Mestre, 3 giugno 1997

diamo un calcio al razzismo!

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L'avevano annunciato da giorni: alla seconda udienza del processo contro i separatisti veneti imputati per l'assalto al campanile di S.Marco del 9 maggio scorso, avrebbero manifestato i militanti della LIFE (la lega che riunisce gli imprenditori razzisti ed evasori fiscali del nordest).

La stessa solidarietà era stata espressa dai nazi-fascisti di Azione Giovani che, per voce del padovano Paolo Caratossidis, avevano annunciato anche la loro presenza davanti all'aula bunker del tribunale di Mestre, dove si svolge il processo.
Un triste connubio di nazionalismi che porta in sé il grave pericolo della croatizzazione dei nostri territori. È per questo che abbiamo deciso di esserci anche noi, non per difendere un improbabile senso dello stato, ma per dimostrare che è possibile impedire che le ideologie del razzismo, dell'egoismo e dell'odio trovino spazio pubblico. Per dimostrare che l'autonomia dallo statalismo è possibile anche nelle forme dell'antirazzismo, della cooperazione sociale e della solidarietà.

Siamo nella strada antistante l'aula bunker. La piazza è blindata dalla polizia. I fascisti non hanno avuto il coraggio di farsi vedere, i "padroncini" della LIFE, invece sì.
Fabio Padovan, fondatore della LIFE, arriva, con il suo pacco di adesivi di S.Marco sotto il braccio, a portare la sua solidarietà agli imputati. Più tardi, nell'aula di tribunale in cui si svolge il processo, gli sarà dato agio di raccogliere alcuni milioni di lire per il fondo di solidarietà con i razzisti da lui definiti "patrioti veneti".
Per il momento si becca un bel calcio nel culo.

ore 08.15: la prima carica della polizia intervenuta sollecitamente in difesa del didietro di Padovan.
Manganellate alla cieca e lacrimogeni. Un candelotto colpisce un ignaro residente della zona ferendolo ad una gamba.

Sandro, colpito alla testa, cade sul selciato e viene circondato dai poliziotti che si accaniscono su di lui riempendolo di calci e fermandosi solo al sopraggiungere delle telecamere dei giornalisti che filmavano la scena stupiti dal livello di violenza cieca espresso dalle "forze dell'ordine".

Le cariche e i pestaggi si susseguono per un'ora e mezza.
Le transenne di ferro (nuova arma di ordinanza?) vengono usate dalla polizia per spingere i compagni.
Chiunque non sia in divisa rischia di prendersi manganellate. Studenti medi, giovani, passanti, vengono inseguiti e malmenati.

Anche Marco Taradash (un milione di lire donato alla causa dei "serenissimi" secessionisti) vuole esprimere la sua solidarietà in tribunale. Scortatissimo dalla polizia, riesce comunque ad ottenere il suo momento di gloria per apparire in TV e, ignorando i consigli dei funzionari della Digos di passare alla larga, fa di tutto per ricevere qualche sputo e spintone in risposta alle sue provocazioni, così come accade per Franco Rocchetta.

La situazione sembra calmarsi solo quando, dopo che decine di compagni sono stati colpiti più o meno duramente (il "bollettino" ufficiale parla di una decina di feriti, ma molti di più sono i contusi), cominciano a giungere "note di preoccupazione" dal Ministero degli Interni per la "discutibile" gestione della piazza da parte del Questore.