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CAMERA DEI DEPUTATI N. 1207

XIII LEGISLATURA

PROPOSTA DI LEGGE

D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI

FOLENA, SARACENI, CESETTI

Presentata il 24 maggio 1996

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Concessione di indulto per le pene relative a reati commessi

con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordinamento costituzionale

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge muove dalla constatazione dell’estinzione, ormai da tempo avvenuta, del fenomeno del terrorismo, sorto negli anni ‘70 e prospetta un equilibrio delle pene comminate, proponendo, nel rispetto del dettato e dello spirito della norma costituzionale, un indulto da applicare alle condanne conseguite per reati definiti "di terrorismo", giudicati con la cosiddetta "legislazione d’emergenza".

Questo provvedimento interviene- vedremo più avanti con quali effetti - su un soggetto residuale, estremamente circoscritto nelle dimensioni numeriche, ed affonda le sue radici in ragioni essenziali di giustizia e di umanità.

Esso fu già presentato e discusso presso la Commissione giustizia del Senato della Repubblica nella XI legislatura. La Commissione convenne unanimemente sulla necessità di affrontare il problema e approvò in sede referente, nella seduta del 15 dicembre 1993, un testo che recepiva le linee di fondo di questa proposta pur emendando alcuni punti specifici. La fine della legislatura non consentì la discussione in aula. Il tema fu poi ripreso, senza esito, nella XII legislatura.

Crediamo che il problema debba giungere ad una positiva soluzione in questa legislatura. Per rispetto alla nuova Assemblea riteniamo tuttavia corretto che la discussione riparta dal testo inizialmente proposto nella XI e nella XII legislatura, piuttosto che da quello già approvato in Commissione nella XI legislatura.

E’ per questo che qui proponiamo un testo la cui prima elaborazione e discussone è stata avviata nella X legislatura (atto Camera n. 4395, presentato il 6 dicembre 1989, primo firmatario onorevole Balbo), ma che è oggi corroborato - dopo i cambiamenti storici e politici degli ultimi anni - da dati e considerazioni nuovi che lo collocano in uno scenario affatto diverso e che più fortemente, a nostro avviso, motivano la sua approvazione. Del resto i provvedimenti legislativi che il Parlamento ha emanato in questi ultimi anni collocano organicamente la presente proposta di legge all’interno di un complessivo nuovo disegno dell’ordinamento penale.

Prima di tutto vorremmo sottolineare la dimensione quantitativa dei soggetti su cui il provvedimento agisce:

Se consideriamo che alcune ricerche, fatte da istituti diversi, hanno calcolato attorno alle cinquemila le persone che, nell’arco di poco più di un decennio, hanno vacato i cancelli del carcere per fatti inerenti alla sovversione armata e al fenomeno terrorismo degli anni ‘70, l’attuale numero di soggetti detenuti appare meramente residuale. Residualità che, del resto, non è soltanto quantitativa, se si riflette sulla discontinuità storica che separa il presente, che vive oggi il nostro Paese, dai contesti sociali, politici e culturali entro cui le organizzazioni armate ebbero origine e si svilupparono.

La necessità di un riequilibrio delle pene è una delle ragioni fondamentali della presente proposta di legge. come è noto, negli anni ‘70, a fronte dell’attacco terroristico, furono approvate varie leggi, complessivamente chiamate "di emergenza". Così pure carattere emergenziale ha avuto l’andamento dei processi. Alle une e agli altri sono conseguiti non indifferenti aggravi di pena: a parità di reato commesso la sanzione è stata molto più severa di quella che sarebbe stata nella situazione ordinaria.

Richiamiamo, per esemplificare il problema, l’attenzione sull’articolo 1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15:

"Art. 1. - Per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, punibili con la pena diversa dall’ergastolo, la pena è sempre aumentata della metà, salvo che la circostanza sia elemento costitutivo del rato.

Quando concorrono altre circostanze aggravanti, si applica per primo l’aumento di pena previsto per la circostanza aggravante di cui al comma precedente.

Le circostanze attenuanti concorrenti con l’aggravante di cui al primo comma non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa ed alle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena diversa o ne determina la misura in modo indipendente da quella ordinaria del reato".

