LE GUERRE DEI PADRONI LA RISPOSTA DEI PROLETARI
Questo primo scorcio del 1998 ha visto la conferma di uno scenario che negli ultimi anni si è andato sempre più chiaramente delineando: lo stato di guerra permanente con cui il Nuovo Ordine Mondiale è costretto a salvaguardarsi dalle varie contraddizioni che esso stesso suscita in aree più o meno periferiche del pianeta. L'utilizzo degli eserciti come 'forza politica internazionale' in operazioni denominate (forse da un genio dell'umorismo) 'missioni di pace', ha già visto le armi italiane impegnate nelle tristemente note avventure della Guerra del Golfo, della Somalia, della Bosnia e dell'Albania. E proprio mentre gli Stati Uniti, non contenti dei 200.000 morti nei bombardamenti dell'Iraq più gli 800.000 causati dall'embargo (vedi UN n. 7/98), minacciavano un nuovo massacro di civili iracheni (non certo del dittatore di Bagdad, da loro stessi armato e mantenuto sulla poltrona, i venti morti causati a Cavalese dalle velleità acrobatiche di un pilota USAF della base di Aviano, hanno dimostrato quale sia la considerazione degli eserciti verso la popolazione anche in tempo di 'pace' (nel caso in cui Ustica, Casalecchio e Otranto non fossero bastati...). Da parte sua, il governo Prodi si sta adeguando alle necessità dei partner internazionali con l'esborso, nella sola finanziaria del 1997, di 31.000 miliardi dei nostri soldi per acquistare nuovi armamenti al passo coi tempi, per creare un esercito sempre più professionalizzato (leggi casta di assassini di mestiere), più agile e spendibile per il tipo di operazioni sopra elencate. Operazioni per le quali il governo stesso non ha lesinato ultimamente la sua partecipazione, così come non nega piena agibilità a strutture belliche nel proprio territorio (Aviano, Sigonella, Ghedi, Camp Darby...), causa di squilibri ambientali e sociali, fra cui la strage della funivia, i cui responsabili sono, e probabilmente resteranno, pressoché impuniti. Nel frattempo, però, gli obiettori totali vengono ancora condannati alla galera, e agli obiettori fiscali alle spese militari vengono pignorate anche le mutande. Di fronte a questo il movimento pacifista istituzionale e/o cattolico appare pressoché appiattito su posizioni filo-ONU o comunque su una opposizione democratica ben mirata a non causare eccessive ansie al compagno Mortadella. Se, da una parte, i momenti in cui si è espressa una opposizione sociale di base a questa politica dei padroni e degli stati non sono stati molti, dall'altra credo però che siano stati molto significativi: lo sciopero generale antimilitarista del 22 febbraio 1991 (N.d.R.: proclamato dall'USI), il proseguire di iniziative come diserzione e obiezione fiscale, la mobilitazione contro l'intervento in Albania culminata con la manifestazione nazionale ad Ancona nel maggio 1997, la costituzione di comitati di lotta nel territorio (Comitato Unitario contro Aviano 2.000, Coordinamento Antimilitarista di Reggio Emilia, ecc.ecc.) sono stati momenti, molte volte riusciti, di caratterizzare la lotta di classe di un forte contenuto antimilitarista. Non è un caso che a molte di queste iniziative abbia partecipato attivamente l'Unione Sindacale Italiana - A.I.T. Crediamo infatti che il movimento degli sfruttati debba assumere in maniera forte la coscienza che un esercito, qualunque tipo di esercito, è sempre uno strumento della classe dominante ai danni degli sfruttati, utilizzabile contro di loro fuori e dentro i confini nazionali voluti a loro volta dai padroni. Poiché anche la solidarietà internazionalista è uno dei valori 'dimenticati' del movimento operaio che l'USI, tramite la Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIT-IWA), si sta impegnando per praticare attualmente. Dall'altra parte, lo stesso concetto di antimilitarismo libertario deve a nostro avviso uscire ulteriormente da quella dimensione di testimonianza individuale o mera affermazione di principio in cui è stato spesso limitato, soprattutto negli anni '80, per estendersi alle esperienze sindacali, municipaliste ed autogestionarie come valore discriminante. Forti anche della nostra tradizione, dalla Settimana Rossa in avanti, riaffermiamo con forza questi valori, certi che solo l'azione diretta degli sfruttati è in grado di fermare il mostro bellico, e con esso l'ingordigia dello stato e del capitale. In questo ci distinguiamo fortemente dai 60.000 gendarmi stipendiati di CGIL-CISL-UIL, che hanno sempre seguito una politica di sostegno delle produzioni belliche, di boicottaggio delle iniziative autogestionarie e di base, e che ora sono uno dei pilastri sociali di un governo riarmista. Ma ci distinguiamo anche da quelle realtà dell'autorganizzazione e da quei sindacati più o meno di base che, forse troppo impegnati a firmare contratti, nel loro sviluppo hanno nettamente sottovalutato l'opzione internazionalista ed antimilitarista. Per questi ribadiamo il nostro appoggio e la nostra solidarietà ai disertori, agli obiettori fiscali ed a tutte quelle realtà di base, autorganizzate ed indipendenti da partiti e istituzioni, che si muovono su questi presupposti.
Federico Ferretti Vicesegretario Nazionale USI