ANALISI DEI PUNTI NODALI DELLA "BOZZA MARTINOTTI"

1. Contrattualità tra ateneo e studenti
Il contratto ateneo/studente definito dalla Martinotti come "l'accordo bilaterale con prestazioni corrispettive" non ci sembra assolutamente adeguato a prevedere gli strumenti per tutelare lo studente nel momento in cui l'ateneo non rispetti i propri impegni. Noi crediamo che, oltre che fumosa, la contrattualità sia un elemento particolarmente negativo. Innanzitutto essa pone lo studente, nel limitatissimo potere individuale, fuori dal sistema universitario, come un cliente in un mercato dove contratta con l'offerta modalità, servizi e richieste. Già questo sottende una filosofia inaccettabile.
"Rivalutando il ruolo di studentesse e studenti quali soggetti attivi adulti e contribuendo, al tempo stesso, ad avviare un processo di aumento della trasparenza nell'offerta formativa", noi chiediamo la formulazione di un patto di cittadinanza dello studente nella comunità universitaria; patto garantito dal potere reale degli studenti esercitato collettivamente in organi collegiali; con la forza di promuovere ovvero bocciare provvedimenti e partecipare all'amministrazione in toto dell'università come comunità di docenti e studenti. Noi vogliamo garantiti diritti e doveri di studenti e dell'università che non vengano contrattati all'atto di iscrizione, così come nessun cittadino nato contratta per far valere i principi costituzionali. A questo fine si promuove un sistema di valutazione fatto dagli studenti vincolante la discussione in una commissione mista.
Crediamo importante, inoltre, il riconoscimento dello studente lavoratore come una realtà radicata. Ciò nonostante il panorama non può terminare in una netta divisione tra chi lavora e non, perché presenta anche situazioni intermedie, poco catalogabili. E' fondamentale quindi che venga prevista una pluralità di strumenti metodi di apprendimento, liberamente scelti, volta per volta, dallo studente secondo le proprie esigenze e non due aberranti contratti rigidi (full time e part time).

2. Differenziazione competitiva tra atenei
La competitività è introdotta nella Martinotti, come mezzo per "stimolare, e, differenziare l'offerta formativa nei diversi atenei". Convinti della necessità di un miglioramento qualitativo del sistema universitario italiano, riteniamo che qui il principio sia profondamente inadeguato assumendo processi di mercato per un mondo, quello della cultura, che non può essere misurato e scrutato con parametri economici senza dover allora abolire la cultura per il puro tecnicismo. La competitività infatti demanda ad una "mano invisibile" l'avvio del processo di miglioramento e soprattutto non tiene conto delle attuali disparità tra centri universitari. Se, come recita la legge 59/97 "le norme devono essere finalizzate a garantire l'accesso agli studi universitari", crediamo necessario che ogni regione debba essere capace di garantire "il rispetto delle esigenze formative degli studenti"(art.21, comma 9). La mobilità deve, a nostro avviso, essere un'opportunità e non un obbligo, come invece lo sarebbe nel caso della realizzazione di un sistema competitivo.
L'autonomia organizzativa e didattica non è di per sé sufficiente a innalzare il livello qualitativo dell'università ma deve essere vincolata da parametri oggettivi definiti da organi collegiali possibilmente paritetici, che consentano di valutare l'efficienza del sistema non in termini economici e quantitativi bensì in termini di capacità dello stesso di soddisfare le esigenze e le richieste della componente studentesca .
L'autonomia finanziaria degli atenei si concretizza, a nostro avviso, in una giusta distribuzione delle risorse ministeriali da indirizzare ad ogni singola facoltà a cui spetta la gestione. Il nostro categorico rifiuto al principio dell'incentivo economico alle università più "valide e razionali nella spesa" ci porta ad affermare che, qualora l'Università risultasse inadempiente, si debbano prevedere sanzioni che non ricadano sull'intera comunità universitaria (riduzione dei finanziamenti) ma sui veri responsabili, prevedendo, pur nel rispetto delle garanzie prescritte dalla legge, anche la rimozione dagli incarichi. Questo da una parte impedirà l'irresponsabilità derivante dalla copertura finanziaria garantita in passato dal ministero e dall'altra impedirà che la sperequazione tra Atenei, in un panorama variegato come quello italiano, si accentui sull'onda del principio del "darwinismo universitario".

