"CONOSCENZA E IMMERSIONE NEL LINGUAGGIO DEI MEDIA"
Prof. Roberto Maragliano
Ordinario di Tecnologie dell'Istruzione
Dipartimento Scienze dell'Educazione
III Università di Roma.
Premetto subito che non riuscirò a fare il discorso che vi aspettate certamente da me, data la natura del convegno, e cioè quello di non fattivo, costruttivo, pensato collegamento, tra la cultura dei media e il problema dell'handicap.
Questo non lo posso e non lo debbo fare perchè mi sento totalmente inesperto su uno dei due versanti del discorso, cioè quello che riguarda l'handicap; e non voglio pensare, ne che pensiate, che il collegamento può essere fatto sulla base di ragionamenti più o meno astratti, più o meno pertinenti. Se manca un elemento del discorso è giusto che il discorso venga anticipatamente presentato monco come discorso.
Io parlerei di multimedialità; i riferimenti, i collegamenti, le integrazioni, i passaggi, i link, sarà cura vostra farli. Non chiedetemi di improvvisare un discorso sull'handicap. Posso soltanto, collegandomi alle suggestoni di Ornella Martini, riflettere ma non vado al di là di questa riflessione. Sul fatto che il rapporto tra adulto, più o meno normodotato, e macchine, in particolare il computer, è un rapporto laddove noi siamo in presenza di un utente abituale, è un rapporto carico di ansia; è un rapporto sotto un certo aspetto addirittura drammatico.
Le volte che riesco a portare le insegnanti dentro al Laboratorio a contatto con le macchine, registro regolarmente due tipi di reazione: la prima reazione è della persona dotta, che vedendo il PC IBM compatibile, dice: "io uso Machintosh" come dire " Io sono del giro ma non chiedetemi di lavorare con questo coso qua". Di solito sono mogli di architetti, utenti Mac, che utilizzano questo luogo comune, per altro così fondato, cioè Mac funziona meglio di IBM compatibile, per dire no al rapporto con il PC. Questa è una prima reazione. L'altra reazione è quella di dire: "Io non so nulla e non voglio sapere nulla, mi fa paura.
Quando si riesce a superare questo primo livello, di solito si registrano delle enormi difficoltà da parte del principiante, nell'utilizzo del mouse.
Ci sarebbe da fare un lunghissimo discorso sullo sforzo, non concettuale, ma direi sensorio e corporeo, che richiede adeguarsi ad un computer di struttura, cioè di coordinamento tra piano orizzontale e piano verticale.
Un bambino anche di quattro anni impiega pochi secondi a fissare questo coordinamento, un adulto, certamente alfabetizzato, anzi direi più alfabetizzato è, peggio è, rischia proprio di non superare questo scoglio iniziale.
Questo per dire che il rapporto tra utente futuro, ipotetico utente e una macchina, è un rapporto estremamente complesso, estremamente ansiogeno. Questa è l'unica annotazione che faccio, che è lo stesso rapporto che il soggettto portatore di handicap subisce nei confronti del normodotato.
Il soggetto si trova di fronte ad un altro ente dotato di un'altra logica, senza avere gli strumenti per entrare in contatto con la logica dell'altro ente. Quindi tutte le volte che un non utente di computer entra in contatto con il PC, vi consiglio di ricordare questa annotazione. Siete degli handicappati di fronte a un normodotato. Allora, è inutile fare tanti discorsi sull'handicap, se poi non vivete criticamente, positivamente questa situazione.
Ognuno di noi è handicappato in moltissime cose. Allora quando pretendiamo da un soggetto portatore di handicap determinate prestazioni, dobbiamo anche riflettere su quello che riusciamo a pretendere da noi stessi nel momento in cui ci troviamo in situazioni di handicap nei confronti del mondo, e in particolare nei confronti del mondo delle macchine.
Vero è che il mondo delle macchine, potrebbe essere fatto meglio; vero è che le interfacce delle macchine spesso sono fatte in modo da scontentare l'utente, da creargli proprio l'handicap; però è altrettanto vero che è proprio il rapporto con la macchina che crea l'ansia, che crea difficoltà. Almeno in chi ha una cultura, in chi ha degli schemi di interpretazione; è uno dei moltissimi casi in cui la quantità di cultura, e di elaborazione della cultura, costituisce non un elemento di agevolazione, ma un elemento di ostacolo nel rapporto con la cosa, nel rapporto con l'oggetto, con lo strumento. In particolare con il computer come strumento mobile, in movimento, strumenti in un certo senso ideologici; sono strumenti interattivi e quindi è chiaro che aumenta il carico di difficoltà, il carico di ansia.
