LA GUERRA IN MESSICO
Due testi chiave
di Claudio Albertani
Pochi tra i movimenti sociali contemporanei hanno prodotto tanti libri -
più di un centinaio di cui una cinquantina in Messico ed almeno una
decina in Italia - quanto la ribellione degli indigeni del Chiapas che
lo scorso primo gennaio ha compiuto 4 anni.
Districarsi in questa giungla di informazioni non è facile. Alcuni, come
La Rebelión de las Cañadas, di Carlos Tello Díaz (Cal y Arena, 1995) -
che "rivela" l’identità dei principali lider ribelli mettendoli in
relazione con il vescovo Samuel Ruíz - si inseriscono nella guerra
psicologica lanciata contro le comunità in resistenza.
Altri si riducono ad operazioni editoriali di scarso spessore (è il
caso, in Italia, del recente Marcos e l’Insurrezione Zapatista di Gianni
Minà e Jaime Aviles, Sperling e Kupfler, 1997) ed altri ancora fra cui
Chiapas, La Rebelión Indígena de México, di Carlos Montemayor (Joaquín
Mortiz, 1997) e El Tercer Vínculo. De la teoría del caos a la teoría de
la militarización, di Carlos Fazio, (Joaquín Mortiz, 1996) sono
strumenti indispensabili per capire le cause profonde di ciò che sta
accadendo. Purtroppo nessuno dei due libri è disponibile in versione
italiana, ragion per cui ne è urgente la traduzione.
Carlos Montemayor è un esperto di storia dei movimenti guerriglieri ed è
contemporaneamente un profondo conoscitore del Messico indio. Autore del
romanzo storico Guerra en el Paraíso (Seix Barral, 1991) che
ricostruisce l’esperienza della guerriglia di Lucio Cabañas nella
Sierra di Guerrero (1967-74), Montemayor possiede una solida formazione
culturale. In passato ha curato la traduzione di classici greci e latini
e, più recentemente, si è occupato di letteratura orale, coordinando
seminari di giovani scrittori indigeni. A partire dal due gennaio del
94, sulle pagine di La Jornada e successivamente anche di Proceso,
Montemayor è stato uno dei critici più appassionati e rigorosi del
governo messicano.
Il libro si sviluppa lungo due direttrici: da un lato le culture
indigene e dall’altro i movimenti armati. Da sempre - spiega l’autore -
il Messico ha cercato di integrare l’indio alla società nazionale, solo
per esigere che rinunci ai suoi diritti e diventi un lavoratore agricolo
dequalificato. I successivi governi hanno applaudito la cultura
preispanica, rifiutando però di rispettare l’indio in carne ed ossa.
Uno dei meriti dell’Ezln è proprio quello di aver svegliato la coscienza
indigena del Messico contemporaneo. Il parto è tuttavia doloroso: nelle
trattative di pace - da tempo impantanate per via della chiusura del
governo - è in gioco il riconoscimento dell’autonomia e della
personalità giuridica delle comunità indigene, quella stessa per cui
lottò e fu assassinato Emiliano Zapata nel 1919. Allora come oggi, la
classe dominante si rifiuta di vedere e di sentire ed è disposta a tutto
pur di conservare i propri privilegi. Ciò spiega, fra l’altro, la
proliferazione di gruppi paramilitari.
L’altro presupposto da cui parte Montemayor è che in Messico la
guerriglia sia una delle espressioni sociali più profonde e costanti: la
lotta armata non risale qui al 1994, ma ad almeno 3 decenni prima,
quando sia nelle città che nelle campagne, nacquero numerosi gruppi
clandestini. Negli anni 60 e 70 - in particolare durante la presidenza
di Luis Echeverría (1970-76) con l’attuale ambasciatore in Italia, Mario
Moya Palencia, ministro degli interni - vi furono spietate campagne
controinsurrezionali che non riuscirono però a distruggere completamente
i nuclei guerriglieri. Duramente colpiti, questi ridussero le azioni
militari, senza però smettere di esistere.
L’Ezln appartiene ad una delle correnti sopravvissute ed è in primo
luogo, una guerriglia rurale con radici profonde nel territorio. Gli
zapatisti non potrebbero esistere senza l’appoggio e la complicità delle
reti profonde di organizzazione familiare, sociale ed economica che
caratterizzano la vita dei contadini maya della regione.
Una delle novità dell’Ezln è di essere il primo movimento guerrigliero
nel Messico contemporaneo a ricevere riconoscimento come forza
belligerante e a conquistarsi uno spazio permanente nei mezzi di
comunicazione nazionali ed esteri. Inoltre - e questo è uno dei suoi
tratti distintivi rispetto, ad esempio, alle guerriglie guevariste degli
anni precedenti - l’Ezln ha fin dall’inizio "interpellato il mondo",
esplorando nuovi metodi di fare politica e cercando un rapporto nuovo
con la società civile.
Montemayor prende in considerazione anche le altre guerriglie - che sono
37, secondo un recente rapporto del Pentagono - ed in particolare
l’Ejército Popular Revolucionario, Epr, presente in varie regioni (fra
cui anche il Chiapas) e forse più forte dell’Ezln, anche se meno
agguerrito nell’uso della "parola".
