Riteniamo sia nostra precisa responsabilità prendere la parola in merito alla prospettata "legge di indulto" e alla campagna che in riferimento a ciò si è sviluppata, in quanto è nostro preciso dovere come militanti delle Brigate Rosse per la Costruzione del Partito Comunista Combattente e come militanti rivoluzionari prigionieri relazionarci allo scontro ottemperando ai compiti che ne derivano, rispondendo al principio rivoluzionario di far vivere sempre in ogni condizione dello scontro la nostra identità politica: identità politica che è adesione all'interezza dell'impianto strategico e delle tesi politiche delle B.R.
Prendiamo la parola per un duplice motivo, il primo e principale, perché "l'indulto" è un elemento politico attivo di carattere controrivoluzionario e antiproletario interno a questa fase di scontro e, in rapporto a questo, la "campagna di libertà" ne assume il preciso connotato di "sostegno di massa"; secondo, perché come prigionieri siamo l'oggetto, il terreno strumentalmente usato per veicolarne contenuti e finalità.
Un utilizzo dei prigionieri, nella loro qualità di fianco scoperto della guerriglia, che risponde alle leggi della guerra di classe che presiedono il rapporto rivoluzione/controrivoluzione. È tutto il percorso della guerriglia in Europa e in Italia in particolare, a chiarire come l'intervento da parte dello Stato sui prigionieri sia stato sempre di volta in volta calibrato, con forme e modalità differenti rispetto a precisi momenti dello scontro rivoluzionario a seconda delle finalità che questo si propone siano lo specifico rapporto Organizzazione Comunista Combattente/Stato che nei relativi livelli di scontro rivoluzionario e di classe, ma sempre con l'obiettivo di ottenere risultati politici da far pesare sui fattori di sviluppo del processo rivoluzionario e sul piano Classe/Stato.
Per l'ennesima volta i prigionieri in quanto ostaggi vengono usati per influire politicamente sull'andamento dello scontro rivoluzionario. Così è stato in passate congiunture politiche con la tortura, con la dissociazione, con la "soluzione politica".
Prassi e progetti dello Stato tesi a contrastare definiti momenti della guerra di classe: la tortura che ha dato inizio alla controrivoluzione degli anni '80 mirata a decapitare la direzione rivoluzionaria sul movimento di classe e rideterminare le condizioni politiche dello scontro a favore della borghesia; la dissociazione per stabilizzare politicamente i risultati acquisiti sul movimento rivoluzionario e di classe; la "soluzione politica", lanciata nel contesto della fase di Ricostruzione aperta dalle B.R., che, gestita attraverso l'uso di un pugno di prigionieri collaborazionisti, mirava al tentativo di giungere alla resa politico-militare delle B.R. stesse, un obiettivo ricercato funzionale ad aprire alla "Fase costituente demitiana".
Anche l'attuale momento non sfugge a questa considerazione
generale che va necessariamente collocata e precisata rispetto agli
indirizzi su cui marcia la politica dello Stato e funzionalmente alle
sue necessità in questa fase di scontro.
Quella dell'"indulto" è un'iniziativa dello Stato di marcato
carattere controrivoluzionario e antiproletario che, a partire
dall'uso anche solo passivo dei prigionieri, ai quali apparentemente
nulla viene richiesto, presentati senza distinzioni politiche tra
rivoluzionari e non, come "reduci" di un conflitto ormai esauritosi e
variamente aggettivato, velatamente mistificato come reazione alle
politiche di "stabilizzazione democratica" delle stragi e delle
tendenze golpiste (vere o presunte) della cosiddetta Prima
Repubblica, opera su un duplice indirizzo politico: resa
definitiva delle posizioni rivoluzionarie, e non genericamente e
astrattamente intese ma quelle attuali storicamente determinate delle
B.R., che innervano il processo rivoluzionario in Italia;
neutralizzazione del portato politico che la guerra di classe ha
immesso nei caratteri dell'Autonomia di Classe, attraverso una
gestione che relega la strategia della lotta armata per il comunismo
ad un "incidente" di un preciso momento politico della storia
italiana e legata a condizioni internazionali ormai venute meno,
mistificazioni su cui viaggia la revisione degli stessi fattori
costituenti il processo rivoluzionario.
Una gestione che vive accanto alla necessità sempre presente
di rimarcare la "sconfitta" del processo rivoluzionario e la "forza
dello Stato", elementi centrali su cui deve ergersi la Seconda
Repubblica.
Pur in continuità con i tentativi passati, l'attuale
"proposta di indulto" assume un peso particolare che la differenzia
dal passato in quanto si cala in un clima politico mutato,
rappresentando uno dei fattori di un disegno più complessivo
ed ambizioso di "pacificazione sociale" che ha il suo significato
dentro una ridefinizione a tutti i livelli dei rapporti tra le
classi.
Non è un caso che questa "proposta" viene intimamente legata
al consolidamento delle attuali forme di potere, che devono essere
sostenute anche attraverso la rilettura e revisione di un intero arco
storico - fascismo/antifascismo, processo
rivoluzionario/controrivoluzione dello Stato - per una rinnovata
autolegittimazione del dominio della borghesia, delle forme di potere
con cui viene esercitato nonché della "nuova" classe
dirigente.
Con questa sostanza politica l'"indulto" è inserito come
fattore politicamente attivo nella fase di scontro attuale,
indipendentemente dai suoi approdi ed esiti legislativi.
Fattore politico che lo Stato fa pesare sullo scontro di classe
per influire negativamente sulle condizioni politiche di svolgimento
del processo di guerra di classe e sui caratteri antagonisti propri
della classe operaia e del proletariato in Italia.
Con tale operazione lo Stato palesa i suoi reali obiettivi:
espellere dal movimento di classe l'opzione rivoluzionaria, la
proposta della strategia della lotta armata attraverso il
perseguimento del disarmo ed abbandono degli strumenti teorici,
pratici ed ideologici idonei alla conquista del potere politico da
parte del proletariato.
La stessa parola d'ordine della "liberazione dei prigionieri" che alimenta la "campagna di libertà" assume in questo modo tutta la sua valenza negativa rispetto allo scontro rivoluzionario e trasforma un'obiettivo politico interno al progetto rivoluzionario in elemento esterno e contrapposto allo stesso.
Su questo argomento bisogna essere chiari: la liberazione dei
prigionieri durante la guerra di classe è un obiettivo di
programma che non può subire alcuna separazione dal resto
degli obiettivi generali della fase di scontro. Insomma è un
punto di programma che viene necessariamente perseguito
subordinatamente alle priorità politiche e in accordo
con l'andamento generale dello scontro di classe e rivoluzionario, al
contrario, si trasforma in fattore che sottrae forza alla
rivoluzione.
È grazie alla capacità delle B.R. di stabilizzare
l'iniziativa rivoluzionaria sui nodi centrali dello scontro
Classe/Stato e imperialismo/Antimperialismo che, per molto tempo, non
si sono dati fenomeni di "centralità dei prigionieri" nelle
tematiche politiche dello scontro rivoluzionario, solo nelle
circostanze attuali vi è un aperto utilizzo opportunistico
della figura dei prigionieri da parte di quei settori di "movimento"
che ne mistificano la condizione di ostaggio e che nella separazione
totale dalle sorti del processo rivoluzionario e del proletariato, si
dialettizzano con le mire controrivoluzionarie dello Stato sui
prigionieri.
Alla base delle necessità della borghesia imperialista e del suo Stato nel ricercare una "riconciliazione", o meglio la mera rappresentazione di essa, ci sono le profonde contraddizioni generate dalla sua crisi che gli impongono indirizzi di pacificazione del campo proletario, lo portano ad inventarsi un "indulto ai prigionieri" nel tentativo di separare le istanze rivoluzionarie dal contesto di classe.
Proposte e campagne che oltremodo servono a celare il piano reale delle relazioni verso il proletariato, relazioni innervate da politiche controrivoluzionarie di compressione e irregimentazione di tutti i piani di contraddizione e conflitto e da campagne di criminalizzazione che si riversano in ogni ambito dei rapporti sociali: tutti elementi che contribuiscono a costituire la base sostanziale su cui si regge l'attuale rafforzamento dello Stato di fronte al moltiplicarsi dei fattori di crisi che minano nelle fondamenta il suo dominio.
È di fronte a questo rapporto di scontro che la "legge di
indulto", le conseguenti "campagne di libertà" e i segnali
concilianti del "rientro dall'emergenza" assumono la veste di una
vera e propria "foglia di fico" a cui finisce per dare legittimazione
il ruolo di quei settori opportunisti per i quali "l'indulto" non
è che il terreno di uno squallido scambio politico tra i
propri interessi e le finalità di pacificazione dello Stato,
contro le reali esigenze del proletariato.
Lo Stato con piena consapevolezza in realtà punta a voler
rideterminare le modalità politiche di espressione possibile e
compatibile delle tensioni antagoniste. Per questi motivi tutta
questa operazione, pur nei suoi contorni specifici, è interna
alla più generale ridefinizione nel governo del conflitto di
classe allo scopo di convogliarlo su un piano prettamente
riformistico e subordinato.
