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PORZUS: UN PROCESSO DA RIFARE

Due strani testimoni
Chiunque si avvicini alla vicenda di Porzùs si accorge subito che si tratta di una faccenda molto complicata, che ha suscitato (e ancora continua a suscitare) forti emozioni: è durata dal punto di vista processuale quasi quindici anni, fra la denuncia alla magistratura da parte dei comandanti osovani, il 23 giugno 1945 e l'amnistia del 1959, con l'intervento come testimoni di personaggi importanti della Resistenza italiana da Fermo Solari a Luigi Longo a Enrico Mattei, allora membro del comando del CVL.
il processo di Porzùs, in effetti, fu un'occasione per processare tutta la resistenza comunista. penso che la vicenda sia conosciuta nelle grandi linee, ma riassumerò brevemente la versione processuale. Il 7 di febbraio del 1945 un pattuglione di circa 100 gappisti, cioè appartenenti ai gruppi di azione patriottica, le formazioni partigiane legate al partito comunista che agivano soprattutto in pianura e nelle città, sale alle malghe di Topli Uorch, territorio del comune di Faedis, uccide il comandante osovano Bolla (Francesco De Gregori), un altro comandante Enea (Gastone Valente) e poi Gruaro, un ragazzo che proprio quel giorno stava salendo alle malghe per aggregarsi, e una ragazza di 21 anni, Elda Turchetti originaria di Pagnacco, che si trovava lì e che fin dall'estate del '44 era stata indicata dalla radio come spia dei tedeschi. Aldo Bricco, Centina, colui che doveva prendere il posto di Bolla - che stava per lasciare le malghe per andare a ricoprire un altro incarico - riesce a fuggire, seppure ferito. I gappisti inoltre si fanno aprire i bunker, che sono pieni di armi e di generi di consumo frutto dei lanci anglo americani, e poi portano con sé altri 16 osovani, al Bosco Romagno vicino a Spessa dove questi battaglioni Gap hanno la base. Nei giorni seguenti, dopo sommari processi, gli osovani vengono fucilati. Non tutti però: due passano dalla parte dei gappisti e collaborano con essi. Gli stessi, in seguito, diverranno i principale accusatori e sulle loro testimonianze si baserà tutta la parte iniziale dell'istruttoria della magistratura. Uno di loro (che, si potrebbe dire, abbandonarono e tradirono i compagni) divenne, nel dopoguerra, generale dell'esercito. Secondo la sentenza della Corte d'assise d'Appello di Firenze, quest'eccidio fu voluto dalla federazione udinese del PCI per favorire le mire espansionistiche jugoslave sul Friuli, in quanto il gruppo osovano di Bolla sarebbe stato l'ultimo baluardo di italianità sul confine orientale, un gruppo cioè che avrebbe dato molto fastidio al IX Corpus Sloveno che non voleva presenze italiane nella zona. Una sentenza, insomma, che, in contrasto con quella di Lucca, avallava le tesi del pericolo slavo. Sull'accusa di tradimento si giocò tutto il processo d'appello di Firenze che non giunse, alla fine, alla condanna di questo aspetto che avrebbe coinvolto tutto il partito comunista solamente attraverso un inghippo di tipo giuridico che condannava assolvendo. In effetti in questa sentenza si espresse tutto l'odio di classe, verso i garibaldini, da parte di quel ceto dominante che dal fascismo si era riciclato nella democrazia e voleva fare i conti con coloro che avevano minacciato il suo potere.

