Dopo una lunga conversazione nella quale ci siamo scambiati aggiornamenti e curiosità, comincia a sviscerare la questione del conflitto, oggi.

Domanda:
Da questa condizione particolare e da questa parte del mondo, dove ti pare si stia esprimendo il conflitto, se mai ne trovi tracce ?
 

Credo difficile e forse anche una forma di supponenza infondata, quella di sciorinare una sorta di teoria generale. Il mondo è pieno dei cosiddetti "sapienti", quelli che in psicoanalisi vengono chiamati i "supposti sapere". Quelli che hanno anche una grandissima mole di cognizioni, di conoscenze, di erudizione, che però non possono pensare di detenere una ricetta o una chiave per la trasformazione delle cose. Chi pensasse ciò, darebbe adito a sintomi sicuri di ciarlataneria.
Credo che se le risposte veramente ce le avesse qualcuno come dicono i francesi si sarebbe visto.
Spesso ho la sensazione che ci siano atteggiamenti che si ripercuotono, che sono sempre gli stessi, in natura. Sia nei sapienti da dottorato, da ricerca universitaria, dell'intellighenzia riconosciuta, ma anche nei pensatori alternativi, di movimento. Mi viene in mente una barzelletta, in origine classificata come anticomunista degli Yiddish dei paesi dell'est, e che racconta le differenze tra lo scienziato, il filosofo ed il marxista e che dice : " Lo scienziato, in una stanza buia, con le pareti nere, cerca un gatto nero che non si sa se c'è; il filosofo è quello che in una stanza buia, con le pareti nere, cerca un gatto nero che non c'è; ed il marxista, visto come l'intellettuale, quello che in una stanza buia, con le pareti nere cerca un gatto nero che probabilmente non c'è, ma dice : " l'ho trovato!".
Non credo sia un problema di dogmatismo. I dogmi come diceva Lefevre sono semplicemente riferimenti concettuali senza i quali il pensiero, fatto di astrazione, non procede. Per molti anni, anche durante Potere Operaio, ho sempre avuto una sorta di rimorso per le cose, che per cosi dire, non avevo studiato seriamente. Senza negare le conoscenze venute dalla pratica, dal militantismo iniziale, la piazza, l'uscita dalla FGCI, il teatro politico, il '68, Potere Operaio...in seguito una tesi in filosofia. Non ho mai avuto il mito, dell'affermazione nel lavoro intellettuale, quello riconosciuto socialmente come tale ma, c'era in me la necessità di sapere le cose, di capire le cose. Un po' come la frase di Marx a (....) che gli dice : "Marx, dacci il via" e Marx gli risponde gelidamente " Signor....cercare di capire le cose non ha mai fatto male a nessuno" e quello gli risponde " Ma la gente mi vuole bene, mi chiedono cosa fare". E Marx ancora: " Signor....la differenza tra lei e me è che lei è un politico, mentre io sono un comunista". Come dire: qua dobbiamo capire. Marx stava lavorando sulla teoria del plusvalore e forse era più sovversivo capire, piuttosto che capitanare una manifestazione. C'è poi chi prende questo e lo trasforma in una specie di atteggiamento disincantato, in cui non si capisce tutta questa teoria dove si incarna, dove si incontra con la pratica e dove genera sommovimenti.
Nel '68 venni a Parigi, per alcune cure e vissi il maggio, anche se in una forma un po' ludica. Era stato un momento importante, grazie anche ad una intesa stabilitasi con Piperno. Uscii dalla FGCI nel 1965, e non mi impressionava il mostro sacro operaio. In una città di provincia, operaia, quando volantinavamo fuori le acciaierie, mi chiedevano: "Che cosa distribuisci: soldi?".
Questo poteva anche scoraggiare. C'era un pullulare di situazioni, Trotzkisti, leninisti, operaisti, mi ritrovavo tra le occupazioni, c'erano gli scontri, le manifestazioni, ma io ero un cane sciolto, perchè ognuno di questi gruppi mi sembrava un po' una setta, catacombale. Poi mi colpi Classe Operaia, gli articoli di Tronti, raccolti nel libro Operai e Capitale. Quel tipo di lettura li. Non stavamo a piagnucolare come molti, che se l'operaio ti dice "che sono soldi?" dicono: come è lontana la rivoluzione, la rivoluzione non si può fare, come se si dovesse aspettare il beneplacito dall'operaio. L'idea era la riduzione dei tempi, la rivendicazione salariale, questa materialità della lotta contro il rapporto di sfruttamento diretto, che per noi era la stessa cosa che mettere in moto un meccanismo rivoluzionario, sovversivo.
Devo dire di avere conosciuto persone con un certo sapere, vero, critico, come Enzo Grillo, Gaspare De Caro, gente non appariscente, che non andava pontificando, ne nei gruppi, ne tantomemo sui giornali, ma che però su alcuni passi di Marx, erano in grado di scavare per anni, per la voglia di capire le cose, di scoprire. Questo non è intellettualismo, è pratica teorica.
Questo per dire che ho sempre avuto un po' il rimorso per tutte quelle cose che non avevo studiato seriamente. C'è stata una pessima prova, che molti intellettuali di sinistra hanno dato, alimentando la demenzialità, la catastrofe. Penso che c'è qualcosa che non funziona. Forse si potrebbe tornare a cose semplici, come recita anche un detto del 4000 A.C. in Cina : "l'uomo più sapiente sulla terra se perde il codice di sapere che più sa e meno sa, in un mondo di idee, finisce che non sa più niente". Umberto Eco, che ho conosciuto personalmente non è sciocco. Ma come è che se frequenta Veltroni, l'osmosi non è che Veltroni diventa più umano, ma è Eco che diventa stolto, vuoto, come Veltroni? E' solo un contagio o è perchè ha dimenticato l'elemento fondamentale che è l'elemento della critica, della riflessività?
Senza questo elemento, come si fa ad essere sovversivi? Si deve avere la consapevolezza, non catastrofista, del 99% della chiacchiera accumulata in questo secolo. Che me ne fotte di rallegrarmi se Berlusconi è stupido.
Il Manifesto: tutti contenti nel vedere quanto sono cattivi, stolti, gli avversari o supposti tali. Non dico che non ci siano stati i saperi, ma nell'enunciato pubblico credo che ci sia una stoltezza della stessa natura, tra i plateau televisivi, il parlamento, sui giornali.
Anche tra noi è la stessa cosa. I rivoluzionari non nascono diversi, perchè dovrebbero? Se i proletari la sapessero lunga e i compagni fossero personaggi straordinari, perchè bisognerebbe fare la rivoluzione?
Dovremmo solo compatire quegli altri che non hanno capito. Ma questo lo può pensare solo chi ha una teoria nazista. L'impressione, che Noi, inteso come alcuni di noi che stanno qui in Francia, abbiamo, è che ci sia un grado zero di autonomia del Movimento. Autonomia che significhi quantomeno indipendenza, saper essere liberi pensatori.
L'impressione è quella di essere totalmente colonizzati dalla società dello spettacolo. Credo che tutte le ideologie, al momento in cui diventano tali sono una sciagura. Penso che ci sono state molte cose stolte nella nostra esperienza.
Ma come è stato possibile da questo, arrivare ad una colonizzazione di questo genere. Credo che questo è uno dei punti. Anche se i compagni sono in buona fede, sempre di colonizzazione si tratta. Una colonizzazione da Eugenio Scalfari. Compresi gli autonomi. Il comunismo diventa così un puro fatto ideologico, come se non avesse fondamento. Il manifesto dei comunisti, nel momento in cui dice del comunismo come movimento...il comunismo critico...dice cose precise, eppure di questo comunismo si è fregiata una feccia di saltimbanchi che al tempo stesso tiravano quattro paghe per il lesso, parlo degli intellettuali, dati dalla fondazione Agnelli, dallo Stato, a partire dal PCI, dall'intellighenzia.