Per paradosso essendo un elemento politico interno agli indirizzi
di pacificazione che si riversa nel contesto di scontro, al contrario
di quanto vorrebbe far apparire, riflette il reale rapporto
rivoluzione/controrivoluzione, non la negazione di questo piano ma la
sua evoluzione verso l'approfondimento.
Il livello reale rivoluzione/controrivoluzione è un dato
politico che non solo non annulla ma alimenta la
riproducibilità e continuità della guerra di classe
quale fattore determinante lo sviluppo dello scontro rivoluzionario,
né tanto meno inficia la legittimità, e
l'attualità e vigenza della strategia della lotta armata per
il comunismo, che non è affatto il prodotto di una determinata
fase della storia italiana, ma è la risposta strategica,
coerente e più matura di organizzazione rivoluzionaria della
classe contro le forme di dominio della borghesia imperialista in
questa fase storica dell'imperialismo, contro la capacità
dello Stato di incorporare ed esercitare controrivoluzione
preventiva.
Pertanto la strategia della lotta armata per il comunismo assume
validità generale e concretizza lo sviluppo raggiunto
dall'organizzazione rivoluzionaria della classe nel lungo processo di
emancipazione dalla servitù capitalistica, per la conquista
del potere politico e l'instaurazione della dittatura del
proletariato emancipatrice di tutta la società.
L'attuale fase di scontro affonda le sue radici nel fallimento del
"progetto politico demitiano" e nell'esplodere della crisi della
borghesia imperialista che ha assunto i caratteri di una vera e
propria crisi politica dello Stato concentrato delle tappe che ne
hanno scandito il corso da un ventennio a questa parte e dal
fallimento dei vari tentativi borghesi di dargli soluzione compiuta
sul piano della rifunzionalizzazione dello Stato per rispondere ai
nodi che presiedono questa crisi.
Nodi relativi ai nuovi termini di crisi-sviluppo dell'imperialismo,
da qui la conseguente necessità sul piano delle politiche
economiche di dare risposte in tempo reale per affrontare la crisi
confacenti ai nuovi termini di concentrazione-concorrenza
monopolistica e relativo adeguamento dei termini del governo del
conflitto di classe in un affinamento delle forme di dominio della
borghesia imperialista.
Esigenze di fondo che presiedono sui diversi piani alla
necessità per la borghesia imperialista di determinare un
quadro organico di modifiche istituzionali e nelle relazioni tra le
classi, tale da esprimere un rinnovato livello di formalità
politico-istituzionale, espressione del relativo rafforzamento dello
Stato nei confronti del campo proletario nel suo complesso. Il
progetto politico demitiano, relazionandosi a queste esigenze, nelle
intenzioni della borghesia doveva rappresentare un salto di
qualità nella ratificazione delle acquisizioni
controrivoluzionarie e delle posizioni di forza ottenute rispetto al
campo proletario e rivoluzionario nel corso degli anni '80.
Un progetto teso principalmente a costruire le condizioni politiche,
attraverso il coinvolgimento delle opposizioni istituzionali (PCI),
per un quadro di "democrazia governante"; in termini più
sostanziali teso a svincolare il governo della società dalle
spinte antagoniste di classe, volendo garantire la stabilità
del sistema dentro una rinnovata formalità
politico-istituzionale ("democrazia governante" come massimo
accentramento del potere reale e sistema di "alternanza di
coalizioni" come massima espressione di democrazia formale).
Un progetto che presupponeva la riqualificazione della forze
politiche (DC in testa) investite necessariamente da questo processo
e che teneva ben in conto i caratteri specifici del nostro paese sia
in riferimento al suo ruolo economico e politico nella catena
imperialista, sia alla qualità della lotta di classe
sviluppatasi anche per la presenza delle B.R. nonché ai
caratteri della classe dominante prodotto dei primi 2 fattori e al
suo necessario processo di riqualificazione-riadeguamento alle nuove
esigenze.
È per il suo obiettivo di assestare e ratificare i rapporti di
forza a favore dello Stato verso la classe (in ciò il suo
carattere controrivoluzionario e antiproletario) che tale progetto
viene attaccato dalle B.R., in dialettica con le espressioni del
conflitto di classe che avevano eroso in parte le stesse condizioni
poste dalla controrivoluzione dello Stato.
Un attacco che sostanzialmente ha incrinato la tenuta degli equilibri
politici atti a sostenerlo segnando di fatto la sua
impraticabilità e naufragio che assieme al convergere (come
ulteriori fattori di contraddizione) della stessa difficoltà
delle forze politiche alla loro riqualificazione e l'apertura di una
crisi economica senza precedenti ha segnato il suo definitivo
fallimento.
Ciò non ha invalidato le direttrici generali del progetto
demitiano, facendo queste riferimento ad esigenze generali della
borghesia imperialista, ma la condizione politica che si è
aperta ha ridotto sensibilmente i margini di manovra della borghesia
stessa per affrontare in termini complessivi il salto di
qualità richiestogli dalla sua crisi.
In altri termini i fattori di contraddizione aperti dalla prassi
rivoluzionaria hanno prodotto un sostanziale arretramento del
processo di rifunzionalizzazione dello Stato, contribuendo
all'approfondimento della crisi politica della borghesia; crisi
politica senza precedenti dal dopoguerra, al cui interno è
maturato un percorso estremamente contraddittorio per affermare i
passaggi di riforma e la costruzione di nuovi equilibri politici
relativamente stabili.
Una condizione politica che segna un cambiamento di rotta rispetto
alla fase precedente: rispondere ai nodi posti sul terreno delle
politiche economiche e della rifunzionalizzazione dei poteri dello
Stato dentro la crisi ha significato di fatto aprire a una relazione
di scontro fra le classi marcata dall'approfondimento della dinamica
controrivoluzionaria.
Una relazione di scontro ricercata dalla borghesia imperialista che
ha segnato ogni momento politico del conflitto Classe/Stato sui
diversi terreni su cui si è articolata l'offensiva borghese,
divenendo il collante stesso delle forze politiche pur nella grave
crisi di rappresentanza propria di quella fase.
Un salto controrivoluzionario che a partire dai primi anni '90 si
riversa sulla dinamica politica di crisi ed apre ad un processo
politico che, nel suo divenire, plasma di caratteri peculiari lo
stesso processo di rifunzionalizzazione dei poteri ed istituti dello
Stato e influenza le modifiche nell'impianto istituzionale e
costituzionale, ovvero l'ambito delle forme politiche entro cui si
esprimono le relazioni fra le classi.
Rappresentanti di questa fase politica sono stati i cosiddetti
"Esecutivi di transizione" prodotto dei fragili equilibri politici
coagulatisi intorno agli interessi della frazione dominante di
borghesia imperialista da parte di forze politiche nel pieno della
loro crisi politica e di rappresentanza.
La funzione assunta da questi Esecutivi rispetto alle
necessità imposte dalla crisi degli equilibri politici tra
Classe e Stato in rapporto alla radicalità degli indirizzi
programmatici da perseguire, ha comportato di per sé un salto
di qualità nelle modalità di governo, salto sostenuto
dai Partiti partecipi a questo processo.
In questo senso è evidente come la loro azione politica abbia
sempre mirato pur con forzature a consolidare gli equilibri politici
intorno agli indirizzi programmatici e in tendenza costruire le
condizioni di un quadro politico stabile riferito principalmente al
complesso dei rapporti di forza tra Classe e Stato.
È in questo contesto che matura il ruolo politico delle
massime cariche istituzionali nel pilotare la "transizione", dalla
funzione di "blindatura" dell'azione di governo a quella di
ricucitura-compensazione delle contraddizioni relative
all'instabilità del quadro degli equilibri politici che di
indirizzo nei mutamenti istituzionali da perseguire: un complesso di
iniziative che oltre la loro portata immediata di risoluzione di nodi
specifici ha assunto la valenza politica di uno strappo
costituzionale caratterizzandosi come elemento di particolare
rilevanza nel processo pratico di accentramento e assunzioni di
poteri e prerogative politiche, con i suoi riflessi sul più
generale processo di rifunzionalizzazione dei poteri e degli istituti
dello Stato e dell'equilibrio fra gli stessi.
Gli Esecutivi di "transizione" hanno espresso un passaggio politico
che se da un lato ha concretizzato delle modifiche profonde nel
rapporto Classe/Stato (che nel binomio emergenza economica-emergenza
di ordine pubblico ha avuto i suoi perni), dall'altro ha
materializzato in quanto pratica di governo, il rafforzamento
istituzionale degli Esecutivi con lo svincolamento
relativo dalle forze politiche che li sostenevano, riflesso
del rinnovato tipo di dialettica che deve intercorrere fra Esecutivi
e maggioranza che li sostiene. Per tutto ciò, questi
governi, non hanno rappresentato affatto il "commissariamento della
politica", così come è fuorviante qualificarli come
espressione della messa in campo delle "forze di riserva" della
borghesia (tecnici ecc.), ma, in relazione agli equilibri politici
possibili, e non per questo non ben identificabili (casomai i tempi e
le forme del processo di riadeguamento delle forze politiche e dei
Partiti si è affiancato costantemente ed è stato
scandito dalle scadenze politiche dettate dalle necessità
della borghesia), hanno veicolato un momento istituzionale di non
poco conto; questo il significato politico di sostanza di questi
Esecutivi.