La 'doppia' Resistenza in Friuli
La Resistenza nella nostra regione si presenta, quasi da subito, con forti connotazioni di classe. Qui era nata già prima dell'8 settembre nelle zone eticamente slave, e qui si era avuta la prima battaglia della resistenza italiana, quella della Brigata proletaria, composta da oltre 900 operai dei cantieri di Monfalcone, per la difesa di Gorizia; qui si era formata la prima Brigata Garibaldi. Anche i gruppi partigiani non garibaldini erano nati abbastanza presto, con Giustizia e Libertà già nell'autunno del '43 e poi, nella primavera del '44 con l'Osoppo, nata da un patto fra azionisti e democristiani, patto che, come avrà modo di testimoniare l'arcivescovo di Udine, Nogara, al processo era stato fatto in funzione anticomunista. nella nostra regione si hanno quindi formazioni Osoppo e formazioni Garibaldi, e durante tutto il periodo della resistenza si presenta la necessità militare dell'unificazione delle due formazioni, unificazione perseguita politicamente dai comandanti garibaldini e osteggiata invece in tutti i modi dai principali dirigenti osovani. Tuttavia nell'estate del '44, anche su sollecitazione e per intervento degli inglesi che sono interessati, pensando a un possibile sbarco alleato nell'Adriatico, a rinforzare la presenza partigiana in Friuli, si arriva alla formazione di una divisione unificata, la Osoppo-Garibaldi, operante nella zona del Friuli orientale e della Benecija, artefice nel settembre del 1944 della zona libera di Attimis Nimis Faedis. Tale zona libera finisce, alla fine di settembre, con un enorme rastrellamento tedesco, che dà il via a tutta una serie di operazioni analoghe, finalizzate da parte tedesca alla eliminazione dalla regione della presenza partigiana per liberare le vie di ritirata in caso di avanzata degli anglo americani. Dopo questo rastrellamento la divisione unificata si sfalda e le sue due componenti si separano. Arriviamo quindi all'ultimo inverno di guerra, il più duro, sia dal punto di vista della lotta partigiana (i rastrellamenti nazifascisti della Carnia e poi in Val di Resia, e i continui arresti di partigiani, patrioti e gappisti in pianura), sia per la vita della popolazione, già stremata dai bombardamenti e ora dalla fame e dalla paura. Alla pressione tedesca e fascista si aggiunge l'atteggiamento degli alleati, che dopo aver invitato per bocca del generale Alexander i partigiani a tornarsene a casa negano gli aiuti, non mandano lanci, o perlomeno non ne mandano ai garibaldini. E' in questa situazione che la divisione Garibaldi-Natisone, formata da tre Brigate, decide di passare oltre Isonzo e di mettersi alle dipendenze operative del IX Corpus Sloveno. Questo sarà un punto molto discusso al processo di Lucca e poi di Firenze, e sul quale ci sono ancora oggi speculazioni; ma il passaggio oltre Isonzo della Natisone fu un atto pienamente conosciuto ed approvato dal CLNAI e dal CVL che, infatti, continuò sempre a considerare la divisione come parte integrante delle formazioni della resistenza italiana. Conosciuto ed approvato anche dagli stessi osovani che nella persona di don Moretti scrissero un 'promemora' in cui dichiaravano di approvare quell'operazione. Inutile dire che questo documento (che oggi si trova all'Archivio Osoppo) non fu mai portato al processo, e che il processo presentò il passaggio oltre Isonzo come un tradimento.

La falsa propaganda del 'pericolo slavo'
C'è da dire che questo passaggio della Natisone si inserì in una situazione in cui c'erano già forti tensioni all'interno della resistenza friulana: tensioni dovute ai diversi modi di intendere la lotta contro il nazifascismo, tensioni di classe che si esprimevano anche in diverso atteggiamento da tenere nei confronti della resistenza iugoslava. I dirigenti osovani tendevano a non considerare gli iugoslavi come alleati (come in effetti invece erano), ma mettevano in evidenza soprattutto le rivendicazioni territoriali slovene , fino a parlare in modo ossessionante di 'pericolo slavo'. Bisogna tener presente che dopo il trattato di Rapallo conseguente alla prima guerra mondiale, il confine orientale d'Italia comprendeva molte terre abitate da popolazioni slovene e croate ed arrivava fin quasi a Lubiana e queste terre, fin da subito, erano state oggetto di rivendicazioni da parte delle organizzazioni irredentistiche slovene. la dominazione fascista su queste terre era stata molto dura, una vera strategia di pulizia etnica, e gli antifascisti italiani e soprattutto friulani e giuliani sentivano la necessità di riscattare con la solidarietà alle popolazioni slave, e con la loro lotta, i misfatti del fascismo su quelle terre. La Osoppo, invece, mossa soprattutto da una mentalità nazionalistica, vedeva in modo preoccupato quella collaborazione. E' in questa situazione psicologica che si inserisce la propaganda tedesca e poi anche quella fascista, tendenti a dividere la resistenza acuendo il problema nazionale. questa azione di divisione avviene in due modi principalmente : innanzitutto con la produzione di documenti falsi (volantini, manifesti, ecc.) riguardanti la rivendicazione del confine orientale al Tagliamento da parte degli iugoslavi (rivendicazione mai avvenuta), che creano molta preoccupazione e diffidenza all'interno della resistenza friulana. Ma soprattutto con la ricerca di contatti con una parte della resistenza in funzione antislava e soprattutto anticomunista.

