Navigando a vista si scoprono molte cose poichè lo sguardo libero di improvvisare mantiene allerta la curiosità, la capacità di associare, l'eccitazione di scegliere la rotta a seconda del piacere più immediato. E' un po' quello che ci siamo concessi con questo giornale. Abbiamo attraversato territori, familiari e non, alla ricerca di scenari. E lo abbiamo fatto come passeggeri, portando il nostro bagaglio esperenziale, ricco di cambiamenti e assai flessibile. INFOXOA nasce così come una delle tante sfide che quotidianamente animano le nostre esistenze, come la sfida ad affrontare l'immobilismo che spesso abita nei tessuti cerebrali e che ci impedisce di fabbricare quello che vorremmo. Due sono gli elementi portanti del discorso che si svolge, la voglia di mobilità da una parte, quella di costruire dall'altra. Mobilità come mobilitazione e attivazione, come libertà di scegliere i luoghi del nostro passaggio e gli strumenti con cui spostarci, mobilità che incontra l'abitare e crea un senso diverso, non di stagnazione. Mobilità che ha necessità di costruire luoghi in cui affermare senza fermare, un percorso che edonisticamente si guarda e verifica di continuo. Perchè un giornale? Perchè nei periodi in cui si parla troppo, anche quando "non si ha niente da dire" si finisce per svilire il significato delle parole stesse finendo per accantonarle frettolosamente come cose vecchie. Perchè quando si percepisce questo pericolo si deve tentare di dare corpo alle parole e ai pensieri che esse esprimono, anche fermandole sulla carta per dargli la possibilità di essere lette, ascoltate, verificate. Parole che hanno bisogno di essere sovvertite, che hanno impellente necessità di vivere. Parole stanche di essere assogettate a concetti precostituiti, indotti, standardizzati. Entrare in contatto con la scrittura significa compiere un viaggio introspettivo ma anche misurarsi con la capacità di estrinsecazione dei propri pensieri; è in definitiva un salto all'interno e all'esterno del proprio universo alla ricerca di referenti comunicativi. Questo è l'approccio col quale abbiamo, insieme a tanti interlocutori e interlocutrici, affrontato la difficoltà di raccontare quello che è in quotidiano movimento. Affiancare parole e immagini in destrutturazioni svincolate dal tempo e dallo spazio è uno dei modi con cui costruire altri spazi e altri tempi, uscendo dalla cronaca e dall'urgenza. L'unica urgenza che riconosciamo è quella di comunicare. Baudrillard sostiene che questa è l'epoca della surcomunicazione, "L'oscenità comincia quando non c'è più spettacolo, non c'è più illusione, quando tutto diventa di una trasparenza e di una visibilità immediata, quando tutto è sottoposto alla luce cruda e inesorabile dell'informazione e della comunicazione." Ma qui urgenza non è emergenza. Lo spazio della comunicazione è saturato e gli esseri umani si rifugiano dalla sovraesposizione alle cose del mondo, in una condizione sempre più solitaria e in un tempo sempre più simile all' istante. Ed è proprio in questo meccanismo di difesa e isolamento che si insinua l'addomesticazione e la funzionalità. Ed è contro questa difesa che una comunicazione antagonista si scontra, cercando di rompere l'accerchiamento e di infrangere l'individualismo. INFOXOA vuole mostrare quelle parti della vita che altrimenti e in altri luoghi vengono snaturate sotto i riflettori dello spettacolo, mostrarle per quello che sono, abbozzate, incompiute, raffinate, comunque sempre agitate. AVVISTARE quello che tumultuosamente o con pacatezza si sottrae al processo produttivo e riproduttivo dell'ideologia della merce, conquistando territori fertili per altri modelli e stili di vita. Il teatro e la musica, le radio e i giornali, si avvicinano ai pensieri di singoli o di collettivi, facendoci scoprire che l'isolamento è anche una condizione mentale alla quale ci si abitua e non sempre un dato oggettivo. Scoprendo che invece queste soggettività stanno costruendo un confine sempre più visibile oltre il quale la marginalità è una condizione voluta e determinata dalla consapevolezza di poter dimostrare l'esistenza di altrove materiali e non. Al lavoro interinale, infantile, sfruttato, totalizzante e reificante; al controllo infinitesimale, brutale, assassino e pianificante; a tutti i modi in cui il potere esprime la sua forza e arroganza, ma anche la sua familiarità. A tutto questo risponde l'azione autodeterminata, la produzione autonoma di risorse e idee; a tutto questo reagisce con potenza l'autoproduzione come libertà di scelta, come primo, deciso passo verso l'acquisizione dei mezzi e degli strumenti. Allora ecco che diventa importante amplificare ogni minimo sforzo che tende a questa autonomia e collegarlo al resto, nell'intento fondamentale di non lasciare isolate le parti che compongono non l'unità ma la comunità. Un giornale può essere un luogo in cui far incontrare pensieri ed azioni, e dargli la possibilità di essere veicolati e trasformati in comunicazione e contaminazione. Un giornale, rivista, che decide da queste numero di chiamarsi zona. Non solo per rompere con quel linguaggio statico ed imposto, ma sopratutto per determinare una situazione di passaggio, di incontro in movimento. Non ci piace pensare alla fine della storia come l'entrata in un eterno presente, ma come fine del dominio inevitabile di una versione dei fatti per tutti; e allora per entrare in questa enorme trasformazione abbracciando insieme a noi, tutti gli esseri umani che in diverse parti del mondo stanno attraversando e avvistando utopie reali, cercheremo di non distrarci dai segnali che lanciamo, ovunque saremo, e con l'aiuto di tutte/i quelli che vorranno, essere pazienti raccoglitori e raccoglitrici di perle.

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