Un approccio politico che ha segnato un metodo nell'azione di governo
che, oltre a rispondere ai problemi immediati di
governabilità, è di fatto divenuto un indirizzo
politico di soluzione alla crisi di funzionamento dell'assetto
politico-istituzionale e delle sue forme di rappresentanza, con il
suo aspetto principale nell'approfondimento
dell'esecutivizzazione dei processi decisionali in
particolare, e, accentramento e verticalizzazione dei
poteri e assetti dello Stato in linea più generale,
divenendo la base da codificare, aspetto centrale nei futuri
assetti istituzionali della cosiddetta Seconda Repubblica, dato
politico verificato per di più in un passaggio di profonde
crisi per la classe dominante, che ha permesso di assicurare la
centralità degli interessi della borghesia imperialista.
Questo passaggio di transizione alla Seconda Repubblica è
stato sostenuto negli equilibri politici e di forza tra Classe e
Stato con le "politiche di emergenza".
Politiche di supporto alla governabilità, per colmare il
divario fra piano reale delle contraddizioni che maturavano nel paese
verso le scelte politiche e loro ambito di risoluzione nel quadro
formale degli assetti politico-istituzionali nonché delle
forze politiche chiamate a stringersi su queste scelte che ne
accentuavano nell'immediato la crisi di rappresentatività.
Il potenziamento di tutte le strutture repressive e coercitive dello
Stato ha costituito il veicolo del dispiegamento dell'intervento
controrivoluzionario, risvolto ai suoi processi di rafforzamento e di
accentramento e verticalizzazione dei poteri.
In questo processo sono maturate un complesso di trasformazioni nello
stesso Potere Giudiziario rispetto a come viene attivato in rapporto
al conflitto di classe e le linee portanti della sua collocazione
all'interno degli assetti istituzionali da ridefinire e negli
equilibri tra i poteri dello Stato: l'istituzione delle superprocure,
il coordinamento e la progressiva centralizzazione dei corpi
coercitivi è divenuto nei fatti la testa di ponte della
rifunzionalizzazione della Magistratura e più in generale del
Potere Giudiziario.
Le modalità della sua prassi costituiscono la filosofia su
cui, non senza contraddizioni e resistenze, è stata avviata la
ridefinizione di ruoli e gerarchie, funzioni e strutture del Potere
Giudiziario.
Il risvolto verso il governo del conflitto di classe è stato
un ampliamento sia quantitativo che qualitativo della propria
funzionalità per essere all'altezza del ruolo fondamentale nei
paesi imperialisti di stabilizzazione coercitiva dello scontro
di classe, con una razionalizzazione e incorporazione delle
"emergenze" che attraverso una loro codificazione divengono
normalità, base più avanzata per affrontare le
contraddizioni.
Una rifunzionalizzazione che si è definita attraverso una
prassi che ha modificato il quadro normativo di leggi penali e inciso
su tutti gli aspetti delle relazioni fra le classi in una sostanziale
irregimentazione di tutti i piani di contraddizione,
contribuendo a costruire le condizioni di un clima politico di
"lealismo forzoso" e al contempo base di forza all'azione politica
dei governi, tanto più di fronte all'instabilità
critica degli equilibri reali nel paese.
Del resto in Italia questo tipo di assestamento controrivoluzionario dello Stato ha sempre assunto caratteri peculiari proprio in ragione del conflitto di classe e rivoluzionario nel paese ed ha accompagnato tutte le fasi di transizione, le rotture ricercate dalla borghesia verso il proletariato, assimilandone gli esiti e i risultati sul più generale carattere della mediazione politica fra le classi, nel governo del conflitto di classe per il rafforzamento dello Stato, con buona pace di chi parla della fine delle emergenze!
Un piano di relazioni Classe/Stato che ha permesso di costruire
quei margini politici, relativamente ai rapporti di forza fra le
classi, su cui si sono inserite le forzature politiche per portare
fuori dall'impasse i processi di riforma dello Stato, in un contesto
in cui la stabilità è stata il prodotto estremamente
fragile del rapporto fra politiche dello Stato / scontro di classe /
crisi politica della borghesia, caratterizzando i mutamenti
istituzionali prodotti come "soluzioni imposte" dentro un sostanziale
irrigidimento della dialettica fra le forze politiche e un forte
quadro di contraddizioni interborghesi.
Un contesto che segna una rottura con tutta la fase precedente per le
spinte tese a forzare i passaggi verso lo sbocco della Seconda
Repubblica, in cui si sono inserite le pressioni del grande capitale
per imprimere una rotta verso soluzioni che meglio e più
direttamente rappresentino gli interessi della frazione dominante di
borghesia imperialista, per ergerli come centrali e dominanti
rispetto agli altri spezzoni di borghesia e soprattutto verso la
classe operaia e il proletariato.
Un movimento di accelerazione che si è riflesso sul
deterioramento dell'assetto istituzionale e costituzionale della
Prima Repubblica e sulla demolizione dei vecchi equilibri
politico-istituzionali per imporre i passaggi necessari alla
ridefinizione del complesso della mediazione politica fra le classi.
Una dinamica che ha trovato un suo primo momento di assestamento
"forzoso" della legge elettorale maggioritaria idonea alla
riformulazione della rappresentanza politica e parlamentare alla
modificata dialettica tra Potere Esecutivo e Potere Legislativo, a
partire dall'alta concentrazione delle leve di potere nel governo. Un
passaggio che ha spostato in avanti il piano delle contraddizioni
relative alla "riforma dei Partiti" funzionale ad esprimere la
dialettica possibile implicita nello schema bipolare.
Uno schema che rimanda al salto di qualità nelle
modalità con cui sul piano politico vanno a pesare gli
interessi della borghesia imperialista sulle scelte fondamentali del
paese per una ulteriore marginalizzazione del peso del conflitto di
classe sugli assetti di potere della borghesia, in un sostanziale
sganciamento e impermeabilizzazione dell'azione degli esecutivi dalle
spinte antagoniste di classe.
Un insieme di trasformazioni della mediazione politica che per le
modalità di "rottura" con cui sono maturate si sono riversate,
accanto alle vecchie contraddizioni irrisolte nell'accumularsi con i
nuovi fattori di contraddizione sia sul piano dello scontro di classe
che su quello economico che delle scadenze internazionali, sugli
assetti politico-istituzionali alimentando uno stato di generale
fibrillazione di tutti gli organismi istituzionali e soggetti
politici investiti da questi mutamenti, in primo luogo i Partiti,
fino a maturare una situazione di vera e propria cesura nel
processo di riadeguamento dei Partiti di cui il crollo della Dc e
sull'altro versante l'approdo del lungo processo di riqualificazione
del PCI ne sono stati gli aspetti più evidenti.
Ciò che si è prodotto nell'immediato è stato
l'approfondirsi del quadro di crisi politica, il cui piano di
soluzione è ruotato rispetto alla continua ricostruzione dei
margini politici necessari all'azione di governo su cui chiamare allo
schieramento il più vasto arco delle forze politiche borghesi,
pur in un contesto di crisi degli equilibri politici e di tenuta
degli schieramenti stessi.
In termini non rinviabili è venuto al pettine il nodo della
mancanza di un quadro politico stabile di governo idoneo a ricucire
gli strappi istituzionali e le contraddizioni prodottesi per dare
formalizzazione al riassetto istituzionale in relazione ai rapporti
fra le classi, superando la linea di gestione contingente delle
trasformazioni.
Un passaggio questo che ha "scontato" le forzature prodotte con tutto
il carico di demagogia populista che le ha accompagnate e
l'incapacità di contenerle e ricondurle in un quadro di
"normalità istituzionale".
Una situazione politica che ha raggiunto il suo punto di massima
crisi con il governo del Polo, qualificatosi come il concentrato
delle contraddizioni scaturite dal processo di crisi politica della
borghesia, che ha cercato di dare soluzione ai nodi della crisi
politica, nel rappresentare gli interessi della borghesia
imperialista, in termini immediatamente tesi ad impattare i rapporti
di forza generali nelle relazioni fra le classi, manifestando una
visione semplificata della mediazione politica inadeguata ad
affrontare confacentemente il governo del conflitto di classe,
aprendo di fatto al rischio di un avvitamento della crisi stessa.
Nella fase di scontro attuale la borghesia imperialista sta
impegnando tutta la sua capacità di pesare sul piano politico
per portare a compimento il riassetto dello Stato, fino alla
riformulazione dello stesso impianto costituzionale.
Lo stadio raggiunto nella rifunzionalizzazione-riordino dei poteri
impone la definizione della forma di governo e della forma-Stato
rappresentando in ciò un salto di qualità al lungo
processo di crisi-rifunzionalizzazione dello Stato.
Ma poiché non c'è "riforma dello Stato" che si
dia al di fuori dei reali rapporti politici e di forza tra le classi,
e dato che lo stadio di riforme raggiunto fino ad ora è
espressione dell'approfondimento avvenuto nei rapporti
rivoluzione/controrivoluzione, Classe/Stato, il riordino in atto
investendo l'assetto costituzionale innesca un processo politico teso
a ridefinire le relazioni generali e formali tra le classi .
