Introduzione
Questo libro esce in un momento difficile. Almeno apparentemente.
D'altra parte e' molto raro che la conoscenza sia figlia della moda, come
l'esempio di Galileo da solo basterebbe a dimostrare.
Ora le strutture sociali basate sull'intolleranza tendono di nuovo a estendersi
e rafforzarsi.
In Italia quei pochi vantaggi che alcuni dal '78 in poi hanno tratto dalla
legge 180 sono minacciati da proposte culturali e giuridiche che indicano
la volontà di riavvicinarsi alla tradizione.
A Bologna di fronte alle proteste di un cittadino che ha fatto sottoporre
la moglie a trattamento di elettroshock in casa di cura privata le istituzioni
pubbliche sembrano giustificarsi perche' non forniscono piu' questo tipo
di servizio.
In generale nella cultura contemporanea la creatività individuale
e' vista sempre di piu' con diffidenza e con sospetto e, come hanno capito
benissimo Aldous Huxley e George Orwell, questo potrebbe
essere un preoccupante annuncio della fine della cultura nelle società
umane.
Scrive il neurologo americano Richard Restak: "Il cervello
umano, una massa del peso di meno di 1600 grammi, non assomiglia nel suo
stato naturale a nulla piu' che a una noce molle e rugosa. Eppure, nonostante
questo aspetto modesto, che non lascia trasparire niente di straordinario,
esso puo' contenere piu' informazione di tutte le biblioteche del mondo.
Al nostro cervello dobbiamo anche gli impulsi piu' primitivi, gli ideali
piu' elevati, il modo in cui pensiamo e persino la ragione per cui, a volte,
anziche' pensare, agiamo".
Scrive ancora Restak: "Noi siamo il nostro cervello, o, per
usare le parole del ricercatore Eric Harth, il potere di determinare il
proprio comportamento non e' il potere di una entità (la mente)
su un'altra (il corpo), bensi' l'influenza che il cervello ha su se stesso".
Compito di questo libro e' anche appunto ricollegarsi con la vera struttura
e con le reali possibilità di questo organo respingendo gli angusti
limiti culturali di coloro che attribuiscono a disfunzioni del cervello
tutte le scelte e tutti i comportamenti che non corrispondono ai pregiudizi
sociali.
Prima di mettermi a scrivere alcuni appunti per un saggio di critica alla
psichiatria, ho riflettuto a lungo su che cosa esattamente comunicare e
in quale modo. Ho pensato cosi' che già la scelta di un linguaggio
comprensibile possa servire a profanare quello scrigno di parole difficili
inseparabili dai detentori di discipline specialistiche o di pensieri esoterici.
Il "Discorso sul metodo" di Renato Cartesio e la definizione
delle idee chiare e distinte avrebbero dovuto insegnarci una volta per
tutte qual'e' il modo di procedere e di scrivere di chi e' occupato da
vero interesse scientifico. Soprattutto se si tratta di psichiatria il
linguaggio esclusivo da essa prodotto e' un esempio chiaro di come la realtà
dei fatti possa essere modificata già con l'uso di una parola invece
che dell'altra. Le parole complicate degli psichiatri come quelle dei giuristi,
e ancor piu' di quelle dei politici e dei medici in genere, hanno la funzione
di non fare entrare facilmente gli altri nel loro mondo, dato che ormai
e' risaputo che buona parte del potere passa per l'accesso alle parole
ed al loro significato.
Ma le ragioni di questa profanazione sono ancora piu' forti.
Infatti il potere pratico della parola di uno psichiatra e' paragonabile
soltanto a quello di un giudice. Superiore direi, perche' il giudice in
qualche modo e' solo uno degli attori in un processo a piu' voci. Invece
il giudizio di uno psichiatra puo' condannare un uomo direttamente alla
segregazione senza bisogno di processi.
Il mio pensiero e il mio lavoro critici nei riguardi della psichiatria
non hanno origini da convinzioni teoriche elaborate a tavolino, studiando
testi e criticando articoli, ma sono essenzialmente risultato di anni di
esperienza diretta con uomini e donne, in un modo o nell'altro implicati
in trattamenti psichiatrici.
Il ricorso ad episodi della mia esperienza non risponde a esigenze autobiografiche,
ma all'obiettivo di portare il lettore a contatto diretto con i fatti concreti.
Imola, 11.10.86 Giorgio Antonucci