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SENATO DELLA REPUBBLICA

XIII LEGISLATURA N. 229

DISEGNO DI LEGGE

D’INIZIATIVA DEI SENATORI

MANCONI, SALVATO, SALVI, PIERONI, MONTICONE, SARTO, BOCO, SEMENZATO, RIPAMONTI, RUSSO SPENA, PETTINATO, MANZI, CARCARINO e SCOPELLITI

Comunicato alla Presidenza il 9 maggio 1996

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Concessione di indulto per le pene relative a reati commessi con finalità di terrorismo

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Onorevoli Senatori - Questo disegno di legge muove dalla consapevolezza dell’estinzione, ormai da tempo avvenuta, del fenomeno del terrorismo come si è sviluppato negli anni ‘70 e nei primi anni ‘80; e come si è storicamente definito e storicamente concluso. Muove, pertanto, dalla constatazione - condivisa da storici e magistrati, sociologi e criminologi, operatori delle carceri e funzionari delle forze dell’ordine - della fine della sua pericolosità. In considerazione di ciò, questo disegno prospetta un riequilibrio delle pene comminate, proponendo un indulto da applicarsi - nel rispetto del dettato e dello spirito della norma costituzionale - alle condanne conseguite per reati definiti "di terrorismo" e giudicati con la cosiddetta "legislazione d’emergenza".

Questo provvedimento interviene - vedremo più avanti con quali effetti - su un soggetto residuale, estremamente circoscritto nelle dimensioni numeriche, ed affonda le sue radici in ragioni essenziali di giustizia e di umanità. Esso fu già presentato e discusso in Commissione nella scorsa legislatura (atto Senato n. 1058 della XI legislatura, presentato l’11 marzo 1993, primo firmatario il senatore Molinari). La Commissione convenne unanimemente sulla necessità di affrontare il problema e approvò in sede referente, nella seduta del 22 dicembre 1993, un testo che recepiva le linee di fondo di questa proposta. La fine della legislatura non ha consentito la discussione del provvedimento in aula.

Crediamo che il problema debba giungere a una positiva soluzione in questa legislatura.

La prima elaborazione e la prima discussione risalgono alla X legislatura (atto Camera n. 4395, presentato il 6 dicembre 1989, prima firmataria l’onorevole Balbo Ceccarelli), ma oggi - dopo i cambiamenti storici e politici degli ultimi anni - quel testo risulta corroborato da dati e considerazioni nuovi, che lo collocano in uno scenario affatto diverso. Del resto, i provvedimenti legislativi che il Parlamento ha approvato in questi ultimi anni collocano organicamente questo progetto all’interno di una complessiva ridefinizione dell’ordinamento penale.

Prima di tutto, vorremmo sottolineare la dimensione quantitativa dei soggetti su cui il provvedimento è destinato ad agire:

Se consideriamo che alcune ricerche, fatte da istituti diversi, hanno calcolato intorno alle cinquemila le persone che - nell’arco di poco più di un decennio - hanno varcato i cancelli del carcere per fatti inerenti alla sovversione armata e al terrorismo degli anni ‘70, l’attuale numero di soggetti detenuti appare meramente residuale. E si tratta, del resto, di una residualità non soltanto quantitativa: basta riflettere sulla discontinuità storica che separa il presente - lo scenario attuale del nostro Paese - dai contesti sociali, politici e culturali entro cui le organizzazioni armate ebbero origine e si svilupparono.

La necessità di riequilibrare le pene, in presenza dei mutamenti avvenuti, è una delle ragioni fondamentali di questa proposta. Come è noto, negli anni ‘70, a fronte dell’attacco terroristico, sono state approvate varie leggi, complessivamente chiamate "d’emergenza". Così pure carattere "emergenziale" ha avuto l’andamento di molti processi. Alle une e agli altri sono conseguiti non indifferenti aggravi di pena: a parità di reato commesso, la sanzione è stata molto più severa di quella che sarebbe stata in una situazione ordinaria, per reati ordinari, commessi da imputati ordinari.

Per esemplificare il problema, richiamiamo l’attenzione sull’articolo 1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15:

"Per i reati di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico punibili con pena diversa dall’ergastolo, la pena è sempre aumentata della metà salvo che la circostanza sia elemento costitutivo del reato.

Quando ricorrono altre circostanze aggravanti si applica per primo l’aumento di pena previsto per la circostanza aggravante di cui al comma precedente.

Le circostanze attenuanti con l’aggravante di cui al primo comma non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa ed alle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa o ne determina la misura in modo indipendente da quella ordinaria del reato".

Altre leggi e altri orientamenti processuali hanno contribuito, altresì, a determinare - a parità di reato - un forte squilibrio tra i condannati per fatti comuni e quelli per fatti di terrorismo. Ricordiamo, ad esempio, la legge 18 aprile 1975, n. 110, sulle armi, che ha innalzato da cinque a dieci anni la pena per detenzione di arma da guerra; senza tale finalità, lo stesso reato è punito con una pena che va da uno a otto anni. Inoltre, gli imputati e i condannati per fatti di terrorismo sono stati esplicitamente esclusi dall’amnistia e dal condono previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 1978, n. 413, e dal decreto del Presidente della Repubblica 18 dicembre 1981, n. 744, e, implicitamente, dal decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1986, n. 865, da momento che sono stati esclusi reati, quale la banda armata, caratterizzanti il fenomeno terroristico.

