Uscirà in Italia nei prossimi mesi il libro di Ahmed Qatamesh: "No, non metterò il vostro cappello", scritto nelle celle delle carceri israeliane.
Questo libro rappresenta senza dubbio una dura denuncia contro il
sistema carcerario e le modalità di interrogatorio, ma
è allo stesso tempo un contributo per incrementare la lotta
contro l'arresto del pensiero, nella convinzione che l'isolamento, le
sbarre, le manette non potranno mai impedire il divulgarsi delle idee
e dei valori rivoluzionari.
Qatamesh rifiuta di piegarsi, nonostante le pressioni e le torture,
ed affronta il suo interrogatorio con estrema lucidità,
continuando ad affermare le proprie idee di combattente.
Amhed Qatamesh è un detenuto politico amministrativo.
Questo tipo di detenzione è prevista solamente in
Palestina.
L'arresto amministrativo consente al ministero della difesa di
arrestare qualsiasi individuo (palestinese!) considerato pericoloso
per la sicurezza dello stato senza dover fornire all'accusato le
motivazioni dell'arresto né consentire lo svolgimento di un
regolare processo o dare la possibilità di appellarsi tramite
un ricorso.
La detenzione amministrativa è stabilita inizialmente per un
periodo massimo di sei mesi, rinnovabile però da parte del
ministero a tempo indeterminato.
Carceri come quello di Ansar 3 sono veri e propri simboli della
repressione sionista contro il popolo palestinese.
Le condizioni carcerarie sono pessime, sia per ciò che
riguarda le modalità di svolgimento di vita all'interno, sia
per il livello sanitario e igienