L'uso della psichiatria per le persecuzioni
Venendo ora a parlare dell'argomento attualmente così dibattuto
e popolare dell'uso delle idee psichiatriche per la persecuzione e l'internamento
di dissidenti intellettuali o di avversari politici, si deve dire che noi
in Italia ne abbiamo una vecchia esperienza.
Da Passanante a Bresci fino ai nostri giorni gli psichiatri italiani non
sono rimasti indietro a nessuno in questo singolare capitolo della repressione
politica.
Ultima nel tempo la vicenda recente di Carlo Sabattini.
Quando Gaetano Bresci, il 29 luglio del 1900, uccise il Re Umberto I vi
fu sui giornali e sulle riviste un vivace dibattito sul problema della
normalità o anormalità del militante anarchico responsabile
del regicidio.
Però nessuno mise in discussione le facoltà mentali del generale
Bava Beccaris che nel 1898 a Milano aveva sparato coi cannoni sulla folla
affamata.
Negli avvenimenti sempre più tumultuosi del nuovo secolo la psichiatria
è sempre più utile.
Scrive Ernst Toller in "Oplà, noi viviamo!"
-- dramma in cinque atti e un prologo, ambientato in Inghilterra all'epoca
del movimento Luddita -- nell'intermezzo filmato dopo il prologo:
Dietro la scena:
Coro (fluendo e rifluendo ritmicamente) Buon anno! Buon anno! Edizione
straordinaria! Edizione straordinaria! Novità sensazionale! Edizione
straordinaria! Edizione straordinaria! Novità sensazionale!
Sullo schermo:
Scene degli anni 1919-27 (inframmezzate dalla visione di Karl Thomas che,
in camice ospitaliero, cammina su e giù in una cella di manicomio)
1919: Patto di Versailles.
1920: Torbidi alla borsa di New York. Uomini che impazziscono.
1921: Il fascismo in Italia.
1922: Fame a Vienna. Uomini che impazziscono.
1923: Inflazione in Germania. Uomini che impazziscono.
1924: Morte di Lenin in Russia. Necrologia su un giornale: "Stanotte
è spirata la signora Thomas..."
1925: Gandhi in India.
1926: Combattimenti in Cina. Conferenze di statisti europei in Europa.
1927: Quadrante di un orologio. Le lancette avanzano: prima adagio... pOi
sempre più presto...
Rumori di orologi.
E subito, nella prima scena del primo atto, Ernst Toller, scrittore dissidente
e militante rivoluzionario, tratto su tratto, affronta la questione di
cui ci occupiamo con luminosa chiarezza:
SCENA PRIMA
Ufficio di un manicomio.
Davanti a un armadio, un infermiere. Presso la finestra con inferriata
il professor Ludin.
INFERMIERE -- Un paio di calzoni grigi. Un paio di calzerotti di lana.
Biancheria non ne aveva?
KARL -- Non so.
INFERMIERE -- Già... Un gilè nero. Una giacchetta nera. Un
paio di calzini. Niente cappello.
PROFESSOR LUDIN -- E denaro?
INFERMIERE -- Niente, professore.
PROFESSOR LUDIN -- Parenti?
KARL -- Ho avuto ieri la notizia che mia madre è morta tre anni
fa.
PROFESSOR LUDIN -- Non sarà facile, per lei. Oggi la vita è
dura. Bisogna lavorare di gomiti. Mai disperare. Dar tempo al tempo.
INFERMIERE -- Dimesso 1'8 maggio 1927.
KARL -- NO!
PROFESSOR LUDIN -- Ma sì, ma sì.
KARL -- 1927?
PROFESSOR LUDIN -- Eh già, otto annetti in pensione da noi. Vestito,
nutrito, assistito. Non le è mancato nulla. Pensi: lei è
stato un caso clinico interessante.
KARL -- Come se tutto si fosse cancellato... Eppure... Qualcosa ricordo...
PROFESSOR LUDIN -- Che cosa?
KARL -- Mi trovavo al margine di un bosco. Alberi che svettavano bruni
sul cielo, come punte di frecce. Faggi. Il bosco era tutto uno sfavillio
verde, con migliaia di piccoli soli. Una delizia. Io volevo entrarvi, mi
struggevo dal desiderio; ma non ci riuscivo. I tronchi si arcuavano ostili
verso l'esterno e mi respingevano indietro come una palla di gomma.
PROFESSOR LUDIN -- Alt! Come una palla di gomma! Associazione interessante.
Mi ascolti tanto ormai i suoi nervi sono in grado di sopportare la verità.
La foresta è la cella d'isolamento. I tronchi sono i muri di gomma
di prima qualità. Si, ricordo, una volta l'anno diventava furioso
e si doveva isolarla. Sempre lo stesso giorno. Un vero record clinico.
KARL -- Che giorno?
PROFESSOR LUDIN -- Il giorno che... bè, lo sa anche lei.
KARL -- Il giorno che mi graziarono...
PROFESSOR LUDIN -- Ricorda tutto, dunque?
KARL -- Si.
PROFESSOR LUDIN -- Anche sotto questo aspetto l'abbiamo curata qui.
KARL -- Aspettare la morte per dei minuti... Ma per dieci giorni! Dieci
volte ventiquattr'ore. Ogni ora sessanta minuti. Ogni minuto sessanta secondi.
Ogni secondo un colpo mortale.
Millequattrocentoquaranta volte ricevere la morte ogni giorno! E le notti!...
Ho odiato la grazia, ho odiato il presidente! Solo un mascalzone poteva
agire così...
PROFESSOR LUDIN -- Piano, piano. Lei ha tutte le ragioni di essergli riconoscente...
Qui non facciamo caso alle parole forti, ma fuori... si sarebbe già
guadagnato un altro anno di carcere per offese al capo dello stato. Sia
prudente. Dovrebbe averne abbastanza, mi pare.
KARL -- E logico che lei parli così, dato che è dalla parte
dei padroni.
PROFESSOR LUDIN -- Chiudiamo questa conversazione. Non è il caso
che lei si abbatta perché è stato in manicomio. In realtà,
la maggior parte degli uomini non meriterebbero altro. A visitarne mille,
novecentonovantanove dovrei trattenerli qua dentro.
KARL -- E perché non lo fa?
PROFESSOR LUDIN -- Non è nell'interesse dello stato. Un granello
di pazzia rende gli uomini buoni padri di famiglia. Due granelli li rendono
sociali... Non faccia sciocchezze: glielo dico per il suo bene. Vada a
trovare qualche suo amico.
KARL -- Chi sa dove sono andati a finire...
PROFESSOR LUDIN -- Non eravate in molti in quella cella?
KARL -- Cinque. Soltanto uno non è stato graziato. Si chiamava Wilhelm
Kilman.
PROFESSOR LUDIN -- Quello non è stato graziato? Ah ah ah! Quello
è andato in gran carriera! Più furbo di lei, è stato.
KARL -- Non capisco.
PROFESSOR LUDIN -- Oh, capirà. Vada a trovarlo. Lui potrebbe aiutarla.
Purché voglia aiutarla, purché voglia conoscerla.
KARL -- E ancora vivo?
PROFESSOR LUDIN -- Avrà di che trasecolare. Per lei sarà
il vero toccasana. Io l'ho guarita clinicamente; quello la curerà
delle sue ubbie ideali. Vada al ministero dell'interno e chieda del signor
Kilman. E buon viaggio.
KARL -- Buon giorno, professore. Buon giorno, infermiere.
Oh, che profumo di lillà si sente qui... Ah già, è
prima-
vera... Fuori della finestra ci sono dei faggi, si?... Non
un muro di gomma...
(esce).
PROFESSOR LUDIN -- Brutta razza.
Buio.
IL professor Ludin tocca l'essenza del problema quando dice a Karl:
'Sia prudente. Dovrebbe averne abbastanza, mi pare'.
Dunque in pratica l'essenza della saggezza è la capacità
di non compromettersi col potere, vale a dire essere il più possibile
sottomessi.
Infatti Karl risponde: 'E logico che lei parli così, dato che è
dalla parte dei padroni'.
D'altra parte risulta con grandissima chiarezza che il problema dello psichiatra
Ludin non è certo quello della pazzia, che non è altro che
un semplice pretesto per potere con efficacia mantenere stabile il potere
dello stato: 'Un granello di pazzia rende gli uomini buoni padri di famiglia.
Due granelli li rendono sociali...'
Invece il rivoluzionario è subito definito in breve 'brutta razza'.
Quello che Toller, uno dei protagonisti durante la breve esistenza della
repubblica bavarese dei consigli del 1919, probabilmente non poteva immaginare
è che i seguaci di Lenin, costruito dopo la rivoluzione un nuovo
potere gerarchico, avrebbero perfezionato le idee di Bleuler inventando
la schizofrenia torpida, cioè sonnolenta, ovvero che dorme
sotto e che non si vede. Così si sono assicurati la possibilità
di internare rapidamente chiunque, indipendentemente da qualsiasi giudizio
psicologico.
