Ci interessa soffermarci su alcuni problemi inerenti l'autogestione nei/dei centri sociali occupati perchè, al di là della nostra esperienza di occupanti e poi fuoriusciti dal Brancaleone, crediamo nell'importanza di continuare a sviluppare percorsi politici di liberazione sociale, culturale ed economica, proprio attraverso l'autogestione e l'autoproduzione.
Nonostante il nostro rapporto con il cs Brancaleone si sia interrotto ormai da un anno, questo distacco spazio temporale non ci ha portato a nutrire minore tensione ed attenzione nei confronti dell'esperienza autogestionaria in generale.
Così dalla nostra posizione "liminare" (a metà fra internità ed esternità) ci è possibile notare che alcune contraddizioni e disfunzioni allora percepite come attinenti a una realtà specifica tendano, nel tempo, a configurarsi come un triste bagaglio comune. La portata generale delle problematiche in questione ci spinge a tentare un intervento che contribuisca allo sviluppo di un dibattito allargato su cosa continuare e/o iniziare a fare,come farlo e dove.
Entrando nel merito i temi centrali della nostra riflessione (gli stessi intorno ai quali si è originato il contrasto con gli altri occupanti) riguardano: decisionalità, autoretribuzione, relazioni interpersonali.
Decisionalità.

Questo problema risulta centrale per qualsiasi organizzazione sociale che basandosi su affinità fra singoli - ma comprendendo inevitabilmente delle eterogeneità -voglia collettivamente autogestirsi e autogestire. Attraverso assemblee dove le decisioni vengono prese all'unanimità si ha la possibilità che ognuna di esse (le scelte) rappresenti una sintesi fra i differenti atteggiamenti dei singoli partecipanti. Ciò è indispensabile se si vuole raggiungere una consapevole, convinta e soddisfacente applicazione individuale dell escelte collettive.
L'unanimità rendendo necessaria la socializzazione più completa possibile delle informazioni, richiede un procedimento forse lungo poichè non tende all'efficienza ma all'efficacia e al consenso.
Quindi riteniamo che il passaggio al voto di maggioranza riproduca la politica dell'esclusione,già attuata dalle istituzioni, che taglia regolarmente fuori dalla rappresentanza le minoranzee le differenze costringendole all'eterodirezione e ad accettare la loro nuova identità oppuread andarsene.
Se poi si pratica l'autoretribuzione l'unanimità oltre ad essere una scelta politica di orizzontalità relazionale è anche dettata dal bisogno di sintetizzare in ogni occupante le caratteristiche di solito esclusivamente proprie dell'imprenditore ( decisionalità,responsabilità, rischio, attività intellettuali) con quelle tipiche del lavoratore (retribuzione fissa, attività materiali).
Facendo altrimenti crediamo si ripristini il dualismo imprenditore/lavoratore per il quale soloalcuni possono effettivamente autoretribuirsi, visto che altri semplicemente (e paradossalmente per un centro sociale autogestito) vengono retribuiti da chi fa parte della maggioranza. in un simile contesto, con il sistema maggioritario si torna alla delega e alla subordinazione. Ripercorrendo la strada più semplice e soprattutto ben collaudata altrove(nei vantaggi produttivi quanto negli svantaggi psico-sociali e politici) si abbandona così la sperimentazione di nuove modalità relazionali e creative.

Autoretribuzione.