Naturalmente il soggetto meno dotato di schemi di interpretazione del mondo, che vive un rapporto più fisiologico con la realtà, più immediato, meno mediato, e più di pelle con le macchine, e per questo avevo messo nel titolo di questo mio sproloquio il concetto di immersione, quindi, l'individuo, vuoi per disponibilità psicologica, vuoi per difficoltà individuali, stabilisce, instaura, istintivamente un rapporto di immersione con la macchina, perchè si immerge dentro esattamente come un ascoltatore si immerge in un ambiente sonoro senza intermediazioni, semplicemente vibrando in sintonia con l'ambiente sonoro.
Colui che si immerge, certamente ottiene più risultati dal rapporto con la macchina. Comunque la fa funzionare, comunque stabilisce un dialogo.
Allora io credo che dovremmo imparare da adulti, come adulti, questo che è il giusto atteggiamento, che è l'atteggiamento che di solito hanno i bambini nei confronti delle macchine. Questo crea ulteriori spazi di ansia nell'adulto. Potrei fare una esemplificazione vastissima e vi annoierei certamente, però credo che voi tutti siate consapevoli che l'mmagine del bambino multimediale oggi, cioè del bambino che interagisce autonomamente con la televisione, il computer e il video gioco, non è una immagine che la società accetta continuamente; anzi è una immagine che la società fa continuamente interventi di condanna e di censura.
Non sto parlando della società nelle sue strutture istituzionali, ma della società nei sui vincoli ideologici, nei suoi linguaggi, nei suoi comportamenti familiari. Posso fare un solo esempio riprendendolo da un inserto di Repubblica, che dedica come fanno tanti altri settimanali un pò di pagine al Natale, ai regali, alle cose da acquistare per adulti e bambini. Dopo una decina di pagine, dedicate agli adulti, si passa alla pagina del bambino e tutti i riferimenti a oggetti tecnologici sono fatti sotto l'insegna della diavoleria. Non so se dopo avremo il tempo di farvi vedere una di queste diavolerie.
Viene usato la parola, l'aggettivo diabolico, per dire semplicemente, presentare un software dentro il quale le filastrocche di Rodari vengono utilizzate come materiale di manipolazione automatica, vengono assoggettati a processi automatici di trasformazione. Questa prestazione del software, viene presentata in quelle pochissime righe come una prestazione diabolica; cioè la stessa cosa che per l'adulto è virtuosa, per il bambino è diabolica. Perche?.. Io credo che la risposta sia in quello che ho detto precedentemente. Qui c'è un'invidia che si trasduce poi in aggressività mediante anche quel rapporto " naturale", che il soggetto infantile che potrebbe anche essere il soggetto portatore di handicap, ha nei confronti della macchina; cioè un rapporto non mediato, un rapporto non intellettualizzato, un rapporto non ragionato, e quindi diabolico perchè diverso dal mio. io mi sforzo da adulto, faccio uno sforzo enorme per leggermi il manuale per l'utilizzazione del software, da cui non capisco assolutamente nulla, entro nel software, e ovviamente applicando le concettualizzazioni astratte del manuale mi smarrisco completamente, vicino a me l'altro, il mostro, che senza nessun bisogno di intermediazione concettuale, quindi di manuale, entra nel software e qualunque esso sia si comporta come in una situazioene di video-gioco: tocca, per vedere che cosa fa, clicca e sta ad aspettare,prove ecc.. . Allora la reazione a questa situazione da parte dell'adulto, è una reazione di aggressività.
Direi che la stampa, del bambino oggi, la visione collettiva del bambino che noi abbiamo nel suo rapporto con la macchina, è una visione fortemente negativa; ed è probabile che tanto più si svilupperanno iniziative di integrazione tra la pedagogia dell'handicap e la pedagogia dei media, questo atteggiamento si trasformerà anche in quel settore. Va tenuto presente questo aspetto e credo che vada fatto uno sforzo per superare questo atteggiamento e il modo migliore per superarlo è quello di coltivare positivamente noi adulti, la nostra parte bambina, e se voleta la nostra parte handicappata. cioè coccolarla, non considerarla qualcosa di rigido, che deve essere rimossa, ma un qualcosa che va promossa in senso positivo; cioè se io trovo ansia nei confronti della macchina, devo anche capire perchè e devo anche mettermi nei panni di coloro che non trovano ansia; cioè non posso essere io che insegno il rapporto con la macchina ad un bambino che poi mi potrebbe essere maestro. Molto meglio se avviene al contrario: lui che mi è maestro mi diventa effettivamente maestro.