Forse aveva ragione Bakunin, che, fino dai tempi della prima internazionale,
diffidava del socialismo autoritario.
Scrivono la Dottoressa Pecernikova e il dottor Kosacev, specialisti dell'Istituto
Serbskij: 'Nella maggior parte dei casi, le idee di lotta per la verità
e la giustizia compaiono in personalità a struttura paranoica'.
Poiché, in senso etimologico, paranoico vuol dire dissennato, noi
dobbiamo dedurne che le persone di senno, a detta di questi illustri specialisti
sovietici, sono affezionate alla menzogna e alle ingiustizie, il che forse
per loro vuol dire anche buoni cittadini dello stato.
C'è da pensare che ora un individuo come Gesù Cristo si sarebbe
beccato, invece della croce, strumento contro gli schiavi in rivolta, l'intervento
della scienza psichiatrica, strumento contro i pazzi pericolosi.
Quello che secondo me è singolare però, nella questione dei
dissidenti internati in manicomio, non è tanto il pensiero degli
psichiatri, prevedibile e scontato, quanto l'ingenuità delle vittime,
spesso persone di notevole livello culturale che, pur protestando giustamente
per la condizione che le riguarda, non mettono mai in discussione il significato
della psichiatria nel suo insieme.
Comunque, per dare al lettore tutte le possibilità di riflettere
attentamente e dettagliatamente sulla questione, riporto, in parallelo
con il brano di Toller di cui ci siamo occupati or ora, la "Conversazione
con uno psichiatra" del marzo 1974 di Evgenij Nikolaev:
DMITRIEVSKIJ -- Quali sono i motivi del suo ricovero?
NIKOLAEV -- Non lo so. Non ho mai fatto del male a nessuno. Gli psichiatri
hanno disposto il mio ricovero in modo tale che per me è stato come
un fulmine a ciel sereno. Non ne conosco il motivo. DMITRIEVSKIJ -- Non
potrebbe essere successo in seguito alle sue critiche?
NIKOLAEV -- Quali critiche?
DMITRIEVSKIJ -- Critiche alla nostra società, per esempio.
NIKOLAEV -- Non lo so. In organizzazioni ufficiali, non ho mai fatto delle
critiche.
DMITRIEVSKIJ -- E in quelle non ufficiali?
NIKOLAEV -- Non conosco organizzazioni che non siano quelle ufficiali.
DMITRIEVSKIJ -- Per quale motivo lei è stato ricoverato nel 1970?
NIKOLAEV -- Non lo so. Anche quella volta per il ricovero si sono comportati
in maniera identica. Lei certamente è più informato di me
su di esso.
DMITRIEVSKIJ -- Ma insomma, queste sue testarde opinioni si erano già
manifestate molto tempo prima, quando lei aveva diciannove anni.
NIKOLAEV -- Le mie opinioni, con la psichiatria non hanno niente a che
vedere. E le opinioni sbagliate non sono sempre un sintomo di malattia.
Per esempio, un'opinione sbagliata può derivare da una carenza di
informazioni.
DMITRIEVSKIJ -- Io ho saputo che lei è stato espulso dal Komsomol.
NIKOLAEV -- Non sono stato espulso. Mi sono ritirato io.
DMITRIEVSKIJ -- Perché si è ritirato? L'ha fatto per le sue
opinioni ?
NIKOLAEV -- Questo non c'entra niente con la psichiatria.
DMITRIEVSKIJ -- No, è vero. Però, questa è la quarta
volta che lei viene ricoverato in un ospedale psichiatrico. Insomma, non
tutti quelli che si ritirano dal Komsomol vengono mandati in manicomio.
NIKOLAEV -- Ho lasciato il Komsomol diciotto anni fa. E una storia vecchia.
DMITRIEVSKIJ -- Certo. Non è che voglia darle un'importanza speciale.
Qual'è la sua professione?
NIKOLAEV -- Biologo.
DMITRIEVSKIJ -- Conosce lingue straniere?
NIKOLAEV -- Si.
DMITRIEVSKIJ -- Molte?
NIKOLAEV -- Qualcuna.
DMITRIEVSKIJ -- Dove ha lavorato?
NIKOLAEV -- Per quattro anni ho lavorato all'Istituto generale di informazione
tecnica e scientifica, poi un anno all'Istituto di disinfezione.
DMITRIEVSKIJ -- Perché ha avuto contrasti con i colleghi di lavoro?
NIKOLAEV -- Non ho mai avuto contrasti con i miei colleghi.
DMITRIEVSKIJ -- Che cos'altro ha studiato oltre la biologia e le lingue?