Alla fine suo pronostico non è ottimista: "vi sarà un aumento della
militarizzazione ed un’estensione della lotta antiguerrigliera durante
anni, forse lustri in un’atmosfera politica ed economica ogni giorno più
chiusa". Queste parole, scritte in settembre del 96, suonano oggi
tristemente profetiche e ci servono a introdurre il secondo libro,
quello di Carlos Fazio, il cui tema è il rapporto tra la
militarizzazione della società messicana e la crescente ingerenza degli
Stati Uniti.
Giornalista di origine uruguayana, Fazio risiede in Messico da molti
anni ed è autore di svariate opere, fra cui El Militarismo en América
Latina (Proceso, 1980) e la più completa biografia di Samuel Ruiz (El
Caminante, Espasa, 1994), il vescovo di San Cristobal che da 38 anni
lotta a fianco degli indios del Chiapas ed è attualmente presidente
della Comisión Nacional de Intermediación, Conai.
Fazio osserva che, in pochi anni, l’esercito messicano passa dalla
periferia del potere al centro dello scenario politico. Alla fine degli
anni ottanta infatti, il controllo dei civili sul governo era pressoché
totale però il quadro cambia a partire dalla presidenza Salinas
(1988-94), quando in seguito alle simpatie raccolte tra i militari dal
candidato dell’opposizione Cuahutemoc Cárdenas (reale vincitore delle
elezioni), il nuovo governante destina all’esercito grandi risorse
economiche. Così, mentre nel resto dell’America Latina diminuiscono le
spese del settore difesa, in Messico cominciano ad aumentare
vertiginosamente.
La tesi di Fazio è che il governo si appoggi oggi sui militari più che
sul vecchio e screditato Pri (Partido Revolucionario Institucional) al
potere dagli anni trenta. Il numero dei soldati passa da 170 mila nel
1992 a 236 mila nel 1996 e, sotto Zedillo, un militare, il generale
Enrique Salgado Cordero, assume le funzioni di capo della polizia di
Città del Messico. Nel corso del 1996, i posti chiave della pubblica
sicurezza - da quello del Procuratore contro il traffico di droga fino
ai quadri medi della provincia - sono progressivamente occupati da
ufficiali dell’esercito, mentre gli stati a rischio - non solo il
Chiapas, ma tutte le regioni indigene - si trasformano in immense
caserme da cui non si può entrare, nè uscire senza essere
meticolosamente controllati e registrati. In tal modo, l’esercito crea
una piattaforma da cui sorveglia la vita politica del paese.
A ciò si aggiunge la nascita di un nuovo rapporto con l’apparato
militare USA, un "Terzo vincolo", secondo l’espressione del ministro
della Difesa nordamericano William Perry, dopo quello economico sancito
dal Nafta e quello politico assicurato dai buoni rapporti tra i due
governi. Per gli Usa diventa vitale assicurare la lealtà delle forze
armate messicane - tradizionalmente gelose della propria autonomia -
all’interno dello schema di sicurezza interamericana.
La più grande potenza del globo infatti non ha mai avuto accesso alla
struttura delle decisioni tattico-operative e strategiche delle forze
armate messicane che, insieme a quelle cubane, sono state le uniche in
America Latina a non essere direttamente controllate dal Pentagono.
Dopo una visita di Perry dell’ottobre 1995 - la prima di un ministro
della Difesa americano dal 1948 - in Messico si comincia a parlare della
possibilità di portare a termine manovre militari congiunte, di
espansione del Programma Internazionale di Educazione e Preparazione
Militare, nonché di una nuova collaborazione nelle aree di lotta al
narcotraffico, spionaggio e ricerca di informazione sulle attività dei
gruppi sovversivi.
Fin qui Fazio. Oggi possiamo dire che le sue previsioni, formulate a
fine 96, si sono rivelate corrette: tra il 1996 e il 1997, l’Esercito
messicano ha creato i GAFE (Gruppi Aeromobili di Forze Speciali) con
1800 elementi preparati dal Pentagono. I militari messicani hanno
ricevuto addestramento nelle aree di mantenimento, operazioni speciali,
operazioni anti-droga e come piloti. Un numero crescente di essi ha
frequentato la famigerata School of the Americas la scuola dei dittatori
di Fort Benning da dove sono usciti i mostri sanguinari che negli anni
scorsi hanno pianificato le guerre di sterminio in Argentina, Guatemala
e El Salvador.
Altri, come il generale Mario Renán Castillo hanno invece studiato
"guerra psicologica" a Fort Bragg. Il 4 luglio 1997, Renán Castillo,
comandante della forza speciale controinsurrezionale Arcoiris firma come
testimone di onore un accordo tra il governo del Chiapas e il gruppo
paramilitare Paz y Justicia che prevede la consegna di 500.000 dollari
per "attività produttive". Il 5 novembre Paz y Justicia offre un esempio
di queste "attività produttive" imboscando Samuel Ruiz e il suo vice
Raul Vera nei pressi della comunità El Crucero, municipio di Tila,
Chiapas. I due prelati sopravvivono all’attentato, non così i 45 martiri
di Acteal, massacrati il 22 dicembre 1997 da un gruppo analogo, Mascara
Roja, in nome del fondamentalismo neoliberale di Ernesto Zedillo.
Chiapas