Quando sentiamo o leggiamo la parola "flessibilità" in televisione o sui giornali, quello che ci viene detto è che la flessibilità nel lavoro serve ad aumentare la produttività del lavoro.Ciò che viene reso flessibile sono le modalità di utilizzo dei lavoratori e delle lavoratrici.Ci vogliono abituare a svolgere più mansioni, anche molto differenti fra loro; secondo tempi di lavoro che possono variare sensibilmente a seconda delle esigenze dell'impresa (dalle 4 o 6 ore del part-time alle 10 o 12 ore quando vengono richiesti gli straordinari, oppure può capitare di lavorare per un tempo prestabilito - ad esempio 8 ore - ma solo per determinati periodi di tempo quali possono essere quelli stabiliti nei contratti a tempo determinato); in luoghi differenti e distanti fra loro; ad un salario che varia sensibilmente a seconda del particolare contratto che viene stipulato (CFL, apprendistato, a tempo determinato, etc) e della zona in cui i lavoratori sono impiegati (nord o sud).
La flessibilità quindi appare come un nuovo modo di impiego dei lavoratori che serve a rendere il lavoro più funzionale alla produttività, più utile alle imprese e dunque all'economia italiana, che deve adeguarsi ai parametri europei.
Quanto detto non è falso, ma rappresenta solamente un punto di vista, e più precisamente quello di coloro che beneficiano della flessibilità e quindi della produttività del lavoro, ossia i padroni.
Proviamo quindi a considerare la flessibilità da un altro punto di vista e cioè dal punto di vista dei prestatori del lavoro flessibile, ossia dal nostro.
Se partiamo dal fatto che lavoriamo solamente in cambio del salario e quindi per avere i soldi a fine mese, non riusciamo proprio a spiegarci perché dovremmo accettare questo nuovo modo di lavorare.Infatti, la flessibilità - per noi - significa solamente : cambiare di mese in mese, di giorno in giorno, il tipo di lavoro che svolgiamo a seconda di ciò che serve all'impresa in un particolare periodo o momento; non poterci programmare le giornate e la vita perché non si sa mai quando e per quanto si lavorerà oppure quando si potranno prendere le ferie; cambiare luoghi di lavoro, dovendo magari prendere il treno tutti i giorni o addirittura dovendo cambiare città; accettare consistenti riduzioni del salario solamente perché si è stati assunti con un certo tipo di contratto.
Non si capisce quindi perché
dovremmo accettare la crescente flessibilizzazione del lavoro;
non lo si capisce solamente perché fino ad adesso non abbiamo
considerato la questione dal nostro punto di vista, quello della
precarizzazione.
Sempre leggendo i giornali e guardando la televisione ci viene detto che attraverso la precarizzazione del lavoro si può arrivare ad una riduzione della giornata lavorativa - ad esempio da 8 a 4 ore - e ad una ridistribuzione del lavoro ai disoccupati poiché, se in altri tempi servivano 100 lavoratori per fare un certo lavoro, oggi - con lo sviluppo della tecnologia - ne servirebbero solamente 50 e quindi si potrebbero utilizzare 100 lavoratori per la metà del tempo.
Se le cose stessero così, se cioè esistesse un interesse di tutti al conseguimento di uno stesso scopo, saremmo tutti ben contenti della nascita di questo nuovo modo di lavorare.In realtà, l'interesse delle imprese è quello di produrre di più spendendo di meno, poiché solo in questo modo possono vendere sul mercato le merci prodotte ad un prezzo competitivo; quindi - se prendiamo l'esempio fatto poc'anzi - è nell'interesse dell'impresa far lavorare non 100, né 50, ma 20 lavoratori ad una maggiore intensità, poiché è sempre più conveniente pagare 20 salari al posto di 100 (non è un caso che molte imprese preferiscano far fare gli straordinari al posto di assumere altri lavoratori).
L'aumento dell'intensità del
lavoro è ottenuto appunto mediante la flessibilità
delle modalità di impiego dei lavoratori e delle lavoratrici,
e la flessibilità ci è imposta attraverso
la precarizzazione del lavoro, ossia mediante il ricatto
della risoluzione del rapporto di lavoro (licenziamento, non conferma
del lavoratore in formazione, in prova o a tempo determinato).Siamo
costretti ad accettare la flessibilità perché siamo
costantemente sotto la minaccia di essere cacciati; la crescente
precarietà del lavoro va vista quindi dal nostro
punto di vista, poiché siamo noi che dobbiamo lavorare
in queste condizioni; solo da questa prospettiva possiamo cogliere
le conseguenze della precarizzazione del lavoro.