NIKOLAEV -- Tutto quanto mi poteva interessare.
DMITRIEVSKIJ -- Lei si interessa di filosofia? Di problemi politici e giuridici?
NIKOLAEV -- No. Naturalmente, ho studiato queste cose all'università,
ma dopo di allora non me ne sono più occupato.
DMITRIEVSKIJ -- E per la filosofia, non ha avuto nessun particolare interesse?
NIKOLAEV -- No.
DMITRIEVSKIJ -- Quali sono le sue opinioni sulla nostra società
?
NIKOLAEV -- Se lei vuole parlare della nostra società, farebbe meglio
a interpellare persone più competenti di me. Le ho già detto
che, dopo avere superato all'università gli esami di argomento politico,
non ho più aperto quei libri. Le mie critiche potrebbero non avere
alcun valore .
DMITRIEVSKIJ -- Non mi interessa quanto lei ha imparato nei corsi universitari.
Quello che mi interessa sono quelle sue opinioni. Al medico che l'ha mandato
in ospedale era stato riferito per telefono che lei ha idee sbagliate sulla
nostra società.
NIKOLAEV -- Qualunque sia la mia opinione, non ha niente a che vedere con
la psichiatria.
DMITRIEVSKIJ -- Se così fosse, lei ora non sarebbe qui. Se le sue
idee sulla società non costituissero un pericolo sociale, non sarebbe
stato ricoverato in ospedale... E vero o no che lei è stato già
prima in ospedali psichiatrici, per tre volte e per lunghi periodi?
NIKOLAEV -- E vero.
DMITRIEVSKIJ -- E allora sa come funziona la nostra macchina di governo.
Siamo tutti sottoposti a determinati organismi e quando ne riceviamo istruzioni
siamo obbligati a seguirle.
NIKOLAEV -- Ed è per questo che dimostra tanto interesse alle opinioni
che ho io sulla società?
DMITRIEVSKIJ -- Si. Ma lei ha messo come un muro tra di noi. E mi creda,
questo non le conviene. Quanto più si ostina a non rispondere alle
nostre domande, tanto più a lungo resterà in ospedale. Io
le faccio queste domande per il suo bene. Si sarà certamente accorto
che non prendo appunti.
NIKOLAEV -- Nemmeno io prendo appunti.
DMITRIEVSKIJ -- Per di più, lei può essere classificato come
individuo socialmente pericoloso. In tal caso, prima di qualche anniversario
dello stato sovietico, come misura preventiva verrebbe chiuso in un ospedale
psichiatrico, che le piaccia o no.
NIKOLAEV -- So che qui c'è questa usanza.
DMITRIEVSKIJ -- E si ricordi che lei non è una persona famosa come
Solzenicyn. Se lui è stato espulso perché aveva certe opinioni
e faceva certe critiche, lei, per le sue opinioni e le sue critiche, sarà
soltanto ricoverato in ospedale psichiatrico.
NIKOLAEV -- E senza scopo, perché le mie opinioni non rappresentano
un pericolo sociale. Quanto a coloro che non sono d'accordo con le mie
idee e fanno telefonate in clinica per parlarne, dico solo che hanno tendenza
a esagerare -- probabilmente perché è gente piena di paure.
E vero che io non sono famoso come Solzenicyn, tuttavia il mio nome è
abbastanza noto a chi studia lingue straniere. E ogni volta che vengo ricoverato
in ospedale, ciò può avere soltanto un effetto negativo,
dato che non posso dare la mia cultura e la mia esperienza a quella società
per la cui sicurezza lei si preoccupa tanto.
DMITRIEVSKIJ -- Mi dica, dove ha fatto le sue critiche sbagliate al nostro
sistema sociale?
NIKOLAEV -- Credo che lei farebbe meglio a chiederlo a quelli che hanno
telefonato alla clinica.
DMITRIEVSKIJ -- Può darsi. Ma mi piacerebbe di più rifarmi
alla fonte originale.
NIKOLAEV -- In tal caso, la fonte originale è la persona che mi
ha denunziato. Non so chi sia, e non posso nemmeno fare delle congetture
perché non ho mai fatto nessuna critica sleale.
DMITRIEVSKIJ -- Ma lei è qui. Dunque, quelle critiche alla nostra
società le ha fatte, e quelle critiche rappresentano un pericolo
sociale.
NIKOLAEV -- Lei si sbaglia. Mi dica una cosa: in reparto è stata
fatta qualche lamentela nei miei riguardi?
DMITRIEVSKIJ -- No, non c'è stata nessuna lagnanza da parte del
personale. La sua condotta è stata irreprensibile.