Altre leggi ed emendamenti processuali hanno altresì contribuito a determinare, a parità di reato, un forte squilibrio tra i condannati per fatti comuni e quelli per fatti di terrorismo. Ricordiamo, ad esempio, la legge 18 aprile 1975, n. 110, in materia di armi che ha innalzato la pena per detenzione di un’arma da guerra da cinque a quindici anni di reclusione; senza tale finalità lo stesso reato è punito con una pena che va da uno a otto anni. Inoltre, gli imputati ed i condannati per fatti di terrorismo sono stati esplicitamente esclusi dall’amnistia e dal condono previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 18 dicembre 1981, n. 744, e dal decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 1978, n. 413, e, implicitamente, dal decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1986, n. 685, poiché sono stati esclusi i delitti quale quello di banda armata, caratterizzanti il fenomeno terroristico.

Sono state poi applicate, con giurisprudenza pressoché costante, scelte processuali che hanno determinato un considerevole inasprimento delle pene. Un terrorista arrestato con armi, ad esempio, veniva giudicato, come dovuto, con rito direttissimo, mentre iniziava l’istruttoria per gli altri reati. I due procedimenti avevano, quindi, svolgimenti diversi nel tempo, con pene autonome che spesso si sono sommate aritmeticamente piuttosto che essere determinate in regime di continuazione, ai sensi dell’articolo 81 del codice penale. Simile conseguenza ha avuto la pressoché costante mancata applicazione della connessione soggettiva, specie per gli imputati in procedimenti iniziati da autorità giudiziarie di diversi distretti di corte d’appello.

Infine, anche i termini di custodia cautelare hanno avuto, per questi particolari imputati, una consistente dilatazione, giungendo - è bene ricordarlo - fino a dieci anni ed otto mesi.

Di fronte a questa disparità di trattamento, il recupero di una misura di equilibrio costituisce, a nostro avviso, uno dei motivi essenziali della approvazione della presente proposta di legge.

Un punto delicato, anche questo da affrontare con il principio del riequilibrio, è quello relativo ai circa ottanta condannati all’ergastolo, che rappresentano un terzo dell’attuale totale dei detenuti per fatti di lotta armata. Come è noto, infatti, con il già ricordato decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15, la pena dell’ergastolo, nel caso di gravi fatti di sangue, divenne, di fatto, una misura automatica, mentre, nel caso di rati comuni, essa è soltanto una tra le pene possibili (la più rara).

Il problema del riequilibrio, in questi casi, si pone anche in considerazione del trattamento differenziato tra gli stessi condannati per fatti di terrorismo, che, legittimato sul piano giurisprudenziale in virtù delle leggi d’emergenza, dovrebbe tuttavia, oggi, con il venir meno di ogni pericolosità soggettive e oggettiva, essere recuperato sulla base di un criterio di equità.

Sotto il profilo del venir meno della pericolosità sociale, la presente proposta di legge agisce su soggetti che, sebbene accusati dei reati più gravi, hanno dimostrato da molti anni, in forme concrete, il loro avvenuto reinserimento.

Di ciò danno conferma sia i rappresentanti delle autorità carcerarie, che hanno rapporti con loro più costanti e più vicini, sia coloro che, per lavoro, attività culturali o di volontariato (in virtù dell’articolo 17 della legge 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) li frequentano. Anche il Parlamento, escludendo - per la prima volta dopo oltre dodici anni - dalle misure anticriminalità, adottate nella passata legislatura, i detenuti per i reati di terrorismo, ha indubbiamente riconosciuto il venir meno della pericolosità sociale dei soggetti che hanno fatto parte del fenomeno terroristico di quegli anni.

Altre controprove sono date con evidenza dai fatti che qui si enumerano:

Al contempo, sempre sotto il profilo del venir meno della pericolosità sociale, occorre anche considerare le circa centotrenta persone attualmente latitanti - per lo più in Francia - per fatti di lotta armata. Per quanto il problema specifico sia rinviato dai firmatari ad ulteriori approfondimenti, è infatti noto - sia alle autorità preposte alla repressione del fenomeno, sia all’opinione pubblica - l’effettivo e dichiarato distacco di queste persone da ogni attività eversiva.

Questi elementi positivi fanno emergere la necessità di un intervento legislativo generale che eviti un uso distorto della discrezionalità nell’adozione dei provvedimenti e, di fatto, una disparità nell’accesso agli istituti previsti. E’ ormai evidente che gli strumenti predisposti dal legislatore in questi anni per favorire un graduale rientro da una situazione di eccezionalità, sono stati necessariamente provvedimenti parziali e temporanei che hanno potuto soltanto affrontare il problema in modo limitato, dando poi luogo a soluzioni parziali.