Che vuol dire? E' orribile immaginare questo coacervo di tutto, dal sant'uffizio, al terzo mondismo, cattolicesimo, ideologia, fascismo di sinistra, Bottaiano, stalinismo, giustizialismo, petrolio, chiacchiere, sculettamenti, e rigorosamente, pieno di gente che ha vissuto e vive di questa definizione di comunista. In cui c'è tutto, dall'influenza liberale a quella socialista, cattolica, meno che il cuore della teoria comunista. Non è obbligo avere letto Marx, ma se le parole hanno un significato, come non si può essere aberranti intellettualmente ed alla fine abbietti, quando queste parole hanno un moltiplicatore nello spazio pubblico? Si forma la gente, anche con i cattivi maestri. Si possono fare degli errori naturalmente. Ma se ad uno non gli interessa nemmeno farselo spiegare da un amico, o portarlo come elemento in una discussione, cosa è, cosa si intende per sfruttamento, non c'è qualcosa di malsano, se questo campa della denominazione di comunista? Questo non vi pare tragico e demenziale?
Ultimamente ha avuto questa bontà critica un certo Marco Revelli...mah?! Bè almeno dice che sono due destre. Ma dice poco. Anche perchè, caduto il muro, fanno tutti i moderni. Ma la frase che noi mettevamo su Potere Operaio, il comunismo è il movimento che abolisce lo stato di cose presenti, è forse vecchia? Oppure il comunismo è un movimento reale.
Ricordo una frase di De Caro che diceva: sfiderei un marxista a definirsi di sinistra. La sinistra è un concetto borghese, nasce come concetto topografico. Sinistra del parlamento, dello stato, del capitale, della società. Questa cosa dell'intellettualità di sinistra, sedicente comunista, filosocialista, è una cosa abbastanza impressionante. Pare che tutto ciò non crei però turbamento tra i compagni, che non c'è niente di scandaloso nell'essere colonizzati da questi soggetti, da questi pensieri, cosiddetti innovatori. E' nata una sorta di allucinazione. C'è a chi è più simpatica la Cina, piuttosto che Hong Kong. Prima, ci poteva essere un fondamento illusorio. Ma oggi ? In Cina c'è vero capitalismo, altro che Berlusconi. C'è un partito unico, le varie mafie, intrecci economici, uno sviluppo legato allo sfruttamento.
Cosa ce ne importa di dire se è meglio la Cina o Hong Kong, perchè non fare una critica reale? Forse perchè anche chi si dice comunista, la merce, il lavoro, lo sfruttamento, il plusvalore, li vive con una grande disinvoltura. Inoltre mi pare che ci si è intoppati su questa cosa del partito dei giudici, con a seguire tutte le varie campagne tipo l'antiCraxismo, l'antiBerlusconismo. Non voglio dire che questo può essere sviante o capace di generare cessione di autonomia, ma arrivare ad un punto di cecità in cui non sai più leggere cosa accade, è pericoloso. Come per esempio sconvolgersi per le piazze piene quando le prende Berlusconi e non farlo quando le prende Dini. Oppure, se ti schieri contro il decreto fatto nel 1992, il decreto antimafia che dice in un articolo: "che su base di un rapporto di Polizia, se si hanno fondati motivi nel ritenere che più di tre persone sono in procinto di commettere un reato di natura mafiosa, il prefetto può disporre l'internamento amministrativo per un anno". Che cosa ci sta a fare tutto questo apparato giuridico se dietro basta il sospetto? E poi il sospetto di chi? Dietro c'è la "vox populi", e la "vox populi" come si crea, come si costruisce? Nell'inquisizione c'era il sospetto e la delazione, la "vox Dei". Nella monarchia assoluta c'era l'arbitrio del sovrano. Esiste una mistificazione che ci fa credere che il diritto è anche formalmente disuguale. Se ti rendi contrario ad ipotesi del genere, come questo decreto, ti ritrovi chi ti dice: non sarai mica a favore della mafia? Non si può più parlare. Quelli che ti danno del fascista, con i fascisti ci fanno le alleanze.
