Intorno al 1965, negli Stati Uniti, un gruppo di donne e di uomini, spinti dall'esasperazione e
dalla retta coscienza, cominciarono ad organizzarsi per tentare di riformare la legislazione
sull'aborto. Ci trovammo contro coloro che vedevano nell'aborto la soppressione della vita o
la minaccia a sacri principi come "il sesso per il matrimonio" e "il matrimonio per i figli," i
medici che non volevano rinunciare ai loro privilegi, i profittatoci che gesti
vano il lucroso racket dell'aborto clandestino.
Nel 1970, infine, lo stato di New York passò non una semplice riforma ma una "quasi
abrogazione" della legislazione sull'aborto, che lo consentiva a tutte le donne incinte da
meno di 24 settimane purchè fosse compiuto da un medico in ambiente sanitario. Entro il
1972 passarono, negli Stati dell'Alaska, delle Hawaii e di Washington, statuti che si
avvicinavano alla concessione dell'aborto su richiesta della donna, mentre in molti altri
Stati i gruppi collegati al movimento femminista e ai movimenti per i diritti civili e per la
pianificazione della famiglia si erano impegnati in vertenze giudiziarie che sfidavano le leggi
restrittive.
Oggi negli Stati Unitì
A questo punto è chiaro che la decisione della Corte suprema è stata solo un primo passo
verso l'acquisizione del diritto all'aborto assistito per ogni donna. Certo la situazione è
decisamente migliorata: quasi tutte le donne che scelgono l'aborto entro i primi tre mesi di
gravidanza (fino a 12 settimane) lo ottengono senza doversi troppo allontanare da casa (ma
per la donna che si trova nel secondo trimestre, da 12 a 24 settimane, è sovente molto
difficile farsi assistere); e per i casi al di sotto delle 12 settimane sono stati aperti vari
ambulatori alcuni dei quali, come i centri di pianificazione della famiglia, non a scopo di
lucro, mentre troppi altri sono finalizzati al profitto e quasi nessuno è finalizzato alla donna.
Alcuni ospedali a gestione femminile, in California, stanno elaborando un modello di
assistenza sanitaria senza scopi di lucro e finalizzata alla donna, dal quale ogni altro centro
sanitario del paese dovrà imparare.
Dagli studi sulle conseguenze psicologiche dell'aborto legalizzato emerge che nella donna,
dopo l'intervento volontario, prevale la serenità sulla tristezza, il sollievo sulla depressione.
Tra gli argomenti degli antiabortisti, uno vuole che l'aborto violi una legge naturale
antichissima. Al contrario, per secoli e secoli l'aborto ai primi stadi della gravidanza fu
legalmente tollerato, e in molte società, sia in Europa che più tardi in America, fu adottato
come uno dei soli metodi sicuri di controllo delle nascite. Persino la chiesa cattolica ammise,
con opportuna elasticità, il principio secondo il quale il feto viene vivificato dall'anima
razionale, così che l'aborto fu considerato un delitto solamente dopo 40 giorni dal
concepimento per il maschio, e dopo 80 giorni per la femmina (come si facesse a
determinare il sesso del nascituro non era specificato). La legge inglese, che risale al XIII
secolo e che fu poi estesa agli Stati Uniti, dimostra una notevole tolleranza dell'aborto finchè
il feto non era considerato vitale, cioè fino alla comparsa dei primi movimenti, generalmente
avvertiti dalla madre al quinto mese.
La maggior parte delle leggi che fanno dell'aborto un crimine non furono introdotte prima
dell'Ottocento. Nel 1869 papa Pio IX dichiarò che l'aborto è sempre un omicidio, e in
America entro il 1870 la nuova legislazione mise fuori legge qualsiasi forma di aborto salvo
quello "necessario a salvare la vita della madre."
Le ragioni per cui l'aborto diventò improvvisamente un "delitto" sono varie. La prima è del
tutto rispettabile: l'aborto era allora una operazione pericolosa, i metodi primitivi, gli
antisettici scarsi, il tasso di mortalità elevato; e quindi la legislazione sull'aborto fu in parte
dovuta all'ondata umanitaria della metà del XIX secolo e alla sua intenzione di proteggere la
donna. In secondo luogo, proprio in quegli anni l'assistenza ginecologica passava dalle
mani delle levatrici, che sicuramente offrivano, tra le loro prestazioni, anche l'aborto, a quelle
dei medici maschi, che non sempre riconoscevano alla donna il diritto di interrompere la
gravidanza. In terzo luogo, le nuove cognizioni di biologia del concepimento e della
gravidanza rivelarono che il feto è vivo anche prima che se ne percepiscano i movimenti,
costringendo
a riconsiderare la soluzione dell'aborto "prima che il feto sia vivo." In quarto luogo, contemporaneamente al
diffondersi tra le
donne delle cognizioni sul fenomeno del concepimento, alcuni
governi e alcune
confessioni religiose propugnarono la necessità della crescita della popolazione per tener testa alla
espansione dell'industria e della colonizzazione di nuovi territori, e le leggi contro l'aborto
collocarono la donna sullo stesso piano delle altre macchine dell'economia in sviluppo.
Infine, ed è forse l'argomento più insidioso, un movimento fortemente moralistico,
ossessionato dal dovere di bandire il sesso come "divertimento," diede vita a una campagna
contro l'aborto e contro il controllo delle nascite. Il sesso era riservato al matrimonio e il
matrimonio alla procreazione: fuori del matrimonio il sesso era immorale, e anche dentro il
matrimonio, se troppo piacevole, non era esente da immoralità e veniva punito dalle
gravidanze non desiderate.
Queste leggi ottocentesche, se non riuscirono a reprimere la vigorosa sessualità naturale
della donna, riuscirono però, dato che la donna, come la storia insegna, legalmente o no ha
sempre abortito, a costringerla sempre più sovente a procurarsi l'aborto per vie illegali. Nella
nostra storia collettiva di donne, il trauma dell'aborto illegale è una componente che ci
riempie di orrore e di rabbia. Tra le donne che per disperazione dovevano procurarsi da sè
l'aborto o sottoporsi di nascosto a operazioni pericolose, il tasso di complicazioni, di sterilità
e persino di morte era altissimo; si arricchivano, invece, le "mammane" clandestine che
facevano pagare prezzi elevati per interventi non medici compiuti in assenza di condizioni
igieniche, e vergognosa era la discriminazione contro le donne povere che dovevano correre
il rischio dell'aborto clandestino mentre le loro simili più ricche si potevano pagare un medico
comprensivo. E quelle che non potevano interrompere la maternità non desiderata si
trovavano troppo spesso a vivere, con i loro bambini, una vita tormentata da mille difficoltà.
Il primo successo fu la liberalizzazione delle leggi sull'aborto in alcuni Stati (tra cui il
Colorado e la California), che consentì alle donne, in certi casi specifici, di far domanda di
aborto, lasciando la decisione ai medici e agli ospedali. La burocrazia medica e gli alti costi
si allearono alla sostanziale opposizione della società all'aborto nel consentire soltanto a
pochissime, per lo più benestanti, di beneficiare della riforma. Nel 1969, quando alcuni stati
avevano liberalizzato in qualche misura la legislazione, il 75% delle donne morte per aborto
(per lo più clandestino) erano di colore, mentre il 90% degli aborti legali era stato praticato a
pazienti private.
La discriminazione
atroce continuava.
Per due anni le donne che potevano permetterselo affollarono i pochi Stati dove l'aborto era
legale: nel 1972 nella sola città di New York furono registrati 223.000 aborti, dei quali il
61,8% compiuto su donne provenienti da altri Stati. L'esperienza di New York ci insegnò che
alcuni elementi della comunità medica erano disponibili a venire incontro all'esigenza
dell'aborto. La sicurezza e l'efficienza dell'assistenza migliorò di anno in anno; senonchè,
per ogni donna che riusciva a venire a New York, molte altre restavano confinate, senza
mezzi e senza libertà di movimento, in comunità dove la parola aborto era ancora
irripetibile, e come prima erano costrette alle orribili pratiche dell'aborto clandestino. Dopo
aver preso atto che l'aborto si era dimostrato sicuro e che esisteva una forte richiesta di
assistenza legalizzata a New York, i testimoni di numerosissime azioni giudiziarie davanti
alla Corte suprema degli Stati Uniti chiesero l'abrogazione di tutta la legislazione federale
limitante l'accesso all'aborto.
La decisione della Corte suprema venne nel gennaio del 1973, e riconobbe che il "diritto
all'indipendenza della coscienza [... ] fondato sul concetto di libertà personale formulato dal
14' emendamento [...] è abbastanza vasto da comprendere la scelta, da parte della donna, di
portare o no a termine la propria gravidanza." In particolare la Corte dichiarava che durante i
primi tre mesi di gravidanza la scelta dell'aborto può essere compiuta soltanto dalla donna e
dal suo medico. Verso la fine dei tre mesi, la competenza dello stato nella regolamentazione
dell'aborto si riduce alla formulazione di regole che sanciscono dove si può praticare l'aborto
e chi può farlo. "Soltanto quando il feto ha raggiunto l'età sufficiente a sopravvivere alla
nascita (da 24 a 28 settimane di gravidanza) lo stato può proibire l'aborto [... ] a meno che
sia necessario a salvare la vita o la salute della madre."
Se la legalizzazione dell'aborto è stata soltanto un primo passo, che cosa resta da fare?
Innanzitutto dobbiamo batterci contro il forte movimento antiabortista che minaccia di
invertire il processo giuridico già compiuto; in secondo luogo, sorvegliare costantemente la
qualità e la disponibilità dell'assistenza all'aborto, che subisce alti e bassi fortissimi.
Tratteremo separatamente questi due argomenti.
I dati statistici confermano che l'aborto legalizzato volontario migliora la salute fisica e
psichica della donna. Se ne ricava infatti che durante i primi quattro anni di applicazione
della nuova legge della città di New York:
Il tasso di mortalità infantile è caduto.
Il tasso di morte da aborto è caduto.
Il tasso di ricoveri in ospedale per aborti incompleti (clandestini) è caduto.
Il tasso di mortalità e di complicazioni dell'aborto legale è costantemente sceso.
Il tasso di mortalità da aborto precoce è stato molto inferiore a quello da gravidanza
conclusa e da parto.
Poichè questo capitolo è dedicato all'aborto, inevitabilmente sembrerà che noi lo
propugnamo come la soluzione "giusta.' Il "migliore" o "più liberata": noi invece non crediamo
che chiunque, in caso di gravidanza inattesa, debba abortire, ma ci limitiamo a dare molto
spazio a quelle informazioni sull'aborto che in passato è stato difficile ottenere.