Intervista ai Giovanotti Mondani Meccanici
Domande di Valentina Valentini e Enrico Cocuccioni
Rispondono Andrea Zingoni, Antonio Glessi, Roberto Davini
(tratta da "Vedute" - catalogo di Video d'autore - Taormina Arte 1992)

1) Il vostro è un lavoro che potremmo ancora definire "multimediale": non c'è un mezzo o un linguaggio privilegiato ma una pluralità di tecniche e strategie. Si lascia contaminare da tutti i segni della comunicazione a largo raggio, da tutti i fenomeni generazionali o di "tendenza". Eppure cerca, soprattutto negli esiti più recenti, di trovare un ordine riflessivo di tipo quasi mistico, o comunque esplicitamente ispirato alla cultura orientale. Come conciliare volontà d'ascesi ed entropia comunicazionale? Contemplazione e, per così dire, "mondanità meccanica"?

R. Il nostro, almeno nelle prospettive generali, non è assolutamente un "lavoro multimediale".
E' comunque vero che, in prima istanza, non ci interessa ricercare un linguaggio privilegiato e questo perché, da sempre, non vogliamo essere "metafisici"; nel senso che non cerchiamo nessun tipo di fondamento e nemmeno nessuna assenza di esso, nessuna forza e nessuna debolezza nell'edificio della realtà (la realtà, ci dicono i filosofi, è da prendere per quello che è).
Non si tratta però, in opposizione alla metafisica, di contaminare i linguaggi tra loro (ma più che di linguaggi preferiamo parlare di "tecniche"). Si tratta soltanto di "comunicare".
Ci interessa casomai ricercare un "luogo dell'assenza" dove la comunicazione possa sviluppare le proprie possibilità, le proprie presenze. Crediamo nel dialogo e desideriamo piegarci alle sue esigenze. All'inizio della nostra esperienza l'atteggiamento era già indubbiamente "mistico", ma non come ricerca del contatto immediato con le Realtà Ultime, ma piuttosto come l'attrazione verso il "Mistero", verso il lato oscuro della Realtà.
Nei nostri primi lavori era fortemente presente la tematica del mistero, che è direttamente connessa con la tematica della comunicazione.
Ci è chiaro come, senza quella curiosità verso ciò che non è norma, verso ciò che è inspiegabile, e che è la forza che comanda la comunicazione, non sia possibile scambiare alcuna informazione. Non comunico mai con me stesso, comunico sempre con ciò che non conosco. Il resto è solo conquista e orrore.
Non si tratta dunque di far conciliare "volontà d'ascesi ed entropia comunicazionale". Si tratta di usare, in generale, i mezzi adatti a costruire quel luogo dello spiazzamento globale che permetta a tutti di comunicare con tutto.
Nel nostro caso si tratta di adattare le tecniche alla curiosità verso il mistero. Ci attira il Perturbante e questo non è, propriamente parlando, lo scopo del mistico ma, piuttosto, lo scopo e l'interesse verso la vita.

2) L'installazione come spazio dell'interattività: il tema è evidenziato nei lavori recenti dall'adozione di un sistema di "realtà virtuale" che consente allo spettatore di entrare con la propria immagine digitalizzata nel "quadro" e di interagire con la struttura visiva e sonora dell'opera. Questo ripropone un campo già in parte esplorato dalla ricerca artistica. Di quali nuove potenzialità può giovarsi, secondo voi, questo atteggiamento espressivo, grazie allo sviluppo delle tecniche di "realtà artificiale"?