Sta diventando impossibile esprimersi. Di questo atteggiamento anche il Manifesto è protagonista in negativo, puntualmente, condivide tutte le ossessioni, le riduzioni, per cui bisogna essere antiberlusconiani, non anticapitalisti, poi domani tutti anti..non so che cosa. La differenza è sul: se loro fischiano, tiriamo le monetine, se tirano le monetine, tiriamo i sassi e cosi via? Il grado di devastazione di autonomia è tale che si mette in discussione, non solo la definizione comunista, sovversiva, rivoluzionaria, ma proprio la lotta di classe nel senso tradeunionista. No, io voglio continuare a dire una cosa come comunista. Posso? Come si può vedere fascisti e comunisti a braccetto urlare: Borrelli Di Pietro fateci sognare? Delegare ed accettare la riduzione elimina l'autonomia di pensiero, di critica. Il nostro problema quale è: identificarsi con quelli che ci dicono che bisogna perseguire il male per via giudiziaria? Magari continuando a chiamarci sovversivi, autonomi, rivoluzionari, comunisti....non so bene. Noi da qui l'abbiamo vissuta come una cosa abbastanza allucinante e come segnalatore, magari il più estremo.
Domanda
In uno scenario come quello che stai descrivendo il linguaggio assume quindi una rilevanza fondamentale?
 
Credo che dopo 37 anni di militanza, e con l'intenzione di continuare, forse pongo qualche problema se pongo questi quesiti. Vogliamo tentare una risposta? Le forme mentali sono importanti. Anche se vengo da un esperienza operaista, legata allo stomaco, alla fame, so benissimo che c'è il desiderio, il sogno, cioè non credo che si possa andare lontano senza immaginare il mentale. Esiste un mentale inquinato, cooptato, in cui le pulsioni di ribellione sono cooptate in battaglie di merda.
Come dedicare la vita a fare il culo ad un certo Craxi o Berlusconi. Penso che dovremmo immaginare il sistema mondo, il capitalismo, pur facendo una battaglia che magari è un niente nel mio quartiere, ma con questa ottica. Perchè non poter fare un bilancio? Oggi l'addomesticazione funziona cosi. Ti fanno intruppare nelle alternative in cui tu non puoi parlare. Non è un complotto, è un riflesso. Non ti vogliono imporre il pensiero unico, perchè loro si basano sulla concorrenza. Il problema è inchiodarti su conflitti falsi. Ridurre le questioni a livelli binari, con una semplificazione, in cui non puoi contestare la domanda, non voglio scegliere di schierarmi o con Saddam Hussein o con il direttorio mondiale. Il problema è d'altra natura. Vorrei parlare, della critica dell'economia politica delle relazioni potere nella forma stato, o della critica dell'economia politica tout court, o del fatto che queste due sono un falso problema, ma che hanno una stessa base comune, che è l'economia di dominio sul tempo umano. Si dice poco spesso che la specie umana è la specie animale che è consapevole della propria morte.
Ci sono è vero, varie ipotesi. Ma la fondamentale penuria, è penuria di tempo. E' il tempo la risorsa ultima su cui esercitare la lotta. Certo, il corpo, lo spazio, il mentale...ma alla fine il tempo umano è una grandezza finita. C'è un economia delle relazioni di potere nel tempo, una natura simile alla forma del capitale, dello stato, quindi del lavoro e del non lavoro, e del fatto che esiste un teatrino delle ideologie. Lo slogan: "lavorare tutti - lavorare meno" è una fregnaccia ideologica. Su questo attacco anche Negri e quel tipo di lettura, dicendo che sono un po' vittime dell'ideologia della fine del lavoro. A me non sembra che sia proprio cosi. C'è invece un aumento della produttività, concentrato in un numero di anni come non c'è mai stato nella storia umana, una produzione di una massa di beni, in un tempo talmente basso, che da questo se ne evince che il lavoro riconosciuto come necessario, ha avuto una caduta vertiginosa. Non mi pare che ci stiamo avvicinando all'epoca di atomino in cui spingi un bottone e fa tutto lui. C'è una massa di lavoro dissimulato, sommerso, invisibile, di tutti i tipi e il ritorno di forme di schiavismo allo stato puro, dalla Birmania ai campi di concentramento cinesi, al lavoro domestico. Forme di sfruttamento mistificate come il lavoro autonomo, il telelavoro, le fanno passare come forme di libera attività, in cui però lavori 24 ore su 24. Non esiste un concetto di esclusione.