Adesso possiamo ben capire a cosa servano tutte quelle nuove tipologie di contratti e di modalità di impiego dei lavoratori.Quando in 10 si lavora a tempo determinato (col CFL, in prova, etc) e si sa che solamente 5 verranno confermati ed assunti a tempo indeterminato, si può comprendere quale sia quel meccanismo che trasforma lavoratori normali in lavoratori flessibili : si genera una silenziosa concorrenza fra lavoratori, non tanto per chi lavora meglio ma quantomeno per chi non lavora peggio, nel senso che quello che solitamente si viene a creare è una situazione nella quale chi si ammala, chi fa valere le proprie ragioni, chi arriva con 5 minuti di ritardo, chi non vuole fare gli straordinari o lavorare il fine settimana quando ciò viene richiesto, rischia di essere tagliato fuori.Lavoratori e lavoratrici devono attenersi alle condizioni imposte dall'impresa, ma non solo, poiché lo devono fare in silenzio e, se possibile, col sorriso sulla faccia.
Ecco che quindi la precarizzazione si
trasforma in comodo strumento per imporre la flessibilità.E
non solo; attraverso il ricatto della risoluzione del rapporto
di lavoro, le imprese disciplinano i lavoratori, impongono loro
non solo di lavorare ma di lavorare con una certa intensità,
con certi ritmi, in certi tempi, in certi luoghi, a certe condizioni,
ad un certo salario; rompono quella solidarietà che spontaneamente
si sviluppa fra persone collocate nella medesima situazione poiché
trasformano un problema collettivo in tanti problemi individuali
in competizione fra loro.
Da quanto detto sembra che la flessibilizzazione riguardi solamente il mondo del lavoro, ed infatti così è.Parliamo di flessibilità in relazione alle scuole e alle università poichè il sistema formativo si sta sempre più consolidando come sistema di formazione professionale, ossia quale strumento di formazione di futuri lavoratori.Parliamo di flessibilità nel sistema formativo poiché si è fatto molto più stretto il legame fra istruzione scolastica e formazione professionale, fra cultura e cultura di impresa, rendendosi molto più intimo il nesso fra studente e lavoratore.
Televisioni e giornali ci mostrano come sia segno di progresso e di civiltà il fatto che la scuola prepari ed indirizzi gli studenti al lavoro; come sia utile, per gli studenti, studiare in funzione di un lavoro poiché - dicono - il lavoro non è facile da trovare, bisogna dimostrarsi capaci da subito, bisogna "meritarlo".Spuntano i progetti di autonomia scolastica (riforma D'Onofrio-Berlinguer), finalizzati a costruire un rapporto più stretto fra imprenditoria locale e formazione scolastica in modo che si possano trasformare gli edifici scolastici in distaccamenti delle imprese locali finalizzati alla formazione di competenze e capacità lavorative specifiche.
Ecco quindi che la flessibilità penetra nelle mura scolastiche : attraverso il finanziamento dalle imprese alle scuole viene in un certo senso stabilita la proprietà di esse; i programmi didattici cominciano a differenziarsi da scuola a scuola, da regione a regione - la tanto auspicata autonomia -, a seconda delle particolari esigenze delle imprese locali e a seconda della particolare congiuntura (in periodi in cui vi è una consistente domanda di lavoro, tali scuole butteranno fuori un numero consistente di futuri lavoratori mentre accadrà il contrario nei periodi di crisi di tali imprese).
Dal punto di vista delle imprese non si potrebbe desiderare di meglio : la scuola si occupa di formare, secondo le esigenze delle imprese finanziatrici, lavoratori adatti a svolgere determinate mansioni; mediante gli stages formativi può immediatamente usufruire di lavoratori e lavoratrici a basso costo, che poi continuerà ad utilizzare servendosi dei contratti di apprendistato e a tempo determinato, operando quella selezione di cui abbiamo già parlato prima.Il sistema formativo in generale - scuole ed università - tenderà ad integrarsi sempre più col tessuto produttivo locale e quindi a flessibilizzarsi - nei programmi didattici, nelle modalità di studio, nell'attività pratica - compatibilmente con le variazioni della domanda di lavoro, con le tipologie di lavori richiesti, con le esigenze di produttività delle imprese locali.