R. "Realtà virtuale" è oggi una sorta di parola magica che deve forse la sua fortuna più alla suggestione linguistica che riesce a suscitare piuttosto che ad una vera comprensione della tecnologia. Allo stato attuale delle cose si può solo fantasticare su ciò che sarà lo sviluppo delle tecniche di simulazione e interazione. Entro cinque anni saranno certamente disponibili a prezzi accessibili hardware e software capaci di generare ambienti ad un alto grado di fotorealismo e che richiederanno strumenti di collegamento alla macchina meno ingombranti e più maneggevoli degli attuali. E' altresì probabile che le aree di applicazione si differenzino in modo sostanziale rispetto agli scopi e alle tecnologie impiegate. L'ambito nel quale stiamo lavorando, quello dei sistemi di video proiezione basati su un processo di digitalizzazione del segnale (DSP), si stà rapidamente evolvendo in funzione di due fattori: il primo è meramente economico, trattandosi di tecnologia a basso costo e facilmente inseribile in un contesto multimedia abbinato all'uso di personal computers, l'altro è più sottile e legato al rapporto uomo-macchina, alla definizione di un'interfaccia utente che sia la più trasparente possibile e che possa garantire il massimo grado di simmetria nello scambio in/out.
La possibilità che un sistema come "Mandala" offre all'utente, anche privo di una minima competenza informatica, di sentirsi parte integrante di una realtà sintetica, generata e guidata dal calcolatore, permette un'esperienza, altrimenti estremamente difficile e per qualcuno quasi impossibile, di identificazione con quel mondo.
Siamo quindi davanti alla grande promessa tecnologica di un allargamento delle possibilità mentali e sensoriali, un'innovazione che decreta la fine della percezione passiva e propone una grande espansione e raffinamento delle facoltà comunicative. All'apprendimento simbolico/rappresentativo tipico della nostra cultura si sostituisce quello sensorio/percettivo, insito nella nostra natura animale, aprendo nuovi spazi di comprensione.
Le potenziali implicazioni derivanti da un nuovo approccio creativo o anche di sola fruizione di opere artistiche abbinate a sistemi di simulazione sono diverse e di non facile soluzione.
Da una parte vi è la grande opportunità di poter ricreare una situazione di "realtà artificiale" che il fruitore dell'opera possa immediatamente praticare e vivere dall'interno; in quest'ottica la speranza finale è quella di un sistema capace di ricreare delle condizioni di sufficiente identificazione tali da poter esplorare quella "realtà" come se fosse vera, ottimizandone così il potenziale, pressocchè infinito di comunicazione pluridimensionale.
All'opposto, laddove l'utente finale è messo in condizione di poter manipolare direttamente la propria esperienza, per alcuni potrà sorgere il problema di riuscire, nella progettazione dei sistemi, a dare un aspetto per così dire "guidato" alla fruizione dei meno esperti, onde evitare tutta una serie di implicazioni non solo pratiche (perdita di controllo o efficacia del processo) ma anche etiche, quali il rischio di grossolane enfatizzazioni o la creazione di modelli di esperienze che restino confinate all'interno del sistema, fine a se stesse e che non trovino modo di veicolare un messaggio a più ampio respiro.
Nell'immediato futuro poi un altro problema di grossa rilevanza, tipico delle situazioni alla moda, può derivare dalla tendenza a privilegiare queste tecniche sofisticate quale soluzione innovativa ma temporanea in risposta ad una crisi di idee in parte dovuta alla mancanza di artisti sufficientemente aggiornati e motivati.

3) Qualche considerazione per concludere sulla presente stagione artistica e qualche confronto tra la situazione italiana e internazionale.
Pensate che esista, nel nostro paese, una cultura mediale intesa non come generico fenomeno di consumo, ma come condizione della ricerca orientata al progetto, aggiornata e diffusa al punto da rendere lavori come il vostro parte di un più generale contesto artistico?