Qui non è escluso nessuno, salvo i pochi fortunati, qui siamo tutti inclusi. E' il concetto di disoccupazione che cambia. Molti pensano che i disoccupati non fanno nulla, ed invece la gente lavora come formiche. Negli Stati Uniti c'è il 2% di addetti al lavoro nel campo agroalimentare, ma la produzione è enorme. Negli addetti ai servizi, c'è una riduzione del lavoro riconosciuto attivo, ma c'è una massa sotterranea che è iperattiva. Noi urlavamo: "lavoro = lavoro salariato", forse era una forzatura. Il lavoro è = lavoro. Fatica.
Ci sono poi i sostanzialisti che dicono che l'unica forma di prassi, è il lavoro. Bugie. Il lavoro è lavoro fatica, lavoro schiavo su coazione diretta, libero lavoro su coazione dovuta al bisogno. Si dilata la sfera del lavoro. Anche qui, nella ripartizione della popolazione attiva, in cui diminuisce la sfera del lavoro salariato classico, si favoriscono altre forme di rapporto di lavoro. Se il concetto di disoccupato, è di un iperoccupato, ed il concetto di escluso diventa di completa inclusione, con questa modificazione del lavoro, la rivendicazione di diritto al lavoro è merce avariata. Il mito del pieno impiego è una bugia, è una droga. Perchè non porre il problema diretto dei mezzi di sussistenza? Troveremo chi ci dice che si tratta di assistenzialismo, di statalismo.
Ma rivendicando il diritto al lavoro non siete forse riformisti? Siamo ad un tale grado di alienazione in cui sembra quasi che il lavoro è una cosa naturale mentre invece il mangiare è diventato opzionale. Mangiare è un dato naturale di tutte le speci viventi, mentre lavorare non lo è. Quindi se chiediamo il diritto alla sussistenza siamo riformisti? Mentre se dite il lavoro è un diritto, non siete lavoristi, riformisti, stacanovisti? Scoprendo l'ineffabilità del rivoluzionarismo che non può determinarsi in nessuna forma di rivendicazione nell'esistente, tranne se si parla, guarda caso, di lavoro. Il capitalismo è una macchina di lavoro, di tempo umano, di sfruttamento. Poi ci sono problemi immensi tra produzione ed ecologia. Questo è un fatto. Ma prima di dire diritto a..o diritto per...se parlate di diritto, parliamo di diritto al reddito. In fondo sono figure capitalistiche statali, l'una e l'altra, però, intanto è partire dall'idea in cui la penuria di beni non è più un limite fisico. Forse non serve a nulla, perchè magari arrivano a desertificare prima l'essere umano, che fare la rivoluzione.
Quando però, invece di lavorare sul piano teorico e pratico intorno a questi concetti, ci si trova cooptato in battaglie che non si capiscono, rischia di essere tempo perso. Non dobbiamo rimanere chiusi nelle battaglie a binario che ci vengono date, ma scegliere di cosa discutere. Vorrei parlare della liberazione umana, della comunità umana, non essere costretto a parlare della querelle di un signor Fantozzi, Berlusconi...Ma perchè? Il Manifesto è sintomatico, al di là delle loro buone intenzioni. Se uno arriva da Marte e domanda: fatemi un analisi del contenuto? Sarebbe difficile non vedere, al di la degli svolazzi, degli scazzi o delle passioni, Il Manifesto capace di condividere tutti gli incubi degli altri, la contaminazione negativa che ci arriva. Il Manifesto ti amministra le passioni, le indignazioni..
A loro volta, i csoa, almeno quelli che compaiono mediatamente, al dunque, quanto tempo hanno perso nel fare battaglie contro questo o contro quello? Un tempo si sarebbe detto: "tra le fazioni della borghesia". Ma tutto ciò ha sedimentato qualcosa in tema di liberazione, o era semplicemente diventata una massa di manovra dei ribaltoni, di questi o quegli altri?

Un altro compagno: Da quello che arriva, che passa attraverso dibattiti a distanza con dei compagni che accettano di trattare anche dei nostri problemi, legati all'amnistia, risulta questo. Ci pare che c'è un meccanismo di pensiero dell'urgenza. Cioè, non pensare in prospettiva, ma darsi una identificazione sociale immediata. Questa non può che passare attraverso una sorta di schieramenti contigui. E' allucinante ascoltare la storia di un csoa, inteso come tentativo di autonomia, autorganizzazione, indipendenza, che poi finisce negli schieramenti. Questo è sintomatico. Uno dice: partire dai bisogni, e poi non ci si rende conto dell'aumento del plusvalore o dello sfruttamento del lavoro.
Dobbiamo capire che vanno tutti e due insieme. Lavori più intensamente e di più. Non si fanno più le 8 ore, ormai siamo a 10, 12. O perchè sei disoccupato e fai i lavori di serie b, o perchè sei occupato, magari nel settore dell'informatica, in cui non ci sono più orari. Se non ci si pone questo tipo di problemi, non è che poi mi interessa di De Gregori, della musica...anche il concetto di cultura, o si mette sotto critica, o non si può accettare l'accostamento del fatto che siccome sono giovani...Qui si mettono in piedi situazioni con due strimpellate di chitarra, senza neanche concezioni nuove, e poi si parla di memoria. Senza neanche pensare a quello che è stato lo sviluppo della musica. La comunicazione virtuale te la hanno data loro, io non so più riconoscere come la gente sta insieme, che tipo di relazioni esistono.
Ma per tornare a noi, non è che se parliamo di amnistia è perchè vogliamo tornare in Italia e via, ma perchè crediamo che sia un elemento forte per questo periodo capitalista che si vive in Italia.

Oreste: se oggi parte una ventata di antifascismo in cui tutti dicono qualcosa sull'antifascismo, se fai una riflessione, non necessariamente legata alla ventata, ti dicono: ma che sei fascista? Poi partono su una ventata che bisogna prendersela con i corrotti e loro vanno a braccetto con i fascisti, tu gli dici, scusate ma non c'era il problema dei fascisti? Loro ti dicono, ma che stai con i mafiosi? un altro compagno: C'è una confusione dei linguaggi, insieme ad una cooptazione nello schieramento di una o l'atra parte. Schieramenti diciamo della controparte. In questo momento non esiste la forza di rompere con questa situazione. Credo che chi fa politica ora, dovrebbe farsi delle armi concettuali, probabilmente queste armi dovrebbero prendere di petto il fatto che non esiste schieramento imposto da altri, rifiutarlo ed aumentare l'autonomia. Preferirei che i csoa, o chiunque altro, se ne stessero a coltivare il proprio orticello, invece di andare a fare collegamenti che riconducono ad una medietà, che riconduce sempre fuori da quelli che potevano essere le intenzioni che originavano l'incontro o le intenzioni dei soggetti che partecipano all'incontro immaginando cosa fare della propria vita. Non solo è aberrante il fatto che la sinistra italiana, anche giovanile, sia una sinistra giustizialista, cioè sia con i giudici in ultima analisi.
Questo non per l'esaltazione del delinquente. Quello che mi impressiona è come se ci si senta obbligati a schierarci con la legge. Il che vuol dire che antropologicamente abbiamo moltissima strada da fare, perchè geneticamente abbiamo il concetto di buono o cattivo. Parte proprio da noi. E' impressionante, perchè spesso il buono è una legge stabilita. Inoltre schierati una volta con la legge, non si guarda come funziona. Ci si schiera con la legge e la si delega. Ogni volta che ognuno parla di legalità, o fa una legge nuova di emergenza, oppure interpreta in modo arbitrario il funzionamento della stessa. Credo che è meglio ritrovare la propria autonomia, tentando di non infognarci in situazioni che possono solo aggravare la posizione. Oltretutto non avendo neanche la forza di infognarci per cambiare.
Cercherei di starmene zitto, magari sulla piazza pubblica, e tentare di ricostruire quella comunità che richiede una propria autonomia di azione e di pensiero. Spesso quando si immagina cosa fare, si immagina in grande. Ma il grande che c'è oggi, è fuori dal nostro controllo. E' come il pensiero unico. Non unico, ma tanti pensieri che sono regolati dal meccanismo unico della legge del mercato, quindi, della legge del più forte. Accettare questo può significare di: o tornare indietro, inventando sistemi organizzativi di tipo partitico, mini organizzazioni che hanno segnato il loro fallimento, oppure scegliere di non infognarci. Riacquistata l'autonomia si ritrova la forza di parlare di cose non direttamente tue, ma sulle quali hai riflettuto, prescindendo da loro. Il Leoncavallo, malgrado non lo conosco perchè sono a Parigi da 15 anni, che si scontra continuamente con la Lega, Formentini disegnando nella Lega il mostro, avalla la bontà degli altri. Ma se non c'è la Lega, ce ne è un altro. Perchè dare un nome al nemico?
Perchè non riuscire a dire cosa vogliamo? Trattare non è una cosa fastidiosa, il Potere e li, esiste, ma sapendo per cosa, con chi, e cosa io voglio. Bisognerebbe ritrovare e rivalutare le proprie capacità di entrare in discorsi che sono oggettivamente generali, un rifiuto dell'essere incasellato in schieramenti che non servono a nessuno e che sono funzionali a qualcuno, e poi cercare di ricostruire un linguaggio basato su concetti che non ci facciano derivare nel binario giustizialista. Ci sono anche altre questioni rispetto ad una visione, personale, sul discorso dell'amnistia per i prigionieri ed esuli degli anni '70. Con tutto quello che è successo in questi anni, considerando anche la critica fatta fino ad ora, sul giustizialismo etc, c'è anche un dato.
Una classe politica, bene o male è stata criminalizzata, parliamo della DC, della prima repubblica. Hanno detto, loro, che c'era un parlamento illegittimo, basato sulla corruzione. Io non riesco a capire, se c'è stato tutto ciò, non si dovrebbe neanche parlare di amnistia, questi non avevano neanche il diritto di condannare. Ed ancora, su quello di cui oggi più o meno si parla, esempio le grazie individuali. Una scelta che potrebbe fare arrivare al limite della Gozzini e poi dare questa sorta di grazie ad hoc. E' una pazzia. Io dovrei tornare in Italia e chiedere a Scalfaro scusi, mi faccia una grazia? Ma siamo pazzi? Non solo è un discorso individualistico e differenziale, ma non si tratta di neanche di una soluzione politica. Se debbo tornare in Italia e dire a Scalfaro: mi perdoni, mi dia la grazia, io me ne rimango in Francia. Rimango esule. Dovremmo veramente riuscire a criticare tutta una serie di possibilità che loro ci paventano. Cose che poi passano anche nelle teste della massa, anche dei compagni, e che secondo me sono errati. Parlano di amnistia ed in verità si tratta di indulto, parlano di uscita dall'emergenza e non è uscita dell'emergenza, parlano di condizioni favorevoli e non ce ne sono. Oggettivamente non ci sono. Questa è una presa in giro.
Partiamo da alcuni dati. Dobbiamo dire che c'è una parte che ha perso, non che abbia perso il movimento, ma ha perso una certa forma di manifestare antagonismo passato per la lotta armata. Poi, si riconosce allo Stato il fatto che possa concederti questa amnistia. Riconoscere questo allo Stato, non vuol dire, che adesso lo Stato è buono. Secondo noi, o si esprime un movimento in grado di interessarsi seriamente a questa questione, legandolo per forza di cose alla questione emergenza oppure non capisco cosa può interessare la vicenda degli anni '70 ad un giovane di oggi. Perchè questi giovani dovrebbero interessarsi a noi? Questo è naturale se vuoi. Se noi riusciamo a comprendere come oggi si sviluppa l'emergenza, possiamo creare un rapporto dialettico anche per quanto riguarda la questione dei prigionieri degli anni '70 altrimenti non si impone la questione dei prigionieri partendo solo da loro. Non credo che il potere, ti regali qualcosa. Tutti i risultati materiali, sono venuti proprio da un tira e molla di lotte antagoniste, con il potere. Dobbiamo tenere presente che queste possibilità qui, si vanno restringendo. Ormai stiamo uscendo definitivamente dagli schemi della costituzione, che anche se brutta, integrava quanto meno il meccanismo di lotta. Ora se uno non è riconosciuto, o è annientato o non può esprimersi. Stiamo andando in un altra dimensione, cioè l'emergenza si fa norma a livello mondiale. Quindi l'emergenza del futuro si chiamerà probabilmente normalità. Oreste: Rispetto all'amnistia, sono passati per me quasi 18 anni. E' stata pubblicato moltissimo materiale, è uscito un po' ovunque, scritta da noi ma anche da altri.
Tutto quello che alla fine è stato scritto, è anche abbastanza organico. Più o meno è stato detto tutto quello che si poteva dire. Come gruppo di iniziativa per l'amnistia fin dal 1983 in poi, ci siamo trovati a fare una battaglia di fondo contro questo paradigma teorico e pratico dell'emergenza. Un emergenza che è nata a partire dalla nostra pratica, ma che si è autonomizzata dalle ragioni specifiche . C'è una formulazione concettuale. Non è un concetto aneddotico. C'è un filo di approccio teorico di critica radicale per quanto riguarda la questione dell'emergenza che ha una sua consistenza che non è solo la proiezione della posta in gioco.
Credo che oggi la questione dell'emergenza sia una cosa di estrema grandezza, ancora più grande ed importante di quello che è stato il passaggio al fascismo nell'Europa degli anni '20. L'emergenza non è una cosetta così. In Italia, l'emergenza ha funzionato come banco di prova in grado di far scuola a livello globale e che incombe come un ombra lunga su questo famoso terzo millennio. Il paradigma dell'emergenza come forma di governo, che è costitutivo della forma stato, si sta creando a livello mondiale. Non come cosa marginale, che riguarda noi, gli anni '70. L'emergenza del cosiddetto "anti-terrorismo" è stato il banco di prova. La questione è trascesa ed ha una rilevanza mondiale. Se prendiamo le cose più sofisticate dei sociologi del lavoro, sul nuovo modello, con tutte le chiacchiere che vanno facendo, sul toyotismo, post-taylorismo, etc ce ne accorgeremmo. Ad un seminario all'università di Parigi, facevo notare ad un altro compagno, che nel momento ed il modo in cui parlavano di riorganizzazione del mercato del lavoro, di ristrutturazione della struttura della forza lavoro, della rimessa in discussione di tutti i saperi, di tutti i tessuti di solidarietà, del procedere inducendo alla autodenigrazione, colpevolizzazione, il sollecitare la riqualificazione, la cooptazione individuale dei lavoratori, tutto ciò, se lo ascoltavi con occhio critico, sembrava che stessero parlando della popolazione carceraria. Allo stesso momento trovavi che stavano parlando di pentimento e dissociazione, di soggettivizzazione, tipologgizzazione dell'individuo. Questo è il passaggio di enorme importanza sul terreno di rifacimento del sistemo mondo. E'un paradigma che in qualche modo viene trasportato a livello di politiche generali. Molte cose della tecno scienza sono state studiate per il militare e poi trasportati come modelli da realizzare nelle società. Gli stessi modelli delle società del controllo sono stati studiati prima nel carcerario. L'emergenza antiterrorismo è stato il banco di prova. La cosa è grave, si arriva oltre Orwell. C'è questa idea che si manifesta nel giustizialismo populista, nei vari comportamenti in cui ritrovi elementi di fascismo, di nazismo, di razzismo, di inquisizione, ultraliberalismo, demomercantile, potremmo fare l'analisi come si fa con le urine. L'idea di poter estirpare il male, tramite la via giudiziaria, è un idea che mi da i brividi. Qui in Francia c'è stata la maxi retata in cui hanno arrestato 600 persone imputate di pedofolia, tre si sono suicidati. Il presidente dell (....) diceva: "qui basta solo il titolo di reato, per abolire la presunzione di innocenza". Ma in televisione sai cosa gli hanno risposto? "Pensa al dolore del bambino"...Ma se il mondo comincia a ragionare cosi, veramente la situazione diventa apocalittica. Se si ragiona cosi su tutto, l'unica risposta che rimane è il massacro generalizzato. Se pensiamo al dolore della gente che viene fatta morire di fame, altro che 128 morti. Ci sarebbero bombe dappertutto.

 
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