Non solo. Con giurisprudenza pressoché costante, sono state adottate scelte di conduzione processuale che hanno determinato un considerevole inasprimento delle pene. Ad esempio, un terrorista arrestato con armi veniva giudicato, come dovuto, con rito direttissimo, mentre iniziava l’istruttoria per gli altri reati. I due procedimenti, quindi, seguivano svolgimenti diversi nel tempo, con pene autonome che spesso si sono sommate aritmeticamente piuttosto che essere determinate in regime di continuazione, ai sensi dell’articolo 81 del codice penale. Da qui la pressoché costante mancata applicazione della connessione soggettiva, specie per gli imputati in procedimenti iniziati da autorità giudiziarie territorialmente diverse. Infine, anche i termini di custodia cautelare hanno avuto, per questi particolari imputati, una consistente dilatazione: per alcuni imputati - è bene ricordarlo - fino a 10 anni e 8 mesi.

Di fronte a questa disparità di trattamento - esauriti i motivi di allarme sociale che la determinarono - si impone il recupero di una misura di equilibrio.

Un punto delicato è, indubbiamente, quello relativo ai circa ottanta condannati all’ergastolo, che rappresentano quasi la metà dell’attuale totale dei detenuti per fatti di lotta armata. Come è noto, infatti, con il già ricordato decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15, la sanzione dell’ergastolo, nel caso di gravi fatti di sangue per finalità di terrorismo, divenne - in concreto - una misura automatica, mentre, nel caso di reati comuni, essa è soltanto una tra le pene possibili: e la più rara.

Il problema del riequilibrio, in questi casi, si pone anche in considerazione del trattamento differenziato che, tra gli stessi condannati per fatti di terrorismo, ha determinato rilevanti sperequazioni; sperequazioni che, legittimate sul piano giurisprudenziale in virtù delle leggi "d’emergenza", oggi - con il venir meno di ogni pericolosità soggettiva e oggettiva - risultano meritevoli di una misura di bilanciamento e di equità.

Questa proposta si riferisce, infatti, a soggetti che, sebbene accusati dei reati più gravi, hanno dimostrato da molti anni, e in forme concrete, il loro avvenuto reinserimento.

Di ciò danno conferma sia i rappresentanti delle autorità carcerarie, che intrattengono con gli interessati i rapporti più costanti, sia coloro che li frequentano per lavoro, attività culturali o di volontariato (in virtù dell’articolo 17 della legge 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà). Anche il Parlamento, nella passata legislatura, escludendo dalle misure anticriminalità - per la prima volta dopo oltre dodici anni - i detenuti per reati di terrorismo, ha indubbiamente riconosciuto il venir meno della pericolosità sociale dei soggetti in questione. Altre controprove emergono con evidenza dei fatti che qui si enumerano:

Al contempo, sempre sotto il profilo del venir meno della pericolosità sociale, occorre considerare le circa cento persone attualmente latitanti - per lo più in Francia - per fatti di lotta armata; anche di essi è noto - sia alle autorità preposte alla repressione del fenomeno, sia all’opinione pubblica - il dichiarato ed effettivo distacco da ogni attività eversiva. Di qui l’elemento innovativo introdotto dall’articolo 4 di questo disegno di legge rispetto all’articolo presentato nella precedente legislatura. La norma, sotto la rubrica "Modifica dei termini di prescrizione delle pene" è, a nostro avviso, un’ulteriore indispensabile misura di equilibrio nell’attuale sistema penale-processuale. Essa non manca dell’opportuna indicazione di un aumento della pena, così come ridotta in base alla previsione generale, pari alla metà, in considerazione della latitanza dei soggetti stessi di cui all’articolo 4 del disegno di legge.

L’insieme degli elementi positivi prima ricordati sottolinea la necessità di un intervento legislativo generale, che eviti un uso distorto della discrezionalità nell’adozione dei provvedimenti e, di fatto, una disparità nell’accesso agli istituti previsti. E’ ormai evidente che gli strumenti predisposti dal legislatore in questi anni, per favorire un graduale rientro da una situazione di eccezionalità, sono stati provvedimenti parziali o temporanei, che hanno potuto affrontare il problema in modo limitato e hanno prodotto, così, particolari tipizzazioni soggettive.

Vorremmo considerare, per sommi capi, quali effetti avrebbe l’attuazione del presente disegno di legge sui circa duecento detenuti di cui si è detto, assumendo, come ineludibile, la necessità da parte delle istituzioni di garantirsi - e garantire - gradualità e sicurezza.

Dal punto di vista della gradualità, possiamo offrire il seguente esempio: un detenuto per fatti di lotta armata, arrestato nel 1982 all’età di ventotto anni e condannato all’ergastolo (è il caso più frequente), grazie a un indulto - che commutasse la sua pena perpetua in pena temporanea di ventuno anni - avrebbe il suo fine pena nel 2003, all’età di quarantanove anni.