La situazione italiana e quella internazionale non presentano differenze sostanziali. Aldilà degli intenti e delle dichiarazioni, l'arte continua imperterrita a riciclarsi, ad autorappresentarsi, e l'impressione è che nell'ufficialità non stia succedendo niente. Problema vecchio, ma problema rimane.
L'arte è, al tempo presente, armonizzata su un sistema artificiale di riferimento che è quello rappresentato da una apparente rete internazionale di connessione tra i musei, le gallerie, le manifestazioni, le rappresentazioni, le critiche, le poetiche... Abbiamo sperimentato questa apparente connettività del sistema-arte anche recentemente con l'installazione "Tecnomaya in Infotown" presentata al Museo Pecci nel '91. In quel caso una delle idee iniziali era di costituire una rete di collegamenti tra vari elementi estranei alla struttura rappresentata dal museo. Ricercavamo una possibile apertura in grado di far comunicare il museo con l'esterno per lo spazio dell'evento, quindi senza nessuna pretesa di modificarne l'intimo suo significato. Pur trovando ampia comprensione e disponibiltà da parte dei curatori del Museo, ci siamo accorti che le strutture, gli ordini e le linee di demarcazione troppo forti e troppo regolate dai meccanismi di sedimentazione dell'Identità, non amano per definizione il confronto, il vincolo con l'alterità... Non permettono nessuna dinamica comunicazionale, nessuna alchimia con i messaggi "mondani" che si irradiano disordinati e che abbracciano il globo. Messaggi che stanno diventando sempre più carichi di sofferenza e di oscuri presagi.
Paradossalmente possiamo tenere presente la calma olimpica delle sale di un museo (di qualsiasi indirizzo, con qualsiasi opera esposta) e dall'altra le scene di Guerra e Maledizione che si rincorrono tra i vari notiziari.
Il museo e l'arte in esso, si compiacciano dei propri successi e si dispiacciono dei propri insuccessi mentre il mondo si spara. E' questa una lezione morale che insegna molto sulla natura delle strutture chiuse e dei sistemi impermeabili all'ambiente. Le inerzie tra il sistema dell'arte, inteso come intreccio di poetica e di organizzazione, e il mondo, condannano il primo all'inefficacia e il secondo alla solitudine. E' una situazione che non ha alcun senso in piena guerra civile planetaria. E' brutto, molto brutto.
C'è chi si sta ribellando a questo stato di cose, e riteniamo sia necessario tracciare una mappa di possibili collegamenti tra gli artisti che hanno deciso di confrontarsi non con la critica e il mercato ma che sono alla ricerca di nuovi mondi possibili.
Quanto alla cultura mediale, fin dall'inizio degli anni '80 ci siamo detti che il problema più grosso che dovevamo affrontare era in generale un problema di alfabetizazzione. L'impressione odierna è che i giochi siano ancora aperti, che non sia possibile tracciare un bilancio. Le tecnologie vengono usate, spesso sottoutilizzate, quasi sempre non comprese. I nostri lavori appartengono ad un ambito sommerso, non si possono rapportare a categorie predefinite.

4) I percorsi che hanno portato all'uso del video, in mancanza di sedi istituzionali di formazione e informazione, anche per la generazione successiva a quella che si è accostata al nuovo medium nel contesto della stagione rivoluzionaria della Performance art, sono vari e interessanti da indagare. Quale è stato il vostro background e quali istanze avete riversato nelle nuove tecnologie?

R. Ognuno dei componenti dei GMM aveva i suoi personali eroi e maestri, ma i GMM non ne avevano alcuno, lo dicevamo (e lo diciamo) e questo irritava non poco. In altre parole: il background della complessa entità GMM non esiste, prima è stato proiezione dell'immaginario legato al nome e alle nuove tecnologie e dal 1987, anno in cui il gruppo ha cessato di esistere trasformandosi in un progetto di ricerca, si fa e disfa in continuazione a seconda del luogo, della situazione e della persona. Non è un caso che non abbiamo mai trovato nessuno veramente interessato alla globalità del nostro lavoro, a parte Franco Bolelli che non appartiene a nessuna categoria della critica.
Accettammo inizialmente per qualche tempo la definizione di artisti multimediali, fino a quando fu chiaro che quello che, artisticamente eticamente socialmente poeticamente filosoficamente, intendevamo noi per multimediale era ben diverso da ciò che si era, o era stato, imposto. "Multimediale" venne eletta come parolina dell'anno nel 1985 (forse già nel 1984 quando si diceva: un artista post-moderno è per forza di cose multimediale e viceversa...) e ancor oggi ottiene sempre ottimi piazzamenti, spodestata in vetta solo da "realtà virtuale". Progetto multimediale diventò allora tutto, dai lanci pubblicitari al teatro di Scaparro, e noi non c'entravamo proprio niente...
Ogni definizione al nostro lavoro ci sembrava inadeguata: rifiutavamo la definizione di videoartisti o computerartisti o di pionieri tecnologici o di artisti ambientali, rifiutavamo quella di fumettari, rifiutavamo quella di modaioli post-moderni che facevano tendenza, odiavamo l'idea di passare per degli esperti della nuova comunicazione o per dei professionisti di qualsiasi tipo. Eravamo degli hackers dell'immaginario alla ricerca di nuovi paradigmi. Ogni media era quello giusto e ogni posto andava bene per proporre nuovi lavori: discoteche, musei, gallerie, teatri, cinema, festivals di tutti i tipi, scogliere, giardini, chiese sconsacrate...

(segue)