Credo che il problema comunque non riguarda soltanto il Computer ma riguarda profondamente il tipo di cultura e il tipo di contratto culturale che si viene a stabilire tra individuo-macchina.
Al di la dell'interfaccia, al di la della durezza della macchina, quello che angoscia l'adulto, è che l'utente nel suo rapporto con la macchina, da vita a una configurazione di concetti, immagini, realtà sonore e non sonore, visive e non visive, insomma da vita ad una cultura che è impensabile e non è più definibile secondo le classiche categorie di integrazione della cultura; cioè da vita ad una realtà che non corrisponde alla nostra filosofia della realtà e non c'è bisogno di scomodare continuamente il computer per ragionare su questo aspetto, basta pensare alla televisione. E' impossibile secondo le categorie matacognitive correnti, secondo la filosofia della conoscenza corrente, basata su modelli epistemologici, pensati coerentemente e sviluppati coerentemente in rapporto all'ambiente libro, è impossibile dar conto della realtà televisiva, non del linguaggio ma del rapporto di conoscenza e confidenza che si stablisce tra utente e televisione.
Quello che ne viene fuori da questa situazione, da questa consuetudine che comunque l'individuo, qualunque sia la sua età ha con l'esterno, è appunto una mentalità, non saprei come definirla diversamente, per la quale non abbiamo chiavi di lettura. Questo penso sia corretto riconoscerlo. Oggi il mondo sta andando in quella direzione con una grande elaborazione di conoscenza e di esperienze, alla quale non corrisponde una adeguata collaborazione metacognitiva. Siamo attorniati da fenomeni che intuiamo da avvenimenti, strettamente collegati all'universo dei media; non come effetti dei media, ma come fenomeno che hanno una componente mediatica forte e tutti gli avvenimenti politici degli ultimi decenni direi che sono di questo tipo, è chiaro che dentro quei fenomeni pesano gli aspetti e le realtà dei media, però proprio per questo non riusciamo a dare delle interpretazioni esaustive su questi stessi canali, al di la di inaccettabili rapporti causa-effetto. Io penso che sia volgare, inaccettabile la tesi che il muro di Berlino sia caduto per effetto della televisione, ma è altrettanto inaccettabile la tesi che prescinde completamente dalle forme della comunicazione che si sono sviluppate via via dagli anni '60 in poi, e che poi hanno avuto un certo apice in un periodo, guarda un pò, caso strano, è caduto il muro di Berlino.
La nostra logica direi difenderiana, ci costringe ad assumere uno schema causa-effetto e questo è uno dei casi in cui che la metacognizione non corrisponde al suo oggetto, non ci da conto del fenomeno e cosi della condizione. Quindi il problema non è soltanto psicologico, non soltanto pedagogico direi che è un problema antropologico in senso lato. Lo sviluppo delle tecnologie della conoscenza, degli strumenti di amplificazione, degli spazi e dei modi dell'esperire, ha enormemente trasformato i quadri del sapere e dell'esperire, ma soprattutto ci ha costretti ad immergerci in una realtà che comunque esperiamo quotidianamente, ma che per la quale non abbiamo sufficienti strumenti metacognitivi, cioè strumenti di interpretazione. Forse dovremmo accettare che questo possa avvenire. C'è tutta una concezione filosofica che ci spiega che la realtà va avanti secondo processi molto più veloci che non di interpretazione.