Dal punto di vista di studenti e studentesse,
la flessibilizzazione del sistema formativo mediante l'introduzione
delle autonomie finanziarie (ossia mediante una sostanziale
privatizzazione delle scuole e delle università) rappresenta
solamente uno svuotamento di contenuto della loro attività
didattica ed una conseguente lavorizzazione di essa.
I primi passi verso una progressiva precarizzazione del lavoro sono stati fatti attraverso gli accordi stipulati fra Confindustria e Sindacati nel 92 e 93; il 19 giugno 97 viene fatto un altro grande passo avanti con l'approvazione del "pacchetto Treu" che, tra le altre cose, legalizza in Italia il lavoro interinale o lavoro in affitto.Il lavoro interinale consente a delle agenzie private di mediare lo scambio fra lavoratori ed imprese : in pratica, queste agenzie affittano, per periodi di tempo determinati, lavoratori e lavoratrici alle imprese che ne fanno richiesta.Il lavoratore col contratto interinale viene chiamato al lavoro tramite l'agenzia (e non più attraverso il collocamento), e utilizzato per il periodo strettamente necessario; viene poi restituito all'agenzia che lo collocherà in seguito altrove...se c'è richiesta e se si è dimostrato "meritevole".
Nel pacchetto Treu, vengono inoltre inclusi gli enti pubblici operanti nella ricerca nelle categorie delle imprese che possono applicare i CFL; viene inoltre prorogato per 12 mesi (quindi per un totale di 3 anni) il trattamento economico previsto dal CFL e inoltre viene previsto, allo scadere del contratto di formazione, un livello di inquadramento inferiore a quello di destinazione (art.14 e 15).
Il contratto di apprendistato, che era fissato dai 15 ai 20 anni, viene ridefinito per età comprese fra i 16 e i 24 anni - 26 al sud - e può essere applicato in tutti i settori del lavoro (art.16).
Viene inoltre formalizzato quel nesso fra sistema formativo e lavoro di cui parlavamo prima, nel senso di un maggiore ricorso agli stages, nei quali gli studenti saranno giudicati e catalogati in base al merito - i cosiddetti "crediti formativi" - (art.17 e 18).
Il pacchetto Treu rappresenta quindi
un enorme regalo ai padroni che vedono rimodellarsi l'intera società
(scuola, università, enti pubblici di ricerca, strutture
di assistenza sociale, etc) ad uso e consumo delle imprese.
Per vedere come ci viene presentato questo regalo riportiamo alcuni stralci dal pacchetto Treu :
art. 17 - Allo scopo di assicurare ai lavoratori adeguate opportunità di formazione ed elevazione professionale anche attraverso l'integrazione del sistema di formazione professionale con il sistema scolastico e con il mondo del lavoro e un più razionale utilizzo delle risorse vigenti...anche con riferimento ai profili formativi di speciali rapporti di lavoro quali l'apprendistato e il CFL, il seguente articolo definisce i seguenti principi...a) valorizzazione della formazione professionale quale strumento per migliorare la qualità dell'offerta di lavoro, elevare le capacità competitive del sistema produttivo...attraverso attività di formazione professionale caratterizzate da moduli flessibili, adeguati alle diverse realtà produttive locali...c) svolgimento delle attività di formazione professionale da parte delle regioni e/o delle province anche in convenzione con istituti di istruzione secondaria...f) adozione di misure idonee a favorire...la formazione e la mobilità interna e esterna al settore degli addetti alla formazione professionale nonché la trasformazione dei centri in agenzie formative al fine di migliorare l'offerta formativa e facilitare l'integrazione dei sistemi...
art.18
- Al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro...a)
possibilità di promozione delle iniziative...da parte di
soggetti pubblici o a partecipazione pubblica o di soggetti privati
non aventi scopo di lucro...ossia, agenzie regionali per l'impiego
e uffici periferici del ministero del Lavoro e della previdenza
sociale; università; provveditorati agli studi;
istituzioni scolastiche statali e istituzioni scolastiche non
statali che rilascino titoli di studio con valore legale;
centri pubblici di formazione e/o orientamento...; comunità
terapeutiche, enti ausiliari e cooperative sociali;...f) attribuzione
del valore di crediti formativi (ossia giudizi di merito
e di demerito) alle attività svolte nel corso degli stages
e delle iniziative di tirocinio pratico...