Un processo che per la sua portata è destinato ad investire
tutti i piani di relazione Classe/Stato, proletariato/borghesia col
fine di essere rideterminati a favore della borghesia imperialista,
cosicché tale riordino è come non mai la contraddizione
principale tra Classe e Stato.
In sintesi è il processo politico teso a portare a
conclusione la lunga e complessa transizione alla Seconda Repubblica
l'elemento centrale per parte della borghesia imperialista che
investe i termini generali dello scontro di classe in questa fase,
nella quale pesano in modo particolare i caratteri della compagine di
forze chiamate a gestire questo processo.
Una coalizione espressione del relativo assestamento degli
equilibri fuoriusciti dalla fase più critica della
transizione, che si è svolta all'interno di una vera e
propria "crisi dello Stato" con la massima conflittualità fra
i poteri dello stesso acuita dall'espulsione della vecchia classe
dirigente e dalla necessità borghese di riformulare le
rappresentanze politiche ai termini del bipolarismo. Una compagine
oggi di governo, formatasi intorno all'asse politico PDS-PPI, che nel
lungo processo di transizione ha sostenuto il piano delle decisioni
politiche e fronteggiato l'arco delle contraddizioni, costruendosi le
capacità politiche di essere la migliore deputata ad
interpretare e gestire la "normalizzazione" dentro un disegno
organico rispetto a quanto maturato nella fase precedente.
Maggioranza di governo che dà un preciso carattere ai rapporti
da stabilire col proletariato, in virtù della natura stessa
delle forze politiche che la compongono, perché espressione
consapevole del dato storico dello scontro di classe in Italia e di
come deve evolvere ed operare il quadro della mediazione politica.
Da una parte il PPI, erede di quella parte della DC portatrice anche storicamente della capacità di governare i processi politici riconducendoli in una definita progettualità politica, una qualità che gli conferisce di fatto un peso che va ben oltre quello immediatamente elettorale; dall'altra Partiti come il PDS e RC per il ruolo revisionista avuto e presente verso il movimento operaio: il PDS per il ruolo di interprete e garante della transizione alla Seconda Repubblica che nella crisi ha connaturato il trapasso da PCI a PDS in riferimento al modello di democrazia prefigurato nell'"alternanza", volendosi costruire come referente privilegiato agli occhi della borghesia imperialista dei processi politici in corso.
Ha portato così a compimento l'adeguamento dei propri indirizzi politici e relativa forma-Partito alle nuove esigenze, investendo rispetto a questo consolidamento di posizione tutto il suo patrimonio. RC, nella sua veste di rappresentanza istituzionale della classe, si erge a rappresentanza formale del conflitto e lo traspone virtualmente sul quadro degli equilibri politici, assicurando in questo modo l'istituzionalizzazione dell'antagonismo e la propria funzione di legittimazione al processo di transizione alla Seconda Repubblica che non potrebbe darsi, almeno formalmente se fosse apertamente contro escludendole, le rappresentanze istituzionali di classe.
I compiti generali di questa compagine di governo, supportata da
RC, relativi alla necessità di stabilizzare il paese nel
quadro del completamento della transizione alla Seconda Repubblica,
sono tali da rendere nei fatti l'attuale legislatura una "legislatura
costituente".
L'istituzione della Bicamerale ne è l'atto politico
fondamentale. Il suo significato va letto su più piani: pone
le linee di una prima razionalizzazione dei nodi che il processo di
riforma ha posto in evidenza: a questo scopo ricompone e piega le
spinte conflittuali del Polo verso la relativa stabilità
raggiunta nel recinto della dialettica istituzionale e tra Partiti,
diviene il terreno obbligato su cui convogliare e far ruotare tutti i
soggetti politici nell'obiettivo di un disegno il più
possibile organico che, se nella forma è il prodotto
dell'equilibrio politico più ampio possibile, tale da
sanzionare la formalizzazione della "fase costituente", nella
sostanza è pilotato dalle forze di governo dentro indirizzi e
linee generali in gran parte già date nei fatti, in questo
modo favorendo anche il rafforzamento e la stabilità degli
equilibri di governo.
Questo movimento di ricomposizione-stabilizzazione viene governato
dalle forze dell'attuale maggioranza nell'azione di ricucimento dei
conflitti e degli strappi che un tale processo necessariamente apre a
livello istituzionale e nel rapporto tra i poteri in relazione allo
scontro di classe, esaltando l'opera svolta dall'equilibrio politico
PDS-PPI in rapporto alla funzione di costruire e garantire le
condizioni in ambito politico-istituzionale idonee a sanzionare
quegli indirizzi generali che il processo pratico di
rifunzionalizzazione dei poteri e degli istituti dello Stato ha
prodotto.
Passaggi politici non privi di contraddizione per il complesso dei
piani che investono: si tratta di ratificare la forma di governo
corrispondente ai processi di accentramento e verticalizzazione dei
poteri e le prerogative politiche della Presidenza della Repubblica,
contestualmente alla rifunzionalizzazione degli altri organi dello
Stato che si è dato intorno al potere dell'Esecutivo, primo
fra tutti il Potere Giudiziario.
Cosicché nella direzione politica effettiva che l'Esecutivo ha
su di essi, mantenendo ferma la dialettica indispensabile nella
democrazia rappresentativa tra i Poteri dello Stato e gli organi
costituzionali e parlamentari riadeguati ad un più alto grado
di formalità, esercita il potere politico reale; dall'altro si
tratta di portare a compimento, accanto alla riformulazione della
rappresentanza politica data dal maggioritario, la stessa revisione
della dialettica Governo-Maggioranza-Sedi Parlamentari a garanzia
dell'agibilità politica dell'azione di governo, senza per
questo comprimere il ruolo delle forze politiche indispensabili al
processo di compensazione delle contraddizioni sia di classe che
interborghesi, affinché la mediazione politica mantenga la
necessaria funzione di ammortizzamento e recupero sul piano
istituzionale delle contraddizioni proprie ai caratteri dello scontro
in Italia.
Questo riordino complessivo, se pur assestato nei suoi indirizzi
generali, vive materialmente dentro una condizione di
instabilità di fondo che riflette l'avanzamento del quadro di
contraddizioni che questo stesso processo origina: sia in
virtù dello squilibrio fra il grado di avanzamento di queste
trasformazioni e la mancanza di una loro sanzione formale che
alimenta la latente instabilità fra i poteri dello Stato e il
riequilibrio nel rapporto fra gli stessi, sia perché su questo
processo si riflette la condizione generale dei rapporti politici e
di forza tra Classe e Stato che vivono realmente nel paese e si
ripercuotono sugli equilibri politici idonei a tradurre sul piano
concreto questi mutamenti.
Ciò perché, questo processo di assestamento delle forme
di potere della borghesia solo all'apparenza si riferisce alla
mediazione tra Partiti e in ambito interborghese, più
sostanzialmente presuppone, nello scontro concreto il consolidamento
degli equilibri generali tra le classi a favore della borghesia,
risvolto alla stabilità necessaria per ratificare i mutamenti
istituzionali: mutamenti che sono il riflesso sul piano
giuridico-formale dei rapporti di forza tra Classe e Stato in un dato
momento.
Ciò chiarisce come questa dinamica di scontro tra le classi
sia alla base anche della fase attuale caratterizzandola per uno
spostamento su un piano più approfondito di tutte le
contraddizioni e i fattori di crisi della "transizione" proprio in
rapporto all'acutizzazione nei rapporti di scontro della
contraddizione Classe/Stato che rende relativa la stabilizzazione
messa in campo e difficoltosa la governabilità effettiva, di
fatto lasciando aperta la crisi politica della borghesia.
La sostanza dei cambiamenti avvenuti nei poteri dello Stato va a
segnare un salto pur nella continuità delle forme della
Democrazia Rappresentativa borghese, rispetto all'assetto uscito dal
dopoguerra.
Se la svolta alla Seconda Repubblica rappresenta per la borghesia
imperialista lo sbocco da tempo perseguito al fine di far evolvere le
sue forme di dominio, nella necessità di sancire più
approfonditi rapporti di potere sul proletariato, nello stesso tempo
questo sbocco rappresenta l'adeguamento dello Stato al grado di
sviluppo del capitale e quindi delle posizioni raggiunte sul piano
interno e internazionale dalla borghesia imperialista; motivo per cui
il riordino in atto gli è di importanza fondamentale tanto
più in un contesto di crisi-ridefinizione del mercato
mondiale.
Un riordino che, più precisamente deve rispondere al livello
di maturazione che ha raggiunto in questa fase specifica la struttura
monopolistica del capitale multinazionale italiano per come è
inserita a pieno nella evoluzione che si è determinata in
questi anni nel processo di internazionalizzazione capitalistico, che
ha portato ad un elevato grado di interrelazione l'integrazione
economica a tutti i livelli (di capitali, di produzioni, di merci
...).
Questione di grande rilevanza che incide nel movimento del capitale a
partire dal salto monopolistico stesso.
A questo grado di sviluppo corrisponde un sostegno dello Stato teso a
rendere "disponibili" tutti i fattori economici competitivi, primo
fra tutti la forza-lavoro.