Quindi calmiamoci un pò, perchè questa assurda volontà di pedagogizzazione tra bambino e televisione. Vanno molto di moda questi libri. Ce uno scritto uscito recentemente di cui non faccio il nome, che è tutto costruito su questa volontà di pedagogizzazione al rapporto tra bambino e televisione. Bisognerebbe punire l'autore e costringerlo a vedere la televisione con gli occhi del bambino, allora capirebbe che la pedagogizzazione dovrebbe andare nell'altra direzione, cioè quello che il bambino può insegnare all'adulto il rapporto corretto con la televisione. E potrei fare altri esempi: es. il luogo comune, altrettanto osceno sul fatto che il bambino confonde la realtà con l'immaginazione. La prossima volta tirerò fuori una pistola quando sento una cosa così, perchè è un ricatto ideologico filosofico che non possiamo più accettare. Perchè dietro c'è tutto il ragionamento che ho cercato di mettere in luce ma anche per il fatto che rappresenta un forte carico di aggressività nei confronti di questo nuovo soggetto che poi siamo stati noi a metterlo al mondo e formare in questo modo.
Chi è confonde la realtà con l'immaginazione? Confonde la realtà con l'immaginazione colui che non ha elementi di intermediazione tra queste due zone e quale è uno degli strumenti più efficaci che assicurano l'intermediazione tra realtà e immaginazione? Il gioco. Il gioco è proprio la zona franca, la zona intermedia, il luogo della manipolazione libera dalla realtà, è il luogo libero dalla indefinitezza dei ruoli tra realtà e immaginazione. Chi gioca ha spazi più ampi, quindi non confonde. E' l'adulto che confonde la realtà con l'immaginazione, il bambino no. Il bambino, proprio perchè vive molteplici esperienze di immaginazione e le vive in modo corretto, in quanto le vive all'interno di una dimensione di gioco, è estremamente vaccinato di fronte a questo ipotetico errore, ed è da vedere se sia un errore veramente, o un danno. Bisognerebbe fare tutto un discorso sul concetto realtà ma non sono in grado di farlo, però mi sembra evidente che questo è un problema dell'adulto e non del bambino.
E' comunque più un problema per chi, dentro uno spazio multimediale utilizza una gerarchia di sapere, di media; è più un problema di un letterato che non di chi vive in modo naturale questo spazio; è più un problema dell'uomo colto, (colto in senso accademico) che dell'uomo incolto. Allora io credo che dobbiamo fare i conti con questa ideologia e li dobbiamo fare in modo spregiudicato, sapendo che il cammino sarà in salita e procurerà a tutti noi disagi. Perchè? Perchè il pensiero corrente, il modo di pensare spontaneo del mondo, va nell'altra direzione. Media come come diavoleria, in particolare quando vi sono messi di mezzo i bambini o i soggetti interpretabili come i bambini.
Non ho bisogno di richiamare tutto un filone, che pur inizialmente filosofico e che disgraziatamente continua ad essere in un certo settore ancora scientifico di accostamento tra bambino, selvaggio e deficiente, usando una terminologia disueta.
C'è tutta una tradizione filosofica empiristica, che utilizza l'argomento del bambino, del selvaggio, del deficiente, per dimostrare che non ci sono delle idee innate e quindi tutto è frutto dell'educazione, del condizionamento, ecc...
Questo filone che inizia con Locke e arriva fino al comportamentismo e al post-comportamentismo, è un filone che forse non ha una incidenza enorme a livello scientifico, ma ha una incidenza enorme a livello ideologico. E' un'incidenza che poi, come dire, attraversa tutte le posizioni politiche e ideologiche e che tra i suoi effetti ha la continua riproposizione di questo accostamento tra bambino - selvaggio - deficiente.
Bene, accettiamola, perchè credo che per combattere le ideologie, non basta smascherarle, occorre cavalcarle e eventualmente accettare gli elementi che possono essere assunti e trasformati in una prospettiva contraria all'ideologia. Accettiamola. Di fatto io ho accettato, perchè ho detto, con una base di opinione personale, che il rapporto che il bambino stabilisce con i media, è un rapporto di assoluta naturalezza, confidenzialità e di assoluta familiarità. Sono pronto a sostenere che anche il soggetto portatore di handicap ha esattamente questo rapporto positivo e che il vero handicappato l'ho detto prima, è l'adulto, in quanto portatore di handicap culturale, cioè di uno schema di interpretazione della realtà che non corrisponde alla realtà in cui si immerge.
In quanto portatore di un'epistemologia che non corrisponde alla conoscenza di cui è creditore, in quanto portatore di una filosofia che non corrisponde alla pratica che comunque fa. In quanto portatore di schemi che non corrispondono alla sua enciclopedia e potrei andare avanti.