NIKOLAEV -- Ora, se davvero fossi socialmente pericoloso, la mia condotta
non avrebbe potuto essere irreprensibile.
DMITRIEVSKIJ -- Non è la sua condotta ad essere socialmente pericolosa,
ma le sue opinioni.
NIKOLAEV -- Non credo. Qualunque sia il mio atteggiamento nei confronti
di questa società, non per questo essa cambia. Se la condanno, non
peggiorerà, e se l'approvo, non diventerà perciò migliore.
Quello che dico io, non può cambiarla in meglio, e neanche in peggio.
Perciò le mie idee non possono essere pericolose per la società.
DMITRIEVSKIJ -- E lei che cosa preferisce fare: approvare la nostra società
o condannarla?
NIKOLAEV -- Preferisco ribadire il principio che la cosa non mi riguarda.
DMITRIEVSKIJ -- Anche questo atteggiamento nei riguardi della società
rappresenta un pericolo sociale. Se lei continuerà a seguire tale
principio, sarà sempre ricoverato in ospedali psichiatrici.
NIKOLAEV -- Lo so. Ne ho avuto la prova. Quanto tempo avete ancora intenzione
di tenermi in ospedale?
DMITRIEVSKIJ -- Non glielo posso dire. Tutto dipende da lei. Non se la
caverà con un mese soltanto.
NIKOLAEV -- Sono qui da tre settimane.
DMITRIEVSKIJ -- Sarà dimesso da una commissione medica appositamente
convocata. Se lei davanti alla commissione continuerà ad eludere
tutte le domande, non tornerà a suo vantaggio.
NIKOLAEV -- Quanto mi è successo in passato mi ha convinto del contrario.
Un medico dell'ospedale psichiatrico n 15, dopo che ho parlato con lui
del mio atteggiamento nei confronti della società, mi ha spedito
all'ospedale suburbano di Stol'bovaja dove sono poi rimasto otto mesi.
Come vede, è pericoloso esprimere le proprie opinioni. Adesso da
lei ho imparato che è pericoloso anche non dire niente. A quanto
pare, quello che mi tocca scegliere, è il minore dei mali.
DMITRIEVSKIJ -- Cerchi di capirmi bene. Ho buone ragioni per farle queste
domande.
NIKOLAEV -- Sono sano di mente e le mie opinioni non hanno niente a che
fare con la psichiatria.
DMITRIEVSKIJ -- Ma tutti i medici che l'hanno avuta in cura nei vari ospedali
e - ciò che più conta - che sono stati turbati dalle sue
idee, certamente non possono essersi tutti sbagliati.
NIKOLAEV -- Può essere che i medici non si siano sbagliati. Del
resto, è stato proprio lei a dirmi poco fa che chi occupa posizioni
ufficiali è sottoposto a determinati organismi
e obbligato a seguire le loro direttive.
DMITRIEVSKIJ -- In che rapporti è con la famiglia?
NIKOLAEV -- Non è questione che interessi ora.
DMITRIEVSKIJ -- Lei, a varie riprese, ha pubblicato molti articoli.
NIKOLAEV -- Si. Sul 'Moskovskij Komsomolec' e su alcuni giornali della
regione di Mosca -- a Kaluga e Obninsk. Gli articoli più recenti
sono stati pubblicati nel Kamcatka.
DMITRIEVSKIJ -- In tali articoli, parlava delle sue idee sulla società?
NIKOLAEV -- No. Quegli articoli riguardavano un metodo intensivo per l'apprendimento
delle lingue. Erano destinati a coloro che si interessano di queste cose.
DMITRIEVSKIJ -- Dove e in quali occasioni, lei ha fatto propaganda alle
sue idee sbagliate?
NIKOLAEV -- In nessun posto. E, in ultima analisi, mettere uno in un ospedale
psichiatrico a causa delle sue opinioni, è un trucco comodo, indegno
della professione medica.
DMITRIEVSKIJ -- Adesso devo fare il mio giro di visite, ma più tardi
continueremo questa discussione. Devo accertarmi quale sia il suo atteggiamento
verso la società. Può darsi che tra poco le prescriva un'altra
cura
In questa conversazione c'è tutto. Potrebbe essere un compendio
di storia della psichiatria. Dmitrievskij potrebbe scrivere "L'elogio
del conformismo" così come Erasmo scrisse "L'elogio della
follia". Questo Erasmo al contrario odia la cultura nella misura in
cui ama lo stato. Nikolaev nel tentativo di sfuggirgli, deve far finta
di non pensare.