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IL PERU' DI FUJIMORI
Mai pensato a una soluzione incruenta
Consolato peruviano occupato a Copenaghen.
Minacce tedesche al portavoce Mrta

il manifesto 29 Aprile-1997


E' SEMPRE PIU' CHIARO, mano a mano che si precisano i particolari dell'assalto di martedì alla residenza dell'ambasciatore giapponese di Lima, che il presidente peruviano Alberto Fujimori non ha mai avuto alcuna intenzione, nonostante tutte le assicurazioni in contrario, di arrivare a una soluzione negoziata e incruenta della crisi. I quattro mesi di attesa e di inutili negoziati sono serviti per avere il tempo di mettere a punto il piano d'attacco delle teste di cuoio, scavare i tunnell, avere le collaborazioni necessarie dall'estero, fiaccare la resistenza del commando guerrigliero.

É esattamente quel che è avvenuto. L'interno della residenza era in contatto permanente con l'esterno, ogni mossa anche la più piccola e più intima degli occupanti veniva registrata, ascoltata, seguita da aerei spia che stazionavano alti sull'edificio, da microspie, microfoni, eccetera. Stati uniti, Inghilterra e Israele hanno contribuito se non altro alla preparazione del blitz.

E Fujimori è contento, nonostante gli accenni di polemiche interne e internazionali, molto minoritarie peraltro di fronte al coro ben più forte degli elogi.

In una conferenza stampa riservata a giornalisti giapponesi he definito "idealistica" la convinzione e la speranza di Tokyo che la crisi potesse finire in modo incruento. Quanto all'ordine di non fare priogionieri, Fujimori ha affermato che l'ordine era prima di tutto quello "di salvare i 72 ostaggi e qualsiasi cosa poteva accadere in quelle circostanze". Si è permesso perfino una battuta sarcastica in conclusione: "Se c'è qualcuno in Giappone che difende i Tupac Amaru, per favore fatemelo sapere. Abbiamo 2000 pericolosi membri del Tupac nelle prigioni peruviane e possiamo benissimo esportarli".

Qua e là nel mondo c'è tuttavia qualche minoranza che protesta e alza la voce. Ieri a Copenaghen un gruppo di giovani danesi ha occupato per due ore il consolato peruviano nella capitale danese, prima che un'incursione della polizia sgomberasse l'edificio e arrestasse gli occupanti. Nelle due ore i membri del "Comitato per la liberazione dei deetenuti dell'Mrta in Perù" ha chiesto, in un comunicato, "un'indagine ineternazionale indipendente" e una netta "presa di distanze" del governo danese con i metodi di Fujimori.

Il governo peruviano, sull'onda del "successo", sta cercando di mettere a frutto anche all'estero il suo nuovo "prestigio". Il ministero degli esteri di Lima ha chiesto a quello tedesco di mettere la museruola a Isaac Velazco, colui che è stata la voce dell'Mrta fuori dal Perù in questi quattro mesi. Velazco, che è quasi cieco, dal '93 gode dello status di rifugiato politico in Germania, ad Amburgo. Kohl e Kinkel si sono rivolti alle autorità muncipali amburghesi perché intervengano: per ora non si parla di revoca del diritto di asilo ma solo di proibizione delle attività politiche, poi si vedrà.


MA COSA FA LA POLIZIA?

BENEDETTO VECCHI

I L QUESTORE di Roma l'ha definito un intervento estraneo alla prassi consolidata dalle forze di polizia nella capitale. Poi, alla delegazione che ne chiedeva l'autorizzazione, ha concesso di manifestare oggi pomeriggio a Roma da Piazza Esedra fino all'ambasciata peruviana. Ma la denuncia del pestaggio di tre giovani partecipanti a un sit-in di protesta contro la strage dei Tupac Amuru a Lima pone pių di un interrogativo sulla gestione dell'ordine pubblico, a Roma e non solo. Nelle scorse settimane a Milano, Firenze e Bologna la polizia ha usato la mano pesante nei confronti dei centri sociali, con arresti, fermi e ridicole denunce per disturbo alla quiete pubblica. E l'elenco potrebbe allungarsi, basterebbe ricordare l'intervento contro un picchetto di un gruppo di lavoratrici delle pulizie che scioperavano a Roma o gli incidenti a Napoli provocati dalla celere contro una manifestazione di disoccupati.

Gli episodi sopra ricordati hanno a che fare con una materia delicata come il conflitto sociale. E se negli anni passati la polizia ha violato raramente il tabų rappresentato dall'intervento violento contro una manifestazione sindacale, con i centri sociali ha sempre giocato come il gatto con il topo. Intervenendo arbitrariamente, a volte con durezza, altre no. Una gestione dell'ordine pubblico che ha fissato di volta in volta i confini del lecito e dell'illecito nel conflitto sociale. Tuttavia, il pestaggio di Roma o l'arresto di quattro giovani del Leoncavallo di Milano segnalano che alla polizia quei confini vanno stretti, quasi fosse un corpo speciale chiamato a intervenire sulla linea del fuoco dei conflitti sociali e che non tollera nessun controllo sul suo operato.

Tutto questo ha ben poco a che vedere con la stagione della trasparenza auspicata dal ministro degli interni Giorgio Napolitano nel momento del suo insediamento. A ogni denuncia pubblica, Napolitano ha risposto che episodi del genere non sarebbero pių accaduti. Ogni sua rassicurazione sul fatto che non si sarebbero mai pių ripetuti gli abusi polizieschi degli anni Settanta č stata perō smentita dai fatti. Quasi che l'esercizio del suo dicastero sia limitato a poche stanze del Viminale e a qualche circolare interna. I fatti di questi giorni dimostrano invece che nella polizia la febbre č alta. E per curarla non serve solo un ministro che appare ai telegiornali della sera per affermare che la situazione č sotto controllo.



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