Come definire allora questa situazione? Come dicevo, viviamo realtà per le quali non abbiamo più categorie. Allora la reazione corrente è quella o di rimuovere questa realtà che stiamo vivendo, o riportarla alle categorie pre-esistenti. Di qui allora la pedagogia della punizione del bambino. Se proprio il bambino vuole vedere la televisione, se la deve vedere agli orari stabiliti, con papà vicino che ti spiega tutto ed eventualmente poi dopo ci ragioniamo; la logica del cine-forum e cosi via. Questa è la reazione corrente. L'altra reazione è quella che sto cercando faticosamente di definire qui, e cioè quella di accettare il gioco dei media, accettare i media come occasione per metterci in gioco per mettere in gioco anche il nostro pensiero, non soltanto il nostro modo di conoscere, ma anche il nostro modo di riflettere sulle categorie della conoscenza e dell'esperienza; accettare che ci siano dei momenti di non definizione, che ci siano dei luoghi oscuri, che ci siano dei processi che possiamo definire in qualunque modo verbalmente ma che sarebbe utile non sforzarci di definire concettualmente. Accettare l'indeterminatezza di questa situazione di immersione nella logica multimediale, scontare il fatto che, non che non dominiamo la realtà, ma che non abbiamo strumenti adeguati per dominare concettualmente la realtà, materialmente forse la dominiamo, concettualmente no. Non abbiamo filosofie sufficienti per questa realtà. Quindi, quando un bambino video-gioca, mette in crisi quegli anni di filosofia e psicologia. Accettare che la sintassi dell'intelligenza sia qualcosa di molto più semantico e invischiato con la realtà di quanto non si supponga. Il che non ci impedisce di adottare questa o quella teoria filosofica e psicologica, è solo un atteggiamento di prudenza. Accettarla provvisoriamente, accettarla in una visione dei limiti, accettare quindi questa indeterminatezza che è poi il portato della cultura di questo secolo e sembra strano che abbiamo un secolo che ha messo in crisi l'universo delle scienze, delle tecniche e delle filosofie, e pretendiamo di dar conto di questa crisi, attraverso concettualizzazioni che precedono la crisi. Abbiamo un concetto di ordine, con il quale vorremmo dar conto di un disordine. Se il disordine è non un mettere in modo diverso cose che altrimenti erano ordinate ma è aprire nuove dimensioni, allora dentro queste nuove dimensioni vanno accettate queste nuove concettualizzazioni.
Il senso di questo tema è che ho paura che noi abbiamo un esperire la realtà che è ormai post-moderna, abbiamo una filosofia che cerca di interrogarsi su questi fenomeni anche se poi non sempre da delle risposte convincenti ma è alla ricerca di far fronte di questa diversa configurazione della realtà; abbiamo una pedagogia invece che è come minimo due secoli indietro e che combatte contro questa realtà e la vede come il segno del diavolo. E lì bisogna rimboccarsi le maniche e non possiamo più permetterci il lusso di una pedagogia Gutenberghiana dentro un universo post-Guterbenghiano. Ecco perchè parlavo di mono-medialità e multimedialità.
Un'ultima considerazione e ultima cautela. Se effettivamente oggi siamo noi tutti esseri multimediali, in particolare i bambini e probabilmente i soggetti portatori di handicap lo sono in modo più automatico, in modo più familiare, in modo meno mediato, se così è, dobbiamo anche evitare di fare un corto circuito logico che peraltro vedo abbastanza diffuso oggi, tra multimedialità e computer. E' vero che interattività, multimedialità, ed altre categorie di questo tipo vengono automaticamente, regolarmente associate all'universo del computer; però è anche vero che possono avere una portata epistemologica molto più ampia. E' vero che la stessa parola multimedialità può essere interpretata in vario modo. Vorrei evitare una interpretazione ristretta. La multimedialità può essere anche intesa come la collaborazione tra diversi media, quindi ad un primo livello materiale può essere intesa come collaborazione e integrazione tra enti materiali diversi, tra macchine diverse. E già il problema impostato in questo modo, potrebbe essere interessante.
