Roma, 21 maggio 1998
Perché contestiamo questo convegno
La Fondazione Istituto Gramsci ha organizzato e voluto questo convegno, dal sintomatico titolo "Doppia lealtà e doppio Stato nella storia della Repubblica". Si ritiene, evidentemente, che il tempo sia maturo per fare il punto su un argomento così scottante e delicato. E si sottintende, forse, che tale ricostruzione sia possibile solo ora, in questa Italia dell'Ulivo così lontana dalle contrapposizioni del passato, e avviata a trovare nelle riforme istituzionali lo strumento di definitiva dissuasione di quel "sovversivismo" delle classi dirigenti italiane, che proprio Gramsci imputava "al non essere mai esistito un dominio della legge, ma solo una politica di arbitrio e di cricca personale".
Su questo si potrebbe discutere. Il passaggio dalla polemica alla storia avviene sempre in contesti determinati, ed è illusorio domandare allo studioso un'impossibile indipendenza dalla contemporaneità in cui, come tutti, si trova inserito. Senonché, colpisce che gli organizzatori del convegno abbiano dimenticato la generazione di militanti che di "doppio Stato", o più precisamente di "Stato delle stragi", andò gridando per prima nelle piazze, inascoltata, allora, dalla sinistra storica. E colpisce ancor più che il tema delle BR e del caso Moro sia stato appaltato (non troviamo una parola migliore) a relatori quali Gianni Cipriani e Sergio Flamigni, professionisti di un giornalismo scandalistico ai limiti del grottesco, e impegnati da anni in un'opera di distorsione delle coscienze che non possiamo non definire abietta.
Ci domandiamo allora: di che storia ha bisogno l'Italia dell'Ulivo? Quale passato recente desidera il centro-sinistra, per celebrarsi come lo sbocco logico e necessario di un cinquantennio di storia repubblicana? Bisogna, è chiaro, immaginare una sorta di lunga marcia verso gli attuali equilibri politici, di cui la stagione della "solidarietà nazionale" sarebbe stata la sfortunata antesignana e quasi la progenitrice morale. Bisogna, d'altro canto, ricondurre la vastissima opposizione agli accordi Moro-Berlinguer a una matrice nebbiosa, confusa e inconsulta, fatta apposta per incubare l'azione provocatrice degli "apparati paralleli", e dunque brodo di coltura per operazioni schiettamente reazionarie.
Qui torna utile la dietrologia, con il suo apparato metodologico totalmente congetturale e il suo effetto di sviamento tristemente assicurato. I dietrologi non vi parleranno di cinquemila persone arrestate e condannate sulla base di una legislazione speciale ancora in vigore. Non vi parleranno delle torture, delle carceri speciali, di uomini e donne che, in media, hanno scontato quindici anni di prigione, e a tutt'oggi sono privi di un futuro che non sia quello delle sbarre o di una vita massacrata dalle clausole della cosiddetta semi-libertà. I dietrologi scarteranno questi "particolari" e vi inviteranno a concentrarvi sul perché un maresciallo e due appuntati dei carabinieri non hanno sfondato tutte le porte di via Gradoli, onde scoprire il "covo" che i loro generali avevano approntato per i provocatori infiltrati nelle BR. E se qualcuno, magari, domanderà che genere di infiltrato sia quello destinato a scontare un ergastolo nelle carceri dei suoi superiori, i dietrologi risponderanno: no comment. La cosa non li riguarda. Essi cercano la verità, ostacolati dall'Italia ufficiale che, attenzione, "coccola i terroristi" con interviste a catinelle e attraverso l'esercizio di una varia quanto dubbia indulgenza.
Ma quale indulgenza? Giannettini era un infiltrato, e non per caso l'"incidente" della sua detenzione durò lo spazio di pochissimi anni. Inoltre, è un fatto che non esistono responsabili per le stragi, anche se (come pure in questo convegno verrà detto) Federico Umberto D'Amato non era poi personaggio così sconosciuto al mondo politico e giudiziario italiano. Ma le BR? Per criticarne l'azione bisogna proprio negare loro l'identità di gruppo rivoluzionario, sorto, fra l'altro, per combattere con le armi uno Stato che alla violenza ricorreva per primo attraverso le stragi e la repressione violenta dei movimenti del 68-69? Non era possibile interpretarle come l'espressione di una contraddizione tipica del problema della rivoluzione nel secondo Novecento? Magari come l'espressione di un "cadornismo" rivoluzionario (avrebbe detto Gramsci) destinato inevitabilmente alla sua Caporetto in un'Italia che già aveva reso obsolete la guerra di posizione e la lotta per l'egemonia impostate da Togliatti?