La 'Brigata' Osoppo e i nazisti: contatti e accordi
Questi contatti, presenti fin dall'inizio della resistenza, si intensificano nell'autunno del '44 ma diventano sistematici nel gennaio del '45. E in effetti questo è un mese fatidico, da tanti punti di vista. Ricordo che dal punto di vista militare la lotta partigiana stava vivendo il periodo peggiore: si era appena concluso il rastrellamento della Carnia, si stava svolgendo il rastrellamento della Val di Resia (che era sempre stata zona libera), in pianura si arrestava e fucilava. Ebbene, proprio in questo mese avvengono i più importanti contatti fra tedeschi e fascisti da una parte e dirigenti osovani dall'altra. Sono contatti ed accordi con X Mas di Iunio Valerio Borghese, con il federale fascista Cabai, con i nazisti della GESTAPO e delle SS Globotnik e Avensleben, condotti dai più importanti osovani, da don Moretti a Verdi, ad Alfredo Berzanti (che sarebbe stato il primo presidente della nostra regione) sempre con l'avvallo e il beneplacito dell'arcivescovo Nogara, vero protagonista di tutta la politica segreta che avviene in questo periodo in Friuli. Sono contatti che hanno degli aspetti veramente inquietanti, contatti svolti sempre alle spalle dei garibaldini, contatti su cui al processo di Lucca ceri dirigenti osovani chiamati a testimoniare hanno mentito spudoratamente. Sono contatti che anche la storiografia ufficiale a lungo ha negato, ma su cui c'è ampia documentazione. Soltanto don Moretti, in un suo studio del 1995 ammette che fu imprudente avere questi contatti, anche se a suo dire non ci fu tradimento in quanto l'Osoppo cercava solo condizioni più umane di lotta. Ma ci sono moltissimi documenti del CLNAI e del CVL che vietavano categoricamente i contatti col nemico, anche se fatti per motivi 'benefici'. E tuttavia, come ammette lo stesso Moretti, di questi contatti, incontri e accordi con i nazi fascisti da parte dei dirigenti osovani si sapeva e si parlava, e lo sapevano quindi, e ne parlavano anche, i garibaldini e la federazione udinese del PCI. E ne erano molto preoccupati, dal momento che avvenivano alle loro spalle.

Porzùs
E' in questo clima di paura e preoccupazione che matura la decisione di andare alle malghe con un gruppo di gappisti, in quanto il gruppo di Bolla (con Berzanti, don Redento Bello, Giorgio Zardi, ecc.) veniva visto come il maggior artefice di questi accordi e contatti. A questo riguardi c'è ampia testimonianza e documentazione di osovani che si infiltrano nei Gap anche a scopo di provocazione e confermano, con i loro racconti, questi sospetti dei gappisti. Secondo la ricostruzione più attendibile, l'ordine per i gappisti doveva essere quello di arrestare i capi osovani che si trovavano alle malghe. Il comandante garibaldino Giacca, invece, alle malghe uccise proprio i comandanti (quelli che erano presenti, perché la gran parte non c'era) mentre i gregari furono uccisi nei giorni successivi, al Bosco Romagno. Come mai accadde questo? Giacca ha dichiarato nelle interviste concesse in questi ultimi anni che uccise i comandanti alle malghe, in un eccesso d'ira, quando venne a sapere che lì si trovava la spia Elda Turchetti, protetta da Bolla. In questo dopoguerra, non solo nei processi, si è contestata la versione 'del colpo di testa di Giacca' e si sono cercati i 'mandanti', individuandoli via via sempre più in alto, fino ad arrivare, in questi giorni, con un assurdo servizio RAI, a Mosca. Giacca avrebbe avuto l'ordine di uccidere gli osovani direttamente dai vertici del comunismo internazionale per favorire le mire annessionistiche iugoslave. La tesi è tanto stupida che non varrebbe neppure la pena di essere discussa, se non fosse che si stanno facendo speculazioni da cinquant'anni. Non solo non è suffragata da alcun documento, ma gli effetti stessi lo dimostrano: non solo l'Osoppo non venne affatto menomata da quelle uccisioni, continuò e rafforzò la sua attività antislava sul confine orientale, ma addirittura alle malghe stesse continuò ad esistere un comando osovano, con la missione inglese. inoltre nella zona di Porzùs e della Benecija non ci fu nessuno spostamento di formazioni slovene come ci si dovrebbe aspettare se le motivazioni dell'eccidio fossero state quelle di eliminare un ostacolo all'invasione slava.