È a partire da questo dato che il capitale multinazionale
italiano necessita come non mai di un ambiente economico omogeneo
funzionale a garantirgli i fattori economici competitivi alla
concorrenza e al sostenere il processo di accumulazione capitalistico
dentro la crisi.
Questa necessità diventa improcrastinabile per la borghesia
imperialista in quanto deve far fronte ai termini mondiali odierni
della crisi economica, che ha nei processi di concentrazione e
fusione e relativo grado di concorrenza tra i grandi colossi
monopolistici, tale da esigere la scomparsa di alcuni di essi, il suo
carattere particolare. In questo quadro mantenere la
competitività sul mercato mondiale, ma soprattutto consolidare
le posizioni raggiunte nel processo di integrazione monopolistica
europea, quale suo terreno privilegiato d'intervento, richiede il
dispiegamento delle "riforme di struttura" quale principale fattore
di sostegno delle politiche economiche dello Stato a fronte della
crisi.
"Riforma di struttura" già in cantiere da tempo ed oggi
inserite da questo Esecutivo in politiche di piano relative alla loro
portata organica, ma che essendo legate e complementari alla
più generale "modernizzazione" dello Stato e razionalizzazione
in senso capitalistico, sono attuate con difficoltà
richiedendo per il loro pieno dispiegamento il completo riassetto
dello Stato.
Una difficoltà che oltretutto deve fare i conti, in quanto le
"riforme di struttura" incidono pesantemente sulle condizioni di vita
del proletariato e nonostante i rapporti di forza ad esso
sfavorevoli, con una resistenza che dipende dagli equilibri
complessivi tra le classi; quindi la loro piena attuazione
richiederebbe un maggior grado di subordinazione del proletariato e
della classe operaia, cosa che rimanda al terreno politico delle
relazioni tra le classi.
Riordino dello Stato e attuazione delle "riforme di struttura"
confluiscono in questa fase sul terreno delle priorità
politiche e strategiche che la borghesia imperialista deve
affrontare, significativa in questo senso per il complesso di fattori
economici che investe è l'accorpamento di ministeri
fondamentali come Tesoro e Bilancio.
Compiti sui quali l'iniziativa politica dello Stato sta
rideterminando i termini dello scontro caratterizzando l'offensiva
sul proletariato.
E se il varo pur difficoltoso delle "riforme di struttura", a partire
da quella generale sul lavoro, costituisce l'elemento di scontro
immediato tra proletariato e borghesia, il processo pratico con cui
l'Esecutivo sta definendo la politica "costituente", costituisce
l'elemento principale e generale di scontro.
Data l'importanza che riveste l'attuazione di queste priorità
politiche, l'iniziativa dell'Esecutivo è sostenuta fortemente
anche dalle più alte cariche dello Stato, dagli organi
costituzionali e riceve un esplicito sostegno politico dai
rappresentanti di Confindustria più significativi come
frazione dominante di borghesia imperialista.
Un difficile terreno di governabilità che deve conciliare in
un equilibrio sempre precario l'avanzamento del riassetto dello Stato
senza che il governo nel contempo rischi di entrare in crisi.
Ciò, con la massima attenzione a rispettare la dialettica
formale con tutti i soggetti politico-istituzionali, a fronte dei
conflitti e dell'instabilità provocata dal processo di
riordino e dalla drasticità delle misure anticrisi sul
tappeto, le cui linee vengono portate avanti con un sistema di
relazioni politiche col proletariato che esplicitano al massimo il
meccanismo teso a confinare le istanze di classe sul terreno
ininfluente della legalità istituzionale, in particolare nello
sviluppo che hanno ricevuto i rapporti neocorporativi
Governo-Confindustria-Sindacati, aspetto portante della più
generale politica dello Stato in relazione all'attuazione delle
"riforme di struttura": dato qualificante questo Governo nelle sue
modalità operative, in cui la concertazione tra le parti
sociali viene presentata come il massimo della "democrazia" e del
"carattere popolare" del Governo stesso.
Un ambito centralizzato ed elastico che ha come supporto di tenuta
l'istituzione di tutta un'altra serie di filtri e misure (commissioni
di "raffreddamento" dei conflitti, leggi limitative e regolatrici
dello sciopero, ridefinizione della struttura contrattuale a tutti i
livelli...), che sono presenti fin dentro la fabbrica.
A partire dalla politica sui "Patti del Lavoro" con il famigerato
accordo del '93 che ha già modificato profondamente le regole
del mercato del lavoro nonché la condizione di lavoro in
fabbrica, l'obiettivo ricercato è travolgere conquiste di
portata storica nel rapporto capitale-lavoro, in quanto l'oggetto di
scontro che si gioca quotidianamente in una logica di accerchiamento
delle posizioni della classe operaia, è lo svuotamento
sostanziale di quegli istituti come il trattato nazionale e lo
Statuto dei Lavoratori ricollocati dentro la cornice
vincolante della filosofia neocorporativa e l'abbattimento delle
normative sul lavoro, conquiste costate anni di dura lotta.
La volontà di perseguire questi obiettivi, oltre a voler
fare della forza-lavoro la variabile dipendente e a basso costo del
mercato, ha anche il suo significato nel ristabilire un nuovo livello
di subordinazione del lavoro al capitale.
Lo scontro che investe i rapporti proletariato/borghesia,
Classe/Stato, risente di tutto il peso della funzione neocorporativa
svolta dai Sindacati, che si cala sul conflitto e sulla resistenza
del proletariato per svuotarla dei suoi contenuti di classe.
Un sistema di relazioni che immediatamente è teso ad
assicurare, rispetto alle contraddizioni dello scontro,
agibilità all'Esecutivo nell'esercizio del potere: modello
neo corporativo che è l'altra faccia della medaglia sul piano
delle relazioni sociali dello sbocco alla 2° Repubblica.
Un sistema di relazioni che affiancato dalle nuove forme di
rappresentanza politica con l'uso della più vasta democrazia
apparente che implicano, assolve ancor più alla funzione di
impermeabilizzazione del governo dal conflitto di classe; tenuto
conto che anche il nuovo schema bipolare del maggioritario assegna un
preciso ruolo alle rappresentanze istituzionali di classe che, pur
nel massimo della dialettica formale, tende a ricondurre le spinte di
classe sul terreno della compatibilizzazione istituzionale in un
assetto che rende ancor più subordinati e marginalizzati gli
interessi di classe stessi.
Un sistema di relazioni e rappresentanza che chiarisce la
collocazione politica ed il ruolo stesso di RC e del suo apporto
peculiare all'interno dell'area della maggioranza di Governo.
Un'attiva opera svolta nel tentativo di assorbire e rideterminare sul
terreno politico prettamente riformistico gli interessi di classe.
Interessi che vivendo nella crisi il massimo di divaricazione da
quelli della borghesia, vengono così rappresentati
necessariamente in forma puramente massimalista: da qui il
carattere politico fondamentale di RC.
Carattere politico che avendo come piano di riferimento istituzionale
il "bipolarismo" si traduce in un'azione politica improntata al
pragmatismo che fa emergere quanto di fatto siano risicati i
margini di una politica riformista.
Un sistema di relazioni politico e sociale che nello stesso tempo
dispiega le funzionalità antiproletarie e di arginamento
dell'antagonismo di classe degli apparati di potere dello Stato, per
come essi oggi si collocano nel riordino complessivo dello Stato.
Modifiche sostanziali che chiariscono come ogni passaggio nel
processo di rafforzamento dello Stato sia connaturato
dall'approfondimento di tutti i termini antiproletari e
controrivoluzionari nelle relazione con la classe.
Un dato che ha a che fare anche con gli impegni della borghesia
imperialista nostrana sul piano internazionale. Se sul piano
economico si sono sempre più rilevate irrisorie le soluzioni
adottate, di fatto ciò che è stato prodotto è
stata un'accelerazione nella ridefinizione di una nuova divisione
internazionale del lavoro e dei mercati quale unica condizione per
riavviare il ciclo capitalistico internazionale.
Una ridefinizione non certo pacifica ma al cui interno sono maturati
i passaggi di sviluppo della tendenza alla guerra con il progressivo
intervento bellicista di tutti i paesi del centro imperialista sulle
linee di fronte aperte dall'offensiva imperialista nel suo complesso,
che trova il suo punto catalizzatore proprio nel cuore dell'Europa,
come la guerra in Jugoslavia e l'attuale allargamento della NATO ed
Est dimostrano, mettendo in chiaro come la contraddizione Est-Ovest
sia il massimo punto di condensazione dei fattori di crisi e linea
direttrice dello sviluppo della tendenza alla guerra.
È all'interno di tale contesto, nei salti e nelle rotture
degli equilibri internazionali che si sono date i salti di
qualità nelle funzioni e ruolo del nostro paese in campo
internazionale all'interno della più complessiva strategia
NATO; condizione necessaria per avere anche un proprio spazio
d'influenza.
Un piano che ha contribuito a stabilire il terreno di confronto fra
le classi, poiché per lo Stato governare questa fase rimanda
alla "pacificazione del fronte interno" rispetto alle prospettive di
guerra.
Pacificazione che trova la massima attivizzazione dei meccanismi
propri della controrivoluzione.
