro una discarica o un inceneritore: la motivazione in entrambi i casi puo' risultare indifferentemente legata alla necessita' di "pulire integralmente il territorio"...

Una mancata soluzione politica al problema delle popolazioni migranti, le campagne xenofobe articolate dal centro alla periferia da vecchie e nuove destre e da contingenti alleanza trasversali, diventano cosi' lo sfondo su cui, all'interno dei territori nazionali, vengono sperimentate le nuove funzioni di vigilanza e repressione di polizie del pubblico e del privato.

I migranti rappresentano, nella fase attuale, figure sulle quali si sperimentano tutta la parzialita' dei sistemi giuridici occidentali e la pervasivita' del sistema economico nel rendere funzionali a se stesso i flussi migratori. Se il migrante e' l'oggetto che alimenta il traffico della manodopera, i mercati illegali e del lavoro sommerso, i mercati delle abitazioni e dei posti letto, ecc., puo' essere trattato come parte di un flusso di merci senza contraddire il modello europeo di libera circolazione.

Nella misura in cui cio' avviene il sistema giuridico non prevede alcuna soggettivita' per il migrante: cosi' assistiamo a previsioni normative crescentemente centrate sullo strumento sanzionatorio e su quello del controllo.

I tesserini magnetici, i lettori ottici ale frontiere e sul territorio, la previsione di controlli sui documenti dello straniero da parte degli stessi operatori, dei servizi, le espulsioni in massa, consegnano la gestione dei flussi migratori non alla politica, ma allo stato come mero apparato repressivo. Nello stesso momento in cui cio' avviene e' pero' lo stesso sistema giuridico-amministrativo a dover ammettere che la sua operativita' repressiva necessita oltre che di apparati polizieschi, anch di sperimentare nel sociale l'esercizio di ruoli "pre" o "para" polizieschi che funzionino come quadro sanzionatorio "propedeutico" e legittimante l'azione delle "forza dell'ordine".

Se e' vero infatti che spesso le questure affermano il loro monopolio nell'uso della forza rispetto alla questione degli stranieri (succede attualmente anche a Padova, dove si cerca di ridimensionare le questione dei city angels affermandone una "rigida" limitazione dell'intervento), e' vero altresi' che l'organizzazione di iniziative punitive a carico degli stranieri appare una variabile in crescita non controllata ne' sanzionata penalmente.

Per queste ragioni sembra realistico sostenere la presenza di un sistema di vigilanza e repressione che combina livelli formali e livelli informali e pragmatici all'interno di una prassi sempre piu' sottratta alla cosiddetta "certezza del diritto".

Se all'interno del territorio nazionale la situazione e' quella descritta, al di fuori dei confini sono il sistema di concertazione europeo ed i conflitti etnici "aperti" a costituire gli orizzonti all'interno dei quali si producono e si controllano i flussi migratori. I sistemi di controllo incrociato degli ingressi e della mobilita' lungo le frontiere comunitarie, associati alla messa a punto di un massiccio apparato informativ9o e di schedatura dei dati (Sistema Informativo di Schengen - S.I.S.), evidenziano in quali modi si intenda articolare sul continente la politica della "sicurezza" e quali siano i costi di tale politica. Sarebbe interessante verificare l'efficacia di tale sistema nel combattere la clandestinita' comparando inoltre i costi di una politica di tal genere con quelli relativi ad una politica di accoglienza.

Al di fuori di un contesto comunitario la proposizione di modelli conflittuali orientati alla pulizia etnica assume gia' da tempo i connotati della guerra aperta, dell'esodo e della deportazione sistematica. Tutto cio' avviene con la connivenza piu' o meno palese di vari stati europei che, mentre attendono che i quadri di potere si ridefiniscano all'interno di situazioni come quella della ex Jugoslavia, collaudano gli eserciti nella funzione di polizia internazionale.

La produzione di situazioni ghettizzanti, la militarizzazione di frontiere e territori e la riproposizione su piccola e su grande scala di logiche differenzialiste sono dunque gli attuali indicatori delle situazioni di razzismo e di emarginazione sociale. Se questi fenomeni colpiscono in modo particolarmente violento i migranti, cio' non significa peraltro che siano inattivi nei confronti di quelle fasce di popolazione piu' esposte agli effetti degli attuali modelli di flessibilita' del mercato o che non si adeguano alle logiche del "non dissenso" e del conformismo massificato. E' vero inoltre che in questo quadro ogni escluso puo' essere indotto ad escludere, ad esercitare alternativamente il ruolo di controllato e di controllore (come succede negli atteggiamenti razzistici manifestati da alcune componenti del lavoro salariato o dai disoccupati).

Assistiamo quindi ad un modello di militarizzazione che ha le sue onde lunghe dalle frontiere ai reticoli territoriali proponendo piccole guerre quotidiane e si estende al di fuori dei confini nazionali ed europei, riproducendo su scala allargata guerra e situazioni di emergenza.

Nel globale, come nel locale, il comune approccio al problema delle popolazioni in pericolo e' quello che le considera "soggetti" - individuali e/o collettivi - privi di diritti e voce in capitolo sulle questioni interne e internazionali, entita' sulle quali sperimentare i nuovi assetti "deregolati" del potere e del mercato.

 

RAZZISMO STOP - PADOVA