Una verità scomoda
Per quanto riguarda le uccisioni al Bosco Romagno, anche i giudici trovarono molto strane queste uccisioni - su cui, fra l'altro, non ci sono testimonianze precise (ricostruzione 'nebulosa', scrissero) - e le spiegarono appunto con il desiderio di far piazza pulita di una formazione baluardo di italianità per favorire gli slavi. Io ho trovato, invece, nei documenti, molte tracce della presenza, tra Porzùs e il Bosco Romagno, di personaggi occulti, agenti segreti e informatori infiltrati, che controllano l'azione dei gappisti, relazionano 'a chi di dovere' e, secondo me, condizionano e indirizzano la vicenda. E', questa, la parte più interessante della mia ricerca, assolutamente inedita rispetto alle ricostruzioni precedenti, ma anche quella che suscita maggiori perplessità e resistenze nonostante sia ampiamente documentata. Già dall'autunno '44 nella nostra regione erano in atto grandi manovre di politica occulta per preparare un dopoguerra conservatore. Manovre dei servizi segreti alleati che si appoggiavano in regione alla vecchia classe dirigente che, dopo essere stata fascista, si stava gradatamente riciclando nella resistenza. In questo progetto rientravano anche i contatti con i fascisti veri e propri in funzione appunto anticomunista. del resto è ormai una cosa risaputa che da noi hanno proliferato ancor prima di Gladio (che tuttavia in regione ha avuto la sua massima espressione) organizzazioni paramilitari clandestine anticomuniste come i III CVL del col. Del Din e l'Organizzazione 'O' del generale Olivieri, i cui esponenti agiscono intorno alla vicenda di Porzùs già prima e durante i fatti. Organizzazioni che troviamo poi mobilitate nella costruzione di montature in tutto il processo di Porzùs. Ricordo per esempio, fra tanti fatti, il furto di documenti all'ANPI nell'inverno '45 da parte di quello che sarebbe diventato il capo dei gladiatori friulani, l'avv. Giorgio Brusin, documenti che poi in parte vennero presentati come prove al processo di Porzùs. Quelli che potevano far comodo, giacché altri, ne sono quasi certa, vennero invece fatti sparire o non vennero deliberatamente presentati dagli osovani al processo. Di essi però, è rimasta traccia in qualche archivio, e alcuni sono riaffiorati. Come per esempio la relazione dei comandanti del battaglione gap 'Giotto' riguardante l'ex osovano Wolf o Brontolo, che, dopo aver cercato di sabotare alcune azioni gappiste, venne smascherato e durante l'interrogatorio parlò di contatti e accordi fra i comandanti osovani (fra cui Bolla) e i nazifascisti. Questo documento è molto importante , perché i giudici ne negarono l'esistenza, sostenendo che era semplicemente un'invenzione difensiva degli imputati. il suo ritrovamento testimonia che sui fatti di Porzùs c'è ancora molto da dire e da scoprire. Per questo io credo più che mai importante un impegno per riaprire il processo, per rifare il processo, per far emergere una verità che sarà completamente diversa da quella processuale e riabilitare, agli occhi di tutti, i gappisti processati e tutta la resistenza italiana.

Alessandra Kersevan