Le tappe che hanno scandito l'intervento bellicista italiano - dalla
guerra all'Iraq del '90, all'ultimo intervento contro l'insurrezione
popolare albanese - hanno visto la progressiva messa in campo di
tutto lo strumentario controrivoluzionario e di contenimento delle
contraddizioni sul "fronte interno", con una campagna costante di
criminalizzazione preventiva del "nemico esterno" fino ad arrivare
alla decretazione dello "stato d'emergenza" accanto alle solite
misure di controllo e repressione su tutto il territorio nazionale,
già normalmente attivate in passato.
Un complesso di piani di contraddizioni a cui la borghesia deve far
fronte che dimostrano come sia profonda la sua crisi e come essa
"non possa più vivere come in passato": un elemento di
cronica instabilità politica e uno dei fattori di carattere
generale per una possibile trasformazione della crisi della borghesia
in crisi rivoluzionaria.
In questo quadro la ricercata stabilità politica, stante la
dinamicità dello scontro, è sempre una condizione
relativa e reversibile rispetto all'approfondimento del rapporto
rivoluzione/controrivoluzione nel piano di scontro Classe/Stato.
In questo senso la stabilizzazione del potere della borghesia in
crisi rimane un problema tutto aperto, un stabilizzazione che, ben
oltre i rapporti di forza a suo favore, richiede come necessario
complemento di ristabilire in ogni ambito della vita sociale, nei
rapporti di classe più approfonditi termini di dominio
politico e ideologico.
Lo Stato quale organo della dittatura borghese, nel rapporto con
il proletariato riflette nella sostanza i livelli di
controrivoluzione stabilitisi storicamente nel corso dello scontro di
classe e rivoluzionario. Il problema per la borghesia non è
tanto la lotta di classe in sé, ma la coscienza che questa
possa trasformarsi in lotta per il potere.
Il problema per la borghesia è impedire tale possibile
maturazione, perciò le politiche di controrivoluzione non sono
solo contro l'avanguardia rivoluzionaria, ma vengono incorporate in
controrivoluzione preventiva negli apparati e organismi politici
della democrazia rappresentativa, nel loro modo di convogliare e
compatibilizzare nell'ambito istituzionale le spinte del conflitto di
classe.
Questa in generale la sostanza del regime democratico borghese nel
rapporto con la classe.
La mistificazione borghese e revisionista sul concetto di democrazia
è invece teso a spacciare il raggiungimento dell'"alternanza"
come superamento del "blocco della democrazia", derivato e in parte
giustificato dall'epoca ormai trascorsa della divisione del mondo in
blocchi contrapposti.
Niente di più falso e mistificante, perché colloca
all'esterno una problematica tutta interna al conflitto di classe in
Italia, che è altra cosa dal giusto rapporto che intercorre
tra la lotta di classe interna e la sua relazione con i fattori di
scontro internazionali, a maggior ragione nel contesto integrato
della catena imperialista in cui è inserita l'Italia. Il
regime democratico italiano ha visto uno sviluppo che per certi versi
lo ha posto all'avanguardia tra i paesi imperialisti proprio nella
qualità espressa nell'attivizzare i meccanismi di recupero
istituzionale delle contraddizioni di classe.
Non soffocando i caratteri della democrazia rappresentativa ma, nel
misurarsi col conflitto di classe, ha esercitato il binomio
mediazione-annientamento con forme peculiari nel governo dello
stesso.
Forme che si sono sviluppate ed affinate a partire dalla relazione
che si è stabilita tra rivoluzione e controrivoluzione per il
processo rivoluzionario aperto dalle BR in Italia, dato politico
quest'ultimo non ricomponibile, attuale e dominante le relazioni di
scontro tra Classe e Stato sul terreno rivoluzionario del potere e
perciò esso stesso filo a piombo a partire dal quale lo Stato
rimodella i propri caratteri di controrivoluzione preventiva.
L'attività delle BR lungo la direttrice di attacco al cuore
dello Stato, ovvero laddove si determina la ridefinizione dei
rapporti politici tra Classe e Stato, dei rapporti di forza, delle
modalità di governo relative alla mediazione politica,
è l'asse principale su cui si è definita
l'identità stessa delle BR, nonché si è
precisato il concreto modo di procedere della guerra di classe nelle
metropoli imperialiste e, al cui interno le BR hanno collocato il
loro ruolo di direzione politica: la questione del Partito come
processo di costruzione-fabbricazione delle condizioni stesse della
guerra di classe e della direzione politica idonea a farvi fronte.
In questo senso "l'agire da Partito per costruire il Partito"
contrassegna l'intero arco della prassi delle BR dalla fase di
"Propaganda Armata" all'attuale fase di "Ritirata Strategica". Questi
2 elementi strutturali della strategia delle BR unitamente alla
proposta della lotta armata a tutta la classe, materializzata
attraverso una linea di massa politico-militare, per linee interne
all'Autonomia di Classe (ma non suo prolungamento armato), funzionale
a disporre e organizzare le forze a seconda delle necessità
delle diverse fasi rivoluzionarie, costituiscono i 3 elementi di
fondo che hanno determinato i termini di sviluppo del processo di
guerra di classe di lunga durata, per contro, modellate le
peculiarità del più generale rapporto
rivoluzione/controrivoluzione, le sue modalità di
dispiegamento.
Un andamento della guerra di classe che ha costretto i diversi
aspetti delle politiche dello Stato ad una stretta interrelazione:
non più momenti separati tra atti repressivi, atti politici,
atti legislativi ma, nel più generale contesto della
controrivoluzione preventiva il processo controrivoluzionario ha
maturato un intervento politico complessivo che attraversa tutte le
politiche antiproletarie e tutti i diversi piani di rapporto tra le
classi.
Un'evoluzione del rapporto rivoluzione/controrivoluzione che ha
aperto alle diverse fasi rivoluzionarie che hanno scandito il corso
del processo rivoluzionario, fasi modellate dal complesso delle
necessità politiche determinate dalla dinamica:
attività d'avanguardia-scontro di classe-controrivoluzione
dello Stato.
Elementi che hanno contribuito a definire il quadro di scontro
più generale e al contempo chiarito l'impossibilità di
uno sviluppo lineare e progressivo della guerra di classe e come le
fasi stesse siano la risultanza effettiva dello scontro
rivoluzionario e di classe di contro allo Stato, rapporto di scontro
che modifica gli equilibri dei fattori in lotta.
Ciò fa si che il processo rivoluzionario sia continuamente
segnato da salti e rotture dalle precedenti condizioni dello scontro,
ma questo non vuol dire affatto il venir meno della sua
praticabilità e l'azzeramento dei fattori politici che gli
presiedono e danno sviluppo.
Il dato politico strategico della guerriglia in special modo la
direzione impressagli dalla teoria-prassi delle BR; l'Autonomia di
Classe e la dialettica che con esso è riuscita a costruire la
proposta della strategia della lotta armata a tutta la classe, sono
fattori concreti e vigenti anche in questa fase di scontro.
Sono i fattori politici di qualità che in generale determinano
nel concreto dello scontro odierno la dinamicità dei rapporti
di forza generali fra le classi, il fatto che questi ultimi non siano
immediatamente riconducibili al dato contingente.
In concreto L'Autonomia di Classe, seppur sui terreni imposti
dalla borghesia, nella situazione di arretramento del campo
proletario nei rapporti di forza (elementi che hanno disegnato la
condizione di scontro e i passaggi in cui si è espressa la
stessa resistenza di classe), è stata il fattore politico
intorno a cui ha ruotato la spinta conflittuale di classe e i
tentativi di organizzazione al di fuori delle gabbie neocorporative e
sindacali.
Fattore politico che, se anche di per sé non è
sufficiente a ribaltare i rapporti di forza tra le classi, risulta
però il dato politico, relativamente al piano di scontro
proletariato/borghesia, da cui scaturiscono le difficoltà
dello Stato a ricomporre i rapporti conflittuali con il proletariato
e governare in maniera indolore e lineare il conflitto di classe,
lì dove, la stabilizzazione delle relazioni neocorporative sul
piano formale, non può certo corrispondere una dinamica
conflittuale incompatibile con essa, in quanto suo punto di
squilibrio.
Autonomia di Classe che, se ha assunto forme mutevoli in relazione ai
terreni su cui si è misurato il movimento di resistenza e per
il mutato quadro dei rapporti tra le classi, ha riaffermato la
centralità della classe operaia e la maturità delle sue
espressioni antistituzionali, antistatuali e consequenzialmente
antirevisioniste, in continuità con la sua tradizione.
Uno spessore politico, quello dell'Autonomia di Classe, che è
tale anche per il legame dialettico con l'attività delle BR.
Cioè la dialettica attività delle BR/Autonomia di
Classe ha sedimentato una base di qualità che permane e si
riproduce nel rapporto di scontro tra campo proletario e Stato.
Un livello di maturazione politica dello scontro di classe che, per
quanto possano essere profondi i ripiegamenti delle posizioni
rivoluzionarie e l'arretramento del campo proletario, costituisce un
elemento costante del piano di scontro Classe/Stato che si riflette
nella mediazione politica e non è eliminabile nella sua
sostanza dalla stessa controrivoluzione che può contribuire a
ridimensionarne il peso relativamente ai rapporti di forza generali,
ma senza per questo eliminarne la sua influenza sul piano di scontro.
Spessore politico che sul piano rivoluzionario è il portato
della prassi delle BR, la quale risalta per aver contribuito al
fallimento dei progetti della borghesia più antiproletari e
controrivoluzionari, facendo avanzare dal punto di vista strategico,
intorno alla questione fondamentale e determinante della strategia
della lotta armata come asse portante del processo rivoluzionario, la
guerra di classe sull'obiettivo della conquista del potere.
In ciò qualificando i caratteri dello scontro rivoluzionario
da cui non è più possibile prescindere e che presiedono
anche l'attuale fase rivoluzionaria, nonostante il carattere di
estrema discontinuità e ripiegamento delle posizioni
rivoluzionarie in cui si situa anche l'assenza di attività
combattente delle BR.
Fase rivoluzionaria definita dalle BR come Fase di Ricostruzione di
forze proletarie e rivoluzionarie e di costruzione degli strumenti
politici-organizzativi idonei ad attrezzare il campo proletario nello
scontro prolungato contro lo Stato, aperta dalle BR intorno alla
seconda metà degli anni '80, nella consapevolezza di dover
precisare la conduzione della guerra di classe, la qualità
della direzione in essa e la relativa disposizione-organizzazione
delle forze in campo, per essere all'altezza dei compiti determinati
dalla complessità dello scontro di classe che lo stesso
sviluppo del processo rivoluzionario ha contribuito a determinare.
Un riadeguamento finalizzato alla risoluzione della Fase generale di
Ritirata Strategica (entro cui la Fase di Ricostruzione è
collocata).
Nulla a che vedere quindi con concezioni difensivistiche che misurano
l'ordine dei problemi al puro dato organizzativo del momento dentro
le condizioni di ripiegamento interpretato come dato dominante in
sé.
Termini politici-organizzativi e criteri rispondenti a sostenere lo
sviluppo del lavoro rivoluzionario sui 2 cardini programmatici
fondamentali: l'attacco al cuore dello Stato, inteso come attacco
alla contraddizione dominante tra Classe e Stato nella congiuntura e
l'antimperialismo nella promozione del Fronte Combattente
Antimperialista, sull'indirizzo di attacco alle politiche centrali
dell'imperialismo nella nostra area geopolitica in una politica di
alleanza volta a determinare il più vasto schieramento
combattente contro il nemico comune e dare sostanza in questa fase
all'Internazionalismo Proletario.
Assi programmatici di attacco intorno cui c'è stata una
migliore comprensione della guerra di classe, delle leggi che la
governano, dei criteri e modalità del lavoro rivoluzionario,
in definitiva della stessa strategia della lotta armata.
Il ripiegamento delle posizioni rivoluzionarie, l'arretramento
prodottosi nel campo proletario nell'impatto con la
controrivoluzione, il dover fare fronte ai termini di approfondimento
dello scontro determinati dal salto di qualità avviato dalla
borghesia nel complesso delle relazioni tra le classi e nelle
funzioni dello Stato, condizionano i diversi piani d'intervento a cui
contemporaneamente deve essere data soluzione nell'attività
rivoluzionaria.
Espletare i termini della Fase di Ricostruzione, relazionandola alla
difensiva di classe, allo stato politico delle forze rivoluzionarie e
d'avanguardia, comporta la necessità di bilanciare
continuamente il ricucimento delle condizioni fondamentali
dell'azione rivoluzionaria, erose costantemente dalla
controrivoluzione, col loro necessario elevamento al grado richiesto
dallo scontro.
Un processo che, lontano dal seguire un percorso lineare deve fare i
conti con le contraddizioni di carattere generale prodotte nello
scontro dall'impatto con lo Stato e con la necessità di
ricostruire costantemente forza politica e materiale e al contempo
dare assestamento politico-organizzativo ai livelli raggiunti.
Una dinamica complessa e difficile per i molteplici piani a cui
l'avanguardia deve rispondere e per il quadro di contraddizioni a cui
deve dare soluzione; tenendo conto che questo processo investe il
come si opera iniziativa rivoluzionaria, il come ci si
organizza a tal fine e il come si va ad organizzare, disporre
e formare le forze disponibili.
Cioè investe i criteri politici e le
modalità che fanno vivere gli indirizzi politici di
combattimento, la costruzione di organizzazioni di classe, la
direzione politico-militare su di essa, la costituzione di quadri
politico-militari e l'idonea disposizione generale delle forze.
Elementi che non vivono piani e/o tempi separati, ma devono essere
affrontati e risolti contemporaneamente e funzionalmente al piano
strategico nell'attivizzare le forze in riferimento alle esigenze del
momento, traducendole in livelli sempre più stabili
d'organizzazione.
Un complesso di aspetti politici che devono sempre trovare la loro
soluzione sul piano dell'unità del politico e del militare.
Cosa che oggi ancor più di ieri rende sterile qualsiasi
scorciatoia semplicistica.
Per quanto l'arretramento crei problemi di assestamento allo stato
stesso delle forze rivoluzionarie, questo assestamento deve
realizzarsi nelle condizioni date dal rapporto
rivoluzione/controrivoluzione stabilitosi e rende improponibile il
ritorno a fasi di scontro passate.
Un assestamento politico-organizzativo che ha la sua base di
risoluzione possibile nel riferimento agli indirizzi politici e
progettuali delle BR, fuori da questa relazione c'è solo il
soggettivismo politico in tutte le sue varianti.
Una considerazione tanto più valida di fronte al maturare
di logiche politiche difensivistiche figlie di questa situazione che
ne esprimono sul piano soggettivo tutti gli elementi di debolezza,
poiché al di là della "forma politica" che assumono si
sottraggono di fatto ai compiti che lo scontro richiede.
Posizioni soggettivistiche prodotto dell'interiorizzazione della
propria condizione di debolezza che hanno come effetto, in ultima
istanza, di pesare in termini di "regresso politico" sulle condizioni
soggettive dello scontro aprendo spazi politici a tutti i tipi di
opportunismo e influendo negativamente sulla stessa condizione di
arretramento. Una dinamica che le BR hanno ben individuato nel corso
del processo rivoluzionario, soprattutto nelle sue fasi più
difficili.
Il rafforzamento dello Stato nelle sue linee essenziali si traduce
in una irregimentazione e compressione delle contraddizioni che la
sua stessa crisi politica, che le sue presunte soluzioni
approfondiscono rispetto a tutti i piani di conflitto, e che gestisce
col supporto di politiche controrivoluzionarie a vasto raggio che
fanno si che le manifestazioni politiche della sua crisi siano il
meno possibile evidenti, ma non certo scomparse.
Nella definizione di una rinnovata stabilizzazione e formalizzazione
del proprio potere, lo Stato preme sulla condizione di arretramento
del campo proletario e ripiegamento delle posizioni rivoluzionarie
per farne una propria base di forza, non solo oggettiva, ma in cui al
rafforzamento dello Stato deve corrispondere un tessuto nelle
relazioni tra le classi che risponda e sia il più possibile
compatibile a quanto viene rimodellato, cioè dia sostanza e
non solo formalità alle trasformazioni da codificare sul piano
Classe/Stato.
Le politiche di pacificazione, inquadrate in tale esigenza politica generale sono il veicolo attraverso cui viene modellato concretamente il terreno dell'irregimentazione delle contraddizioni e della relazione Classe/Stato.
Politiche di pacificazione i cui indirizzi sono rigidamente
centralizzati all'Esecutivo, dove al massimo di repressione
(sostenuta da un clima lealista), per contenere le istanze di classe,
corrisponde un quadro di norme e filtri politici che imprimono una
direzione di marcia "obbligata" compatibile e vincolante modi e forme
della dinamica conflittuale.
È su questi presupposti che trova senso e si articola la
politica di pacificazione incarnata dalla campagna sull'"indulto ai
prigionieri politici", politica attiva dello Stato funzionale
all'attuale situazione in riferimento al nodo fondamentale
dell'ipotesi rivoluzionaria, attraverso cui rimodellare l'antagonismo
di classe: lo Stato agisce preventivamente e sul piano essenzialmente
politico per pesare nell'immediato sulle dinamiche di aggregazione e
riorganizzazione proletaria e rivoluzionaria.
Una politica dello Stato che tiene ben presente sia quanto
maturato nell'attacco portato alle BR e all'avanguardia comunista
combattente, sia il grado di incisività ed internità
della proposta rivoluzionaria sui termini attuali dello scontro di
classe, nella costante necessità di indebolire il progetto
rivoluzionario per farlo apparire agli occhi della classe come
impraticabile e, al tempo stesso, riaffermare la democrazia borghese
come forma di dominio sana, insuperabile, vitale.
Si tratta di pesare al massimo sul tessuto rivoluzionario, sulle
avanguardie di classe e sulla classe stessa sia in termini di
deterrenza che di sfiducia e rassegnazione con lo scopo di spezzare
quel rapporto dialettico tra i settori più avanzati
dell'autonomia politica di classe e la proposta strategica della
lotta armata.
Per lo Stato questa politica è finalizzata in ultima istanza
alla legittimazione delle forme di potere nella svolta alla 2°
Repubblica e su questo terreno assumono un ruolo rilevante le
maggiori forze politiche e le più alte cariche istituzionali
nel veicolarne il carattere pacificatorio e normalizzatore.
Su un altro piano si muovono un contesto di forze parlamentari e non
che rispetto alla propria collocazione nello scontro sono tese a
ritagliarsi degli spazi specifici che ne fanno soggetti attivi della
gestione di questa campagna, il cui ruolo va a ruotare intorno al
terreno posto dallo Stato e ne diventa elemento di sostanziale
legittimazione.
Esempi non ne mancano, da RC che nel suo ruolo di rappresentanza
istituzionale gestisce questa politica sul piano di classe per
ricollocarne contenuti ed espressioni nell'ambito di legittimazione
del proprio ruolo nell'attuale assetto dell'"alternanza"; ai "circoli
del movimento" in cui l'uso della parola d'ordine della "liberazione
dei prigionieri" è in realtà teso alla rimozione del
problema della guerra di classe, una rimozione ricercata
nell'illusione di potersi ritagliare spazi di sopravvivenza politica
in cui essi non debbano fare i conti con i livelli raggiunti dallo
scontro.
Si vuole cioè il ritorno ad una presunta "normalità"
dello stesso, come se fosse davvero possibile che, con la
"liberazione dei prigionieri", ci si possa liberare
dall'approfondimento avvenuto nel rapporto
rivoluzione/controrivoluzione.
Come se fosse davvero possibile far decadere le leggi d'emergenza da
tempo ormai divenute, anzi approfonditesi, l'ordinario inasprimento
dello scontro di classe.
Poco importa se dentro a questa logica il proletariato non
dovrebbe più avere nello sviluppo della lotta armata la
possibilità di organizzare la sua liberazione dal dominio
della borghesia imperialista.
In ciò si esplicita tutta l'ambiguità di una parola
d'ordine che non essendo frutto dell'avanzamento delle posizioni
rivoluzionarie e di classe (anzi formandosene fuori) finisce per
contrapporre la liberazione dei prigionieri militanti della
guerriglia alla liberazione del proletariato, svelando così la
sua genesi opportunista di teorizzazione della sconfitta, volendo
fare della lotta armata persino un prodotto revisionista adattabile
all'attuale condizione politica del "movimento".
Su questo terreno l'arco delle varianti è ampio dagli
"storicisti" agli "sprigionatori", ma tutto sommato pur nelle proprie
esigenze e collocazioni specifiche, fanno sempre riferimento
obiettivamente ad un indirizzo dove lo Stato fa da apripista.
Altra questione invece riguarda quei settori di sinistra proletaria
che in riferimento alla propria dimensione di classe, espressioni di
realtà proletarie, si misurano in questa campagna collocando i
prigionieri (per ciò che essi rappresentano) nello
schieramento di classe, facendo di questa campagna un momento di
riaffermazione della propria identità di classe e di
resistenza proletaria in rapporto ai propri bisogni politici.
Se è indubbiamente vero che la loro presenza fa da contraltare
agli opportunismi più beceri, finalizzati alla sopravvivenza e
"visibilità politica" è ancor più vero che gli
indirizzi di questa campagna non possono essere revisionati rispetto
agli argini posti dallo Stato, rigidi e ben finalizzati a
stabilizzare (magari consensualmente) l'irregimentazione vigente
delle relazioni conflittuali con la classe.
Per questo nonostante le tensioni politiche antiopportuniste di cui
sono portatori, che hanno il pregio comunque di far vivere
problematiche ed esigenze di classe interne allo scontro odierno
accanto a queste campagna impropriamente detta di "libertà"
questi settori di sinistra proletaria si misurano su un terreno
fuorviante e fortemente strumentalizzabile perché
sostanzialmente di natura antiproletaria.
La consapevolezza sulla collocazione e natura politica del
"progetto di indulto" e della campagna di "libertà per i
prigionieri politici" che l'accompagna, ci ha imposto un netto
pronunciamento in quanto si palesano chiaramente come eventi
contrapposto l'uno e separata l'altra dal piano di classe
rivoluzionario.
Tale campagna rappresenta posizioni che non hanno mai avuto legami
con le tematiche, i criteri, le conquiste rivoluzionarie della
guerriglia e dell'Autonomia di classe, motivo per cui sono destinate
ad essere risucchiate nell'orbita della compatibilizzazione nel
sistema politico borghese, in logiche paraistituzionali.
Evento che pertanto non ha né rilievo né attinenza in
positivo con la situazione di classe, men che meno con quella
rivoluzionaria.
Noi come militanti delle BR e militanti rivoluzionari non possiamo
che essere intransigenti verso questa demagogica "campagna di
libertà" perché l'unica libertà che
rivendichiamo è quella del proletariato dal potere della
borghesia, dalla schiavitù capitalistica.
Siamo quindi indisponibili rispetto a qualunque coinvolgimento delle
nostre figure a qualsiasi giustificazione o mistificazione di
"iniziative" che vivono politicamente nella palude del compromesso e
della conciliazione con la borghesia imperialista, in quanto queste
iniziative esplicano posizioni che perseguono, pur in forma altamente
mistificata, la pacificazione dello scontro e la conclusione della
guerra di classe di cui la liberazione dei prigionieri diverrebbe
suggello.
In realtà si tratta di pii desideri e non solo perché
nessun "indulto" o "soluzione politica" che sia può incidere
sulle ragioni della lotta armata che, essendo stabilmente il fattore
principale dello scontro, peraltro alimentato dalle contraddizioni
fondamentali dell'imperialismo, rimane la sola soluzione sul terreno
del potere ai bisogni politici del proletariato nelle metropoli
imperialiste.
Ma anche perché non c'è pacificazione possibile con lo
Stato della borghesia imperialista, col suo sistema di oppressione e
sfruttamento, motivo per cui l'inconciliabilità tra i
rivoluzionari e lo Stato ha radici estirpabili solo con
l'eliminazione della borghesia come classe dominante e, più in
generale: può forse il proletariato pacificarsi col sistema di
sfruttamento che lo tiene subalterno su ogni piano della sua
esistenza di classe?
Quindi la pacificazione che permea la "campagna di libertà"
riguarda quelle posizioni conciliatorie e resaiole figlie della
logica della sconfitta che oggi vanno tanto per la maggiore.
Ma per quanto questa campagna venga agitata è null'altro che
un polverone confuso destinato ad essere mera eco delle politiche
dello Stato, ininfluente rispetto alle linee trainanti dello scontro.
E questo perché la forza principale dello scontro, anche in
questa fase di difficoltà della guerriglia non è la
borghesia imperialista e il suo Stato che esercitano il potere
all'interno di una crescente crisi, crisi non solo economica ma anche
di legittimazione politica di un sistema di sfruttamento che produce
impoverimento, barbarie e guerra.
La forza principale destinata a segnare il futuro dello scontro resta
la rivoluzione, la sua forza motrice, la classe operaia, in quanto
è questa la classe oggettivamente e soggettivamente motore del
ribaltamento rivoluzionario.
E se certo nella fase attuale non ha la forza di far pesare
politicamente la resistenza e le mobilitazioni che mette in piedi,
ciò nulla toglie alla sua capacità di trovarsi sempre
nei momenti decisivi protagonista dello scontro, stante le sue
caratteristiche politiche e di lotta storiche, per cui può
anche subire le politiche neocorporative e le iniziative revisioniste
senza che queste posizioni possano penetrarla realmente.
In sintesi, il nostro interesse è legato al perseguimento
degli interessi generali della classe operaia e del proletariato.
La liberazione del proletariato dal sistema di potere della borghesia
imperialista è l'unica questione di sostanza storica e
politica che ci riguarda, in cui si esplicano in tutta evidenza le
motivazioni della guerriglia come strategia politico-militare per la
conquista del potere, nella quale l'avanzamento della lotta armata
nella Fase di Ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie
è lo snodo reale su cui gli interessi e i bisogni politici di
classe possono trovare risposta. Pertanto per quanto ci riguarda non
abbiamo niente a che fare con questa sorta di liberazione.
Attaccare e disarticolare il progetto antiproletario e controrivoluzionario di riforma dello stato che evolve verso la seconda repubblica
Organizzare i termini politici-militari per ricostruire i livelli necessari allo sviluppo della guerra di classe di lunga durata
Attaccare le politiche centrali dell'imperialismo, dalla linea di coesione europea ai progetti di guerra diretti dalla Nato che si dispiegano in questo momento lungo l'asse dei paesi dell'Est Europa e sulla regione mediterranea-mediorientale.
Lavorare alle alleanze necessarie alla costruzione del fronte combattente antimperialista
Onore a tutti i compagni e combattenti antimperialisti caduti.
21 ottobre 1997
I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione
del Partito Comunista Combattente:
Giuseppe Armante, Maria Cappello, Tiziana Cherubini,
Enzo Grilli, Franco Grilli, Franco La Maestra,
Flavio Lori, Rossella Lupo, Fausto Marini, Fabio Ravalli.
I militanti rivoluzionari:
Vincenza Vaccaro, Marco Venturini