All'interno del Brancaleone l'autoretribuzione nasceva non tanto ( o almenonon solo) per soddisfare un personale bisogno economico, quanto per affrontare quelle che sembravano essere le esigenze della struttura che si voleva creare. La qualità e lacontinuità di servizi e laboratori si sarebbero garantiti grazie alla maggiore disponibilità ditempo che i gestori vi avrebbero dedicato, vendendo così al capitale quote sempre minori della propria vita. Auspicandoci di superare la separazione tra tempo libero, impiegato nel migliore dei casi nella militanza politica, e tempo di lavoro, non si intende dire che il nostro obiettivo sia quello di arrivare ad autoretribuirci tutta la vita in un impiego (inteso come attività salariata).
Si vuole chiarire invece l'intento di stravolgere il concetto stesso di lavoro che l'occidente ci costringe a vivere solo per il bisogno monetario, spesso senza riceverne alcun altra gratificazione individuale diretta e anzi andando contro i nostri criteri (sia metodologici checontenutistici), portandoci a non identificarci con il nostro operato.
Lo scopo è di rimpadronirci anche di questa parte di tempo rendendolo più soddisfacente e non alienante, attraverso la creazione di servizi, prodotti e modalità produttive e culturali in linea con i nostri principi (socio politici) di orizzontalità decisionale e comunicativa, di consumo il più possibile consapevole e compatibile con l'ambiente e le risorse che questopuò offrire all'intera popolazione mondiale.
Rispetto alla distribuzione delle ricchezze è fondamentale continuare a ragionare sul rimborso monetario individuando una sorta di tetto massimo ideale percepibile, calcolato inbase alla soddisfazione di bisogni collettivamente ritenuti indispensabili dagli occupanti manon appagabili dai servizi disponibili nel centro sociale stesso, in altri cs o realtà sociali.L'autogestione del tempo e la sua autoretribuzione ci sembrano insomma necessariamente determinate non solo da come si produce ma anche da cosa si produce autogestendosi. E' dunque importante non solo l'attenzione ai servizi, che spesso si risolvono nella semplice distribuzione, nel prestito o nell'affitto di materiali prodotti per lo più da circuiti ordinari, ma soprattutto all'evoluzione dei laboratori che autoproducono beni, materiali e immateriali atti alla soddisfazione di bisogni il meno possibile indotto o consumabili estemporaneamente: Per contro, la produzione di reddito personale e il perseguimento di obiettivi prettamente economici possono diventare "conditio sine qua non" anche in un C.S., come se quest'ultimo fosse l'origine e il limite dell'universo.
Noi lo vediamo invece come una palestra di autogestione in cui sperimentare e, soprattutto,lasciar sperimentare.
Progetti economicamente determinati si caratterizzano come impresa più o meno sociale -anche se orientati all'autogestione - andrebbero dunque sviluppati altrove (e cioè nel mondodel lavoro e delle sue proprie forme conflittuali) assumendo esplicitamente le qualificazioni del caso (cooperative, imprese no-profit, S.p.A. etc).
Una considerazione va fatta anche in merito all'equità salariale su base oraria.La scelta di applicare - a parità di ore di turno svolte in attività manuali, intellettuali o artigianali - parità di rimborso, nasceva dall'esigenza di attribuire uguale dignità a ogni funzione.Ma se l'abituale parcellizzazione delle competenze (e dunque dei ruoli) tende a soddisfarenon tanto l'umana esigenza di preferire e/o approfondire, quanto quella produttivistica del capitalismo e se un obiettivo del C.S. è quello di rompere con i monopoli delle conoscenze -ossia la loro socializzazione - non ci si dovrebbe limitare all'equiparazione in termini di rimborso, ma andare oltre rivendicando e sperimentando la possibilità per gli occupanti di svolgere una pluralità di funzioni e attività materiali, immateriali e in vari ambiti autoproduttivi e autogestionari. Di qui, ancora una volta, ribadiamo l'importanza di superare la monetizzazione del tempo.

Relazioni interpersonali

All'interno di spazi sociali (tanto più se occupati e autogestiti) non dovrebbero determinarsi (almeno nelle intenzioni) condizioni e predisposizioni psicologiche, comunicative,economiche, normative atte a riprodurre esclusione, censura, repressione. In altri termini, si dovrebbe oltremodo evitare (o ricomporre) la rigida spaccatura fra "gestori" e "fruitori".
Un diverso grado di consapevolezza, di partecipazione o impegno, non giustifica in un C.S. il diffondersi di modalità relazionali, verticistiche, unilaterali, iper-regolamentate e "ortodosse".E' il senso del potere che andrebbe scardinato per essere usato, al più, nell'accezione di "potenzialità", e ciò attraverso una costante e quotidiana rielaborazione teorica e riorganizzazione pratica dell'operato in base ai vari spunti offerti dall'incessante interazione con nuove persone e situazioni.
Così, se si proponesse in ogni istante il confronto, altrove inusuale, con un consumo consapevole o parsimonioso, con frammenti di illegalità, con individualità non sottomesse, con l'autoproduzione di beni materiali e immateriali, con la trasparenza economica, con momenti culturali e politici (comprese le assemblee) in cui poter intervenire numerosi e anche decidere, verrebbe a ridursi la distanza fra gestori e fruitori (il più delle volte insoddisfatti o addirittura agnostici), evitando situazioni di incomunicabilità tali da meritare turni di controllo sugli utenti o la chiusura degli spazi usati da questi ultimi.

Per concludere, in un contesto completamente globalizzato in cui l'imperialismo e il suo "pensiero unico" dominano incontrastati, dovremmo tenacemente continuare a rappresentare il "pensiero aperto", critico. Così, se la spinta antagonista nasce dallo scarto tra mondo ideale e mondo reale, sarà l'entità del disagio vissuto nel sistema dominante a determinare il"giusto" livello di conflittualità. Eppure tendiamo a normalizzarci seguendo e cedendo alle varie offerte e/o attrattive di media-editori-privati-majors-maggioritario, come se non avessimo niente da difendere o come se la società fosse già a misura d'uomo. Con la nostra esperienza proponiamo un modo di vivere e comunicare, non una moda da seguire....diffidate dalle imitazioni.

alcuni/e ex compagni/e C.S.O.A. "Brancaleone " di Roma

 


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