3. Valutazione
La valutazione degli Atenei è un elemento determinante per il buon funzionamento del sistema universitario sebbene lo stesso termine sembra avere accezioni diverse, spesso contrapposte.
Noi non vediamo assolutamente la definizione di stanziamenti differenziati come una delle finalità della valutazione, ma come un limite al potere derivante dalla autonomia. Pensiamo che la valutazione debba avere la finalità di fotografare perfettamente il panorama universitario italiano, scovandone gli sprechi, il malgoverno, il potere lobbystico e il derivante mal funzionamento .
La valutazione, nel rispetto del principio di autonomia, va inserita in un chiaro piano ministeriale che permetta uno sviluppo armonico e uniforme della Università su tutto il territorio nazionale. Non è quindi possibile non inserire in questa compagine la figura equilibratrice dello Stato e in particolare del ministero dell'Università sentito il ministro del Tesoro .
Il compito di valutare lo sviluppo e il funzionamento dei singoli Atenei e, più specificamente, delle varie facoltà deve essere attribuito a commissioni permanenti interne, composte da docenti, studenti e personale non docente che osservino la vita nelle facoltà e analizzino i vincolanti questionari da istituire e soprattutto istituzionalizzare, compilati dagli studenti e riguardanti la reale efficienza dell'Ateneo. Per noi efficienza non è solo un parametro economico ma soprattutto deve indicare quanto effettivamente l'Ateneo offra in termini di Diritto allo Studio, servizi (biblioteche, seminari, ricerca), qualità dell'insegnamento, presenza continua dei docenti e reperibilità degli stessi, snellimento dei procedimenti burocratici, lavoro di segreteria....Tocca al ministero raccogliere ed elaborare tutte le informazioni e gli atti prodotti nelle commissioni e valutare casi particolari di inefficienza ed eventuali sanzioni a carico dei responsabili (vedi par. 2).
A questo punto è necessario, dato l'allargamento dell'ambito di competenza e di responsabilità del rettore e del preside, prevedere un sistema di elezioni di questi, come rappresentanti di tutto l'Ateneo e non solo di una parte minoritaria come quella dei docenti, che veda partecipi, in maniera paritetica, anche gli studenti.

4. Strutturazione dell'istruzione universitaria e post-universitaria
La suddivisione del corso di laurea per livelli incontra il nostro consenso perché offre la possibilità agli studenti di trovare nel mondo universitario la soluzione rispondente alle diverse esigenze individuali; purché questo non porti ad un alleggerimento qualitativo degli stessi livelli (come nel caso del C.U.B.) rendendoli vaghi e inutili. Inoltre, un sistema di certificazioni degli esami sostenuti e dell'attività di studio svolta consentirebbe, a chi decidesse di abbandonare gli studi, di avere un riconoscimento di tutto il lavoro compiuto. Nonostante le perplessità riguardo alla effettiva spendibilità nel mondo del lavoro, ciò permetterebbe comunque un più semplice e più economico reinserimento nell'Università.
L'applicazione pratica di questo principio, nella bozza Martinotti, è in parte identificabile con il C.U.B. Tuttavia tale soluzione deve essere rifiutata: la creazione di corsi esterni o, tutt'al più, paralleli agli attuali corsi di laurea non può che gravare ulteriormente sul già dissestato bilancio dello Stato, e dal punto di vista qualitativo rischiano di configurarsi come aree di parcheggio funzionali alle imprese..
Concordiamo con l'obbiettivo della riduzione degli anni effettivi di studio necessari al conseguimento della laurea, per permettere agli studenti un più rapido inserimento nel mondo del lavoro, e in più con l'obbiettivo della soluzione della piaga dell'abbandono precoce dei corsi di studio. L'abbandono è infatti dovuto alla mancanza di un valido sistema di orientamento che dia, soprattutto agli studenti delle scuole superiori, le conoscenze per una scelta oculata e adeguata alla propria vocazione. Per molti degli studenti il percorso universitario viene intrapreso più come avventura che come scelta consapevole; la dimostrazione è nei ricorrenti trasferimenti tra facoltà nei primi anni. Altro motivo dell'abbandono va legato alla mancanza di sostegno per quegli studenti con realtà economiche difficili che, obbligati a cercar lavoro, perdono di vista l'università, abbandonandola.
L'università deve fornire delle solide basi culturali e una forte elasticità mentale agli studenti, i quali una volta laureati vanno allora ad acquisire competenze tecniche e specializzazioni direttamente nel mondo del lavoro, grazie alla formazione impartita (a proprie spese) dalle aziende e dalla P.A. ai propri dipendenti.
Questo quadro, a nostro avviso, si inserisce armonicamente in un mondo del lavoro in continuo sviluppo, con figure professionali in veloce cambiamento, che non permette una profonda specializzazione di base, questa sì, deperibile (e non la cultura).
Nel sistema attuale, non accettiamo assolutamente la discriminazione che viene posta all'accesso ai Masters: i prezzi di iscrizione risultano proibitivi per molti studenti. Questi corsi andrebbero sostituiti con il rafforzamento dei dottorati, a nostro giudizio, più validi. Essi danno allo studente un ruolo culturale attivo di ricerca, rappresentando il passaggio dal semplice apprendimento alla viva elaborazione.