Vorremmo allora considerare per sommi capi quali effetti avrebbe l’attuazione della presente proposta di legge sui circa duecentosessanta detenuti di cui si è detto, assumendo, come ineludibile, la necessità da parte delle istituzioni di garantirsi - e garantire - gradualità e sicurezza.

Dal punto di vista della gradualità, possiamo offrire il seguente esempio: un detenuto per fatti di lotta armata arrestato nel 1982 (è il caso più frequente) all’età di ventotto anni e condannato all’ergastolo, che attualmente ha già quattordici anni di reclusione, con un indulto che commutasse la sua pena perpetua in pena temporanea di ventuno anni, avrebbe il suo fine pena nel 2003, all’età di quarantanove-cinquanta anni.

La possibilità di anticipare la fine dell’esecuzione della pena è connessa alla concessione di benefici premiali che, come è noto, sono misure individuali e sottoposte al diretto controllo dell’autorità giudiziaria, che dovrà di caso in caso valutare la pericolosità sociale del soggetto.

A questo caso - rappresentativo della maggioranza dei detenuti all’ergastolo per fatti di lotta armata - possiamo affiancare quelli estremi ed opposti di :

Onorevoli colleghi, la presente proposta di legge intende sottrarsi ad ogni interpretazione politico-simbolica ("perdonismo", "colpo di spugna", "postumi riconoscimenti politici") e vuole riportare la discussione all’oggetto in questione. Noi crediamo nella necessità di risolvere, sulla base di criteri di giustizia e di umanità una situazione che riguarda un esiguo numero di soggetti, offrendo tuttavia la possibilità di superare una fase di emergenza, drammaticamente vissuta dal nostro Paese.


PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1

(Indulto)

  1. E’ concesso indulto per le pene relative a reati commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, anche se la tale finalità non ha formato oggetto di formale contestazione o condanna, nelle seguenti misure:
  1. la pena dell’ergastolo è commutata in quella della reclusione per anni ventuno;
  2. le pene detentive temporanee sono ridotte di anni cinque se non superiori ad anni dieci di detenzione, della metà negli altri casi;
  3. le pene pecuniarie, sole o congiunte alle pene detentive, sono interamente condonate;
  4. le pene accessorie, quando conseguono a condanne per le quali è applicato, in tutto o in parte, l’indulto, sono interamente condonate.

Art. 2

(Esclusioni oggettive)

  1. L’indulto previsto nell’articolo 1 della presente legge non si applica ai reati di cui agli articoli 285 e 422 del codice penale se dalla commissione dei reati stessi sia derivata la morte.

Art. 3

(Applicazione dell’indulto)

  1. L’indulto previsto nell’articolo 1 della presente legge si applica sul cumulo delle pene anche se stabilito in applicazione della legge 18 febbraio 1987, n. 34.

Art. 4

(Applicazione dell’indulto in caso di continuazione del reato)

  1. Quando vi è stata condanna ai sensi dell’articolo 81, secondo comma, del codice penale, ove necessario, il giudice, con l’osservanza delle forme previste per gli incidenti di esecuzione, applica l’indulto previsto dall’articolo 1 della presente legge determinando la quantità di pena condonata per i singoli reati.

Art. 5

(Revoca dell’indulto)

  1. L’indulto previsto è revocato di diritto qualora chi ne abbia usufruito commetta, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un delitto della stessa indole per il quale riporti condanna a pena detentiva superiore ad anni due.

Art. 6

(Computo dei periodi di scarcerazione)

  1. Coloro che, imputati per reati commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, siano stati nel corso del procedimento a loro carico comunque scarcerati, qualora non si sottraggano alla cattura dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna e qualora non abbiano commesso durante il periodo di scarcerazione alcun reato, possono computare, ai fini delle disposizioni di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, il periodo intercorso tra la scarcerazione e l’esecuzione della sentenza.
  2. Le stesse disposizioni di cui al comma 1 si applicano, nell’ipotesi di emissione di provvedimento restrittivo della libertà personale a seguito di condanna nel primo e nel secondo grado di giudizio, per i periodi di scarcerazione intercorsi nel corso del procedimento.

Art. 7

(Termine di efficacia)

  1. L’indulto ha efficacia per i reati commessi sino al 31 dicembre 1988.

Art. 8

(Entrata in vigore)

  1. La presente legge entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

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