La possibilità di anticipare ulteriormente quel fine pena è connessa alla concessione di benefici premiali che, come è noto, sono misure individuali, sottoposte al diretto controllo dell’autorità giudiziaria, che dovrà - caso per caso - valutare la pericolosità sociale del soggetto.

A questo esempio - rappresentativo della maggioranza dei detenuti all’ergastolo per fatti di lotta armata - possiamo affiancare quelli estremi e opposti di:

Onorevoli Senatori, questo disegno di legge intende sottrarsi a tutte le polemiche e a tutte le formulazioni improprie, quali "perdono" e "colpo di spugna", "riconoscimento politico" e "riconciliazione"; e vuole riportare la discussione alla sua sostanza: ovvero alla necessità di risolvere, sulla base di criteri di giustizia e di umanità, una situazione oggettivamente residuale e numericamente esigua.

Non si tratta di prevedere, dunque, misure "speciali" per imputati "speciali"; non si tratta di favorire chi ha commesso reati "politici" rispetto a che ha commesso reati comuni; e, tanto meno, di privilegiare un gruppo di detenuti rispetto all’universo dei reclusi. Si tratta, al contrario, di ripristinare uguaglianza di pene e di trattamento dove sono state introdotte difformità e sperequazioni; e di sottrarre alle sanzioni quell’aggravio che le particolari condizioni storiche - oggi superate - avevano suggerito al legislatore.


DISEGNO DI LEGGE

Art. 1

(Indulto)

1. E’ concesso indulto per le pene relative a reati commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, anche se la tale finalità non ha formato oggetto di formale contestazione o condanna, nelle seguenti misure:

  1. la pena dell’ergastolo è commutata in quella della reclusione per anni ventuno;
  2. le pene detentive temporanee derivanti da uno o più reati previsti dagli articoli 270, 270-bis, 284, 304, 305, 306 e 307 del codice penale nonché, in connessione con essi, dai reati concernenti armi, munizioni ed esplosivi, di cui agli articoli 1,2,4 e 7 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, sono interamente condonate;
  3. le pene detentive temporanee derivanti da reati diversi da quelli previsti alla lettera b) sono ridotte di anni cinque se non superiori ad anni dieci di detenzione, della metà negli altri casi;
  4. le pene pecuniarie, sole o congiunte alle pene detentive, sono interamente condonate;
  5. le pene accessorie, quando conseguono a condanne per le quali è applicato, in tutto o in parte, l’indulto, sono interamente condonate.

Art. 2

(Esclusioni oggettive)

  1. L’indulto previsto nell’articolo 1 non si applica ai reati di cui agli articoli 422 e 285 del codice penale se dalla commissione dei reati stessi sia derivata la morte.

Art. 3

(Applicazione dell’indulto)

  1. L’indulto previsto nell’articolo 1 si applica sul cumulo delle pene anche se stabilito in applicazione della legge 18 febbraio 1987, n. 34.

Art. 4

(Modifica dei termini di prescrizione delle pene)

  1. Per i soggetti di cui all’articolo 1 la pena della reclusione si estingue col decorso di un tempo pari alla durata della pena inflitta, così come ridotta per effetto dello stesso articolo 1, aumentata della metà e, in ogni caso, non superiore a ventuno anni.
  2. Per i soggetti di cui all’articolo 1 la pena dell’ergastolo, così come commutata dallo stesso articolo 1, si estingue con decorso di venticinque anni.

Art. 5

(Applicazione dell’indulto in caso di continuazione)

  1. Quando vi è stata condanna ai sensi dell’articolo 81, secondo comma, del codice penale, ove necessario, il giudice, con l’osservanza delle forme previste per gli incidenti di esecuzione, applica l’indulto determinando la quantità di pena condonata per i singoli reati.

Art. 6

(Revoca dell’indulto)

  1. Il beneficio dell’indulto previsto nell’articolo 1 è revocato di diritto qualora che ne abbia usufruito commetta, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un delitto della stessa indole per il quale riporti condanna a pena detentiva superiore ad anni due.

Art. 7

(Computo dei periodi di scarcerazione)

  1. Coloro che, imputati per reati commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, siano stati nel corso del procedimento a loro carico comunque scarcerati, qualora non si sottraggano alla cattura dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna e qualora non abbiano commesso durante il periodo di scarcerazione alcun reato, possono computare, ai fini delle disposizioni di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, il periodo intercorso tra la scarcerazione e l’esecuzione della sentenza.
  2. Le stesse disposizioni si applicano, nell’ipotesi di emissione di provvedimento restrittivo della libertà personale emesso a seguito di condanna nel primo e nel secondo grado di giudizio, per i periodi di scarcerazione intercorsi nel corso del procedimento.

Art. 8

(Termini di efficacia)

  1. L’indulto ha efficacia per i reati commessi sino al 31 dicembre 1988.

Art. 9

(Termine di applicazione ed entrata in vigore)

  1. L’indulto si applica entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge.
  2. La presente legge entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

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