È chiaro che l'Istituto Gramsci aveva anche questa strada. Una strada storiograficamente plausibile, anche se non convincente per chi, come noi, si ostina a vedere negli anni 70 qualcosa in più della mera occasione per un'alternanza di gestione riformista del capitalismo italiano. Ma la scelta di chiamare a raccolta gli esperti della disinformazione è indicativa di ben altro. Sulla repressione del movimento del 77 attuata dai governi della solidarietà nazionale, deve cadere il silenzio. Sul fatto che, durante il caso Moro, la linea della fermezza venne sposata soprattutto ad opera del PCI, occorre sorvolare. Lo stesso capo dello Stato può, a questo punto, navigare applaudito fra contraddizioni plateali, riflettendo da un lato sull'opportunità di una trattativa con le BR (che, in questo senso, vanno reputate indipendenti) ed evocando dall'altro lo spettro di "intelligenze" retrostanti l'azione dei brigatisti, non ancora individuate a vent'anni di distanza.
Noi non siamo fiancheggiatori tardivi delle BR. Apparteniamo a una rete di associazioni e centri sociali il cui nome è Sprigionare, e il cui scopo è la fine dell'emergenza e la liberazione di tutti i detenuti politici che ancora ne sopportano il peso. Adoperarsi per questi obiettivi non significa sposare le strategie che furono di quei militanti. Ma certamente implica uno sforzo di comprensione del contesto storico in cui esse si diedero, che qui non ritroviamo nemmeno nella forma di una storiografia post-comunista e post-ideologica, capace almeno di accoglienza dei dati bruti su cui elevare il proprio disincanto.
Per questo riteniamo doveroso contestare il vostro convegno. Perché si può anche dire che l'Ulivo è la sinistra adeguata al migliore dei mondi possibili, ma è immorale farlo trattando da agenti provocatori militanti che hanno scontato molto più carcere dei comunisti imprigionati dal fascismo. E si può anche pensare che il "senso della storia" spingesse verso questi equilibri politici e verso queste riforme istituzionali, ma è squallido estrarne un quadro del nostro passato in cui ogni sfaccettatura delle sue lotte di classe sia annullata nella falsa polarizzazione fra l'alternativa riformista incarnata da Moro e Berlinguer e quella reazionaria incistata nei bassifondi del "doppio Stato".
E poi, bisogna pur dirlo, in questo modo si compie la vendetta più sfacciata e più meschina nei confronti del Moro delle ultime lettere: l'Aldo Moro che vietava in modo categorico di allestire intorno alla sua morte solenni quanto ipocriti funerali di Stato. Se infatti le BR erano "eterodirette", se la "prigione del popolo" non fu trovata solo per interessata inettitudine, allora anche la richiesta di trattativa sollecitata dal prigioniero nelle sue lettere risulta privata di senso, e la sua critica della "ragion di stato" evapora come falso problema, sullo sfondo di una sequenza in cui tutti sono assolti, salvo Andreotti, la P2 e gli ascari delle BR.
A questo si può arrivare, nell'Italia piccola, tranquilla e disinvolta in cui viviamo. Un mito fondante per l'Ulivo val bene la distorsione della storia e la riduzione a zero del problema politico posto dal prigioniero di via Montalcini. Noi ci opponiamo a tale orribile semplificazione e rivendichiamo il diritto di guardare in faccia la storia, anche e soprattutto quando è dura da guardare e non si lascia ridurre in schemi tranquillizzanti. Organizzeremo perciò una discussione sul 1978 e, già da ora, invitiamo tutti a parteciparvi durante lestate romana dei centri sociali. Qualunque sia la posizione di ognuno, qualunque sia lo sguardo sul passato e sul futuro, la coscienza e la memoria civile degli italiani meritano qualcosa in più di una letteratura d'appendice spacciata per storiografia.
Rete romana Sprigionare
c/o C.S.O.A. Ex-Snia Viscosa via Prenestina, 173 00176 Roma tel / fax 06/274274