Lettera di Giulia, Dino e Marcello, scritta prima dell'udienza nella questura di Djarbakir (KURDISTAN)

Ieri 21 marzo, durante le manifestazioni per il capodanno curdo, la polizia turca ha caricato pesantemente centinaia di curdi in diverse manifestazioni. Tra di loro c'erano alcuni italiani in qualità di osservatori internazionali ( DINO FRISULLO - GIULIA CHIARINI una compagna del collettivo - MARCELLO MUSTO. FRA I FERITI VI E' UN GIORNALISTA ITALIANO PAOLO PELLEGRINO) nella città di Diyarbakir. Sono stati effettuati centinaia di arresti tra la popolazione curda. Al momento l'unica dichiarazione del ministro Dini che è stato contattato da una familiare degli arrestati è stata: "la situazione è delicata…" Chiediamo l'immediato rilascio di tutti gli arrestati e l'immediata presa di posizione delle istituzioni sulle violazioni continue dei diritti umani in Turchia. Chiediamo a tutte le realta' di movimento di mobilitarsi nelle singole citta' facendo pressione sulle istituzioni, focalizzando su questo caso l'attenzione dell'opinione pubblica.

"Forse chi legge conoscerà già l'epilogo del processo per "istigazione al separatismo" che ci attende in questa Corte di sicurezza dello Stato di Dijarbakir, dopo due giorni di detenzione. Siamo entrati in questo cubo di cemento incolonnati per due con altri trenta giovani Kurdi dai volti poveri e fieri, gli stessi che l'altro ieri danzavano e cantavano per un giorno liberi, la loro festa del Newroz. Colpevoli di questo, nemici dello stato per questo. Lo sapevano, ce l'avevano detto, fra il fumo dei fuochi della libertà: oggi è festa, oggi verranno a prenderci. Nella caserma di polizia abbiamo poi visto i filmati in cui, volto per volto, sceglievano le prossime vittime. Ora sono qui davanti a noi, quelli presi di notte nelle case e quelli bastonati e gettati nei furgoni mentre fronteggiavano con i sassi un esercito. Una non c'è, una ragazza travolta dalla prima carica, ora in coma in ospedale. Le voci si inseguono, un bambino travolto dai cingoli made in Italy, cinquanta fermati, cento, due morti a Van. E' un bollettino di guerra. Guerra di povera gente contro un esercito di occupazione. Li abbiamo visti in questi giorni dall'interno, nelle caserme e nei corridoi di tribunale in cui strattonavano di qua e di là esseri umani come bestie, vecchi donne uomini e bambini, dalla tortura alla prigione o viceversa. Abbiamo visto vestiti stracciati e insanguinati, e sempre quei volti fieri e dignitosi. Dopo ventiquattro ore senza cibo nè acqua nè coperte, riusciti a comprare un sacchetto di banane ne avevamo offerta una a un vecchio magro accovacciato in attesa del giudice: l'hanno afferrato per un braccio, l'hanno costretto a sputarla. Ora ci hanno separati, loro e noi, ma di nascosto ci si sorride e ci si scambia il segno della vittoria e della pace. In attesa del giudice, e di separarci. Forse. Abbiamo messo in conto di poter andare con loro nella "scuola di lotta e di vita", che è per loro il carcere. Non è vocazione al martirio o esibizionismo. E' coerenza , crediamo. Perché quando vedi un gigante armato bastonare nello stomaco un bimbo di non più di sei anni, non puoi restare osservatore imparziale. Quando vedi cinquantamila persone danzare intorno ai fuochi, non puoi che unirti a loro e ai loro sloagans, anche se le telecamere della polizia vigilano. Quando un giudice ti chiede se il PKK è terrorista non puoi dire di sì, sapendo che invece è popolo. Quando sei in Kurdistan, non puoi non riconoscerlo e chiamarlo col suo nome, condividendo l'Intifada, che qui si chiama Serkildane, dei bambini di Dijarbakir. Ci hanno fermati perchè eravamo lì a proteggere, con la nostra nuda presenza, quei bambini. Ci hanno arrestati perchè ci hanno riconosciuti: quelli del Treno della Pace, quelli delle danze del Newroz, quelli che si mettevano fra loro e la polizia. Ci hanno processati perchè c'è un teorema che dice: chi non è con noi è contro, ed illegale, e terrorista. Siamo diventati un sasso nell'infernale ingranaggio della complicità europea con questo Stato genocida e terrorista. Comunque vada a finire, la nostra presenza qui ha aperto un sorriso nei volti dei giovani che ora sfilavano nel corridoio, scortati in formazione militare anche per andare al cesso. Comunque vada, siamo stati utili. Eravamo insieme in piazza, e veniamo ora a sapere che saremo processati insieme, noi te e ventisei Kurdi. Dalla solidarietà alla partecipazione, alla condivisione c'è un doppio salto, e l'abbiamo fatto."

Giulia Chiarini, Dino Frisullo, Marcello Musto