Prendo un esempio esposto nell'edicola qui vicino dove si associa una macchina con qualcosa es. un cd con una rivista, un giornale con una videocassetta, un libro con il floppy disk. Se avessi un solo media, mettiamo il libro, potrei avere una ipotesi accettabile di percorrimento di quello strumento. L'utente lo percorrerà secondo uno schema definito. Su 100 utenti, 98 seguiranno la struttura sequenziale. Già con il quotidiano e il settimanale salta questa ipotesi qui la percentuale si riduce. Ma se io ho un libro e un disco ecc.. con questa ipotesi di percorrimento standard, salta completamente e nulla sappiamo di cosa capita perchè noi abbiamo delle visioni e interpretazioni del mondo di tipo testuale quindi allora basta porsi questo problema: bisogna prima vedere la video cassetta, o leggere il libro? E' un problema mal posto perchè di fatto l'utente compra i due oggetti che usa non sappiamo come, non sappiamo quale dei due usa prima non sappiamo che rapporti ufficialmente stabilisce, sappiamo solo che in quel momento sta facendo una esperienza multimediale, perchè mette in relazione enti e macchine diverse, mette in collaborazione questi due enti secondo schemi che non sono più testuali, cioè si mette lui in mezzo tra le due macchine e diventa regista. Tutto questo a livello inconscio, naturale non a livello epistemologico. E' lui che costruisce il sistema. e lo costruisce con una fluidità che esce fuori dalle logiche della monomedialità, e secondo una logica tipica della multimedialità, quella famosa realtà della quale non abbiamo filosofie accettabili.
Tutto questo dovrebbe aiutarvi a pensare la multimedialità informatica come strettamente collegata a questo primo livello di multimedialità non informatica. Cioè la multimedialità non nasce da un computer, ma ha radici antiche, segnate da tutte le occasioni in cui i vari codici sono entrati in un rapporto non di subordinazione ma di collaborazione di integrazione alla fase. Quindi in questo la multimedialità di oggi è fortemente critica è un fatto fortemente eversivo, perchè mette in discussione quattro - cinque secoli di cultura pensata secondo i criteri della esclusività e della superiorità assoluta della comunicazione scritta.
Oggi è evidente che la lingua scritta non è in grado di dominare bene tutte queste situazioni ed è giusto che sia così nel momento in cui diventa uno degli elementi, il più economico, il più efficace, ma non più l'unico. Uno degli elementi della comunicazione intermediata.
La multimedialità del computer avrà e già sta avendo uno sviluppo se recupera la positività della multimedialità dei media correnti, dei media di massa. Il fenomeno si sta sviluppando in questa direzione molto positivamente per il settore infanzia, non in Italia, ma a livello internazionale. Per le generazioni più recenti di CD-ROM per i bambini di fasce tra i 7 - 8 anni, sono un esempio interessante di recupero in quanto di meglio c'è stato nella tradizione cinematografica dei cartoni animati, delle situazioni ludiche dedicate ai bambini.
In caso contrario, la multimedialità come risorsa materiale per la possibilità di mettere insieme immagini, suoni, parole, rischia di diventare una cosa banale; cioè una proiezione dell'esibizionismo tecnologico. Ci vuole una sostanza, e questa ci viene dal fatto che ormai per decenni l'individuo è abituato a situazioni di multimedialità leggera che però hanno trovato una sensibilità, un gusto, un'estetica, un precedente che deve essere appunto recuperato nell'ambito della multimedialità informatica.
Io credo che riusciremo a creare delle situazioni positive, se riusciremo a mettere bambini e soggetti portatori di handicap a contatto con software ben congeniati dal punto di vista del "look", fortemente coinvolgenti dal punto di vista estetico, fisiologico, percettivo. Non dimenticate che per quanto non ci piaccia la televisione, però ci ha abituato ad una perfezione estetica dal quale non possiamo prescindere. Non dimentichiamo che possiamo punire i nostri bambini, i nostri handicappati portandoli dalla bellezza dello schermo alla bruttezza della pagina stampata, questo lo possiamo fare perchè la tradizione pedagogica ci comanda di fare così, ma non possiamo assolutamente portarli da uno schermo televisivo, ad uno schermo computer che non sia all'altezza dello schermo televisivo; così come non possiamo portarli da un video-gioco ad un software didattico, triste come un libro.
Ci sono 1000 modi per poter usare male il computer, 999 li vedo regolarmente in circolazione; spero che per il fatto che siamo accomunati da una strana associazione spero che possiamo sfruttare questo 1% di possibilità; darci da fare per avere un utilizzo del computer che creino condivisioni, interazioni, familiarità, immersioni, simile a quelle che si creano nel rapporto tra utente e televisione. Grazie
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