Un profondo nesso lega le trasformazioni del sistema scolastico alle
modificazioni che intervengono nel sistema produttivo.
Fin dalla sua nascita -in effetti- l'istruzione pubblica risponde alle esigenze
del mercato del lavoro. Si veda, a conferma di ciò, la legge Casati
del 1859, essa prevede un'organizzazione gerarchica, rigida ed autoritaria
della scuola. Da questa legge trae origine quella impostazione dualistica che
contraddistingue ancora oggi la scuola italiana, per cui da un lato si ha un'
istruzione classica destinata ai ceti sociali superiori, dall'altro si ha una
formazione tecnica legata alle "urgenze professionali" dei settori sociali
subalterni.
Ma la cosa più importante, nella legge Casati, è la sua insistenza
sulla funzione ideologica formativa della scuola stessa che deve "formare,
instillando valori borghesi nei bambini e nei giovani proletari-lavoratori,
valori come l'obbedienza lo spirito di sacrificio, la competizione, la
pazienza, il rispetto per il lavoro e l' ordine costituito".
Durante l'età giolittiana (decollo industriale italiano) le classi sociali subalterne tendono ad usare l'istruzione come canale di mobilità ascendente, rompendo continuamente il rapporto tra formazione e mercato del lavoro. Le lotte sociali e le necessità produttive portano all'estensione dell'obbligo scolastico fino al dodicesimo anno d'età e ad incentivare la scolarizzazione di massa nelle campagne. Con l'avvento del fascismo, la riforma Gentile chiuse alle classi subalterne ogni possibilità di promozione sociale. Si assiste, infatti, ad un aumento delle scuole senza sbocchi. Per di più si istituzionalizza la divisione del monopolio dell'istuzione tra stato italiano e chiesa cattolica, rinvigorendo il ruolo di strumento di controllo sociale politico-ideologico da sempre assegnato alla scuola.
Negli anni 50 e nei primi 60 vi è un forte rilancio dell'economia italiana, basato su un regime di bassi salari, alta produttività, elevata disoccupazione. La ripresa delle lotte operaie e la necessità, per il capitale italiano, di garantirsi il controllo di un'estesa massa di proletariato giovanile disoccupata, portò all'emergere della scolarizzazione di massa: nel 1962, infatti, si ha l'istituzione della scuola media unica, che elimina, per l'istruzione inferiore, l'impostazione dualistico-classista; nel 1969 si ha la liberalizzazione degli accessi all'Università. A partire dalla metà degli anni 70 si assiste, però, ai primi accenni di un attacco progressivo nei riguardi dei settori subalterni: non solo si procede allo smantellamento delle garanzie sociali, cui si aggancia un aumento complessivo del costo della vita, ma si iniziano ad introdurre principi quali la flessibilità e la precarietà. Non si dimentichi, per quello che riguarda l'Università, il tentativo del ministro Malfatti di superamento della liberalizzazione degli accessi all'Università, tentativo non riuscito anche a causa dell'opposizione dispiegata dal movimento del '77.
Col pieno svilupparsi dell'attacco padronale alla "rigidità operaia" -frutto al tempo stesso delle lotte e dei meccanismi stessi della produzione fordista- le politiche di superamento dell'istruzione di massa prendono il loro definitivo avvio. Nel '90 il ministro Ruberti introduce quel principio dell'autonomia finanziaria e didattica che ha spianato la strada alle riforme attuali del ministro Berlinguer. Oggi il sistema formativo si pone nell'ottica di creare "disponibilità" psicologica a vendere o ad affittare la propria forza-lavoro a tempo determinato e per poche lire, in previsione di lunghi periodi di disoccupazione, magari "alleviati" da miseri sussidi statali e da corsi di formazione, questi ultimi parte integrante della retribuzione (36 ore pagate 30, propone la CGIL). Questo può avvenire perchè‚ il soggetto studentesco, privo di reddito, garanzie e prospettive concrete, si trova in una posizione di facile ricattabilità. Certo, del disegno di riordino dell'istruzione pubblica si possono comprendere solo le linee generali, non essendo ancora completo. Risulta chiaro, però, il suo fine fondamentale: il governo di centrosinistra -sta qui il nocciolo della questione- è "disposto", con "ogni mezzo necessario" a mantenere e ad aumentare la funzionalità e la subordinazione dell'istruzione al Dio-mercato! Un esempio chiarificatore è il provvedimento relativo al finanziamento pubblico delle scuole private, sottraendo risorse alla già fatiscente scuola pubblica. Tutto ciò è fatto passare per un verso come pluralismo culturale, per l'altro come "provvedimento necessario al diritto allo studio" agevolato dalla molteplicità di possibilità di scelta... a vantaggio di chi, di quali settori sociali non è ben specificato.
