RESMYE JEBEL è uscita da pochi mesi dal Khiam, dove ha trascorso diversi periodi di detenzione. Il campo di detenzione del Khiam, anche se gran parte del lavoro sporco viene svolto dalla milizia di Antoine Lahad, è fino in fondo un tipico carcere israeliano, non solo perché è controllato dagli israeliani, ma anche perché le pratiche di tortura fisica e psicologica dei prigionieri sono assolutamente identiche a quelle a quelle di tutte le carceri israeliane in Palestina.
A Resmye Jebel come prima cosa abbiamo chiesto di raccontarci la sua esperienza al Khiam.
R. J. - Prima di parlare della vita in carcere voglio parlare
della vita quotidiana nei territori libanesi occupati da israele.
L'occupazione ha sconvolto la nostra vita, non abbiamo più
potuto usufruire dei nostri servizi sanitari e per qualsiasi nostro
spostamento, compresi quelli per andare a lavorare nei campi, la
nostra principale fonte di sopravvivenza, abbiamo iniziato a
dipendere dai permessi israeliani.
Sono iniziate le perquisizioni e le intimidazioni: una delle
abitudini preferite degli israeliani è quella di passare di
notte a bussare alle porte della gente dicendo di essere della
Resistenza.
Se rispondi naturalmente vieni arrestato, se non rispondi e il giorno
dopo non vai a denunciare che è passato qualcuno della
Resistenza vieni arrestato ugualmente. Io sono stata arrestata per la
prima volta nell'86.
Sono stata portata davanti ad un ufficiale e a due soldati
israeliani che hanno iniziato ad interrogarmi.
Alla fine mi hanno chiesto di diventare una collaboratrice.
Quando ho rifiutato mi hanno minacciato di abbattere la mia casa e di
arrestare tutta la mia famiglia.
L'interrogatorio è durato due giorni e poi sono stata
rilasciata dal carcere e messa agli arresti domiciliari.
Tutti nel villaggio sono stati minacciati di arresto se avessero
parlato con me. Nell'89 hanno arrestato mio fratello e picchiato
tutta la mia famiglia.
Dopo poco hanno arrestato anche mio padre e da quel momento le
perquisizioni e i pestaggi sono stati pressoché
quotidiani.
Mia nipote a causa dello stress legato a queste continue aggressioni
soffre di gravi problemi psichiatrici, probabilmente irreversibili.
Poco dopo mi hanno arrestata di nuovo e mi hanno portata al Khiam,
dove tre donne soldato israeliane mi hanno incappucciata con un sacco
nero di plastica dall'odore schifoso e mi hanno legato le mani.
Per umiliarmi, visto che sono religiosa, durante la perquisizione mi
hanno tolto il velo di fronte agli uomini.
Poi sono stata portata all'interrogatorio che è durato oltre
12 ore, finché hanno portato 2 fili elettrici e hanno iniziato
con le scosse elettriche sulle mani e sul seno.
La tortura con l'elettricità era resa ancora più
atroce dalla minaccia di violentarmi di fronte alla mia famiglia.
Erano 2 soldati israeliani a interrogarmi e torturarmi.
Alla fine sono stata portata in una cella di nemmeno 70 centimetri e
il mattino dopo, alle 6, è ricominciato l'interrogatorio con
le stesse torture del giorno precedente, ma molto più intense,
ad esempio le scosse elettriche erano rese più efficaci e
dolorose bagnando la pelle con acqua fredda e calda.
Alle scosse elettriche seguivano pestaggi di vario genere e
simulazioni di impiccagioni che si interrompevano solo al limite
dello strangolamento; ogni tanto facevano delle pause portandomi in
bagno e costringendomi a inginocchiarmi e ad infilare la testa nel
cesso.
E' stato così tutti i giorni, per oltre un mese.
La notte, quando pioveva, le guardie entravano nelle celle e ci
portavano fuori e ci facevano stare sotto la pioggia, bendate.
Quando è finito il periodo dell'interrogatorio, la
situazione non è migliorata: non solo non sono migliorate le
condizioni fisiche, ma in ogni cella c'era una collaboratrice.
Nella mia cella eravamo in 6 e dovevamo dividere 2 litri d'acqua al
giorno per bere e per lavarci.
In questa situazione le malattie erano inevitabili: molte malattie
della pelle ma anche problemi intestinali, reumatici, ginecologici
ecc.
Le cure mediche ci sono state totalmente negate.
La situazione era ancora più dura per le anziane: molte di
loro soffrivano di cuore e non erano in grado di sopportare né
la tortura, né l'interrogatorio, ma venivano ugualmente
torturate, e quando svenivano venivano picchiate finché non si
svegliavano, veniva dato loro del valium e l'interrogatorio e la
tortura ricominciavano.
A causa dei pestaggi e delle scosse elettriche la nostra pelle cadeva
a brandelli, e questo rendeva tutto ancora più doloroso. Il
cibo era marcio e pieno di insetti, ma noi mangiavamo lo stesso
perché volevamo sopravvivere.
Mi chiedo dove sono tutte queste associazioni per i diritti umani
di cui sento parlare.
Dopo che sono uscita dal Khiam, io e le mie compagne ci siamo rivolte
alla Croce Rossa e ad altre associazioni, ma senza alcun
risultato.
Tra l'altro la maggior parte dei prigionieri del Khiam non ha nemmeno
svolto attività nella resistenza: si tratta di civili che
vengono presi nel tentativo di farne dei collaboratori, di familiari
di combattenti, di gente qualsiasi.
Ci sono organizzazioni di base libanesi che si occupano della situazione dei prigionieri del Khiam?
R. J. - Fino al 92 solamente Hezbollah si è occupato della situazione del Khiam, dopo è nata l' "Associazione per i detenuti del campo di concentramento del Khiam", che cerca di sensibilizzare l'opinione pubblica internazionale, ma anche nazionale, visto che pare che molti libanesi non sappiano o fingano di non sapere che questo carcere si trova a pochi Km. dalle loro case.
All'interno del carcere sono state tentate forme di organizzazione tra i prigionieri?
R. J. - No, le condizioni non lo permettono, ma l'associazione di cui parlavo è stata creata da ex prigionieri ed è il punto di riferimento dei prigionieri che escono dal Khiam.
Qual'è la divisione del lavoro all'interno del carcere tra l'esercito israeliano e l'E. S. L. ?
R. J. - Gli israeliani danno gli ordini e le guardie di Lahad li
eseguono.
Gli israeliani controllano i prigionieri e prescrivono se aumentare o
mantenere stazionaria la tortura.
Non ci sono dubbi su chi comanda!
Il segretario generale di Hezbollah, Nashrallah, ha sfidato Lahad a
iniziare la trattativa per la fine del conflitto se veramente ha un
minimo di potere.
Ma naturalmente sono gli israeliani che decidono cosa fare.