Oltre alle misure tese a raggiungere la "parità scolastica", c'è il progetto legato alla creazione di un sistema misto pubblico-privato: la parificazione, a pensarci bene, rientra proprio in questo discorso. Come si articola il progetto in questione? Certamente, il suo perno centrale è costituito dalla gestione di tipo privatistico degli istituti e delle Università pubbliche. Anche se l'autonomia finanziaria non comporta una privatizzazione in senso proprio, i suoi effetti sono gli stessi, poichè‚ le università sono spinte ad una competizione sfrenata per l'accaparramento di finanziamenti (privati), "concessi" solo a quelle università che fanno ricerca e/o sfornano studenti in linea con gli interessi del finanziatore. Il principio base dell'autonomia didattica, finanziaria e organizzativa è quello, più volte ripetuto nelle linee guida del progetto Berlinguer fornite dal gruppo di lavoro del MURST, per cui "è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato". Ciò vuol dire che gli atenei saranno liberi di estendere la propria azione, in particolare stipulando contratti e stringendo relazioni con gli enti pubblici e/o privati presenti sul territorio di competenza: ciò porterà ad una differenziazione di scuole ed atenei a seconda della loro dislocazione, accentuando le disparità regionali e territoriali già molto forti in questo paese. Fondamentale è anche il principio di contrattualità che evidenzia la gestione di tipo aziendale delle Università; infatti, tra studenti ed atenei si stipulerà un vero e proprio contratto col quale l'Università-azienda si vuole assicurare che le/gli studenti forniscano le prestazioni previste in cambio della splendida offerta formativa indirizzata verso il lavoro a vita. Quest'ultima può oltretutto variare se rivolta a studenti "FULL-TIME" o "PART-TIME" (ovvero lavoratori/trici): la formazione per questi ultimi viene definita "lifelong" (!!!), ciò vuol dire che per essere più competitivi si può usufruire di ulteriori percorsi formativi, in un quadro in cui la formazione (al lavoro) diventa a vita; permanente. Ma oggi la formazione è permanente anche perchè‚ il bagaglio "culturale" acquisito (definito dal MURST "capitale"...) è sottoposto ad una incessante usura ed è necessario rinnovarlo continuamente. In altri termini il sistema produttivo ha bisogno di forza-lavoro sempre più specializzata, sempre più aggiornata e soprattutto sempre più disposta ad entrare ed uscire dalla produzione.
Così che il percorso formativo previsto si articola in varie tappe, raggiunte tramite l'accumulazione dei cosiddetti crediti, che quantificano il carico di lavoro richiesto alle/agli studenti: la laurea conseguita con minimo 240 crediti, è preceduta da un biennio trasversale per facoltà diverse (CUB, fornirà conoscenze comuni e non specializzate) e seguita dai MASTER (corsi post-laurea a carattere professionalizzante) che diventano di fatto obbligatori, perchè‚ unici a fornire una specializzazione. Tecnicizzazione e parcellizzazione del sapere portano inevitabilmente ad una svalorizzazione dei titoli di studio e ad una maggiore selezione (chi potrà permettersi il costo di un percorso simile, considerando che una analoga tripartizione sarà effettuata anche per il ciclo medio-superiore?). Inoltre, i crediti si conseguirebbero non solo con le prove d'esame, ma anche con stage aziendali e con la frequenza regolare a lezioni, seminari, laboratori: e chi ha un lavoro al nero e/o precario per pagarsi gli studi?
E i fuorisede? La risposta a questi quesiti appare purtroppo scontata. Come l'entrata nell'UE è stata pagata a suon di tasse e sacrifici dalla classe lavoratrice, così è sempre quest'ultima a pagare il prezzo della selezione sociale e della competitività, anche per ottenere il "privilegio dell'istruzione. In conclusione, il disegno di ristrutturazione che parte, almeno così dichiara, dall'idea di una società non più divisa in classi e nella quale siano venute meno addirittura le divisioni tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, ha lo scopo di modellare la formazione scolastica sulle nuove esigenze dell'accumulazione capitalistica, e cioè in ultima analisi e al di là di ogni falsificazione ideologica, facendo della scuola e delle Università luoghi centrali della riproduzione della divisione in classi attualmente vigente nella società.
COLLETTIVO POLITICO ANTAGONISTA UNIVERSITARIO-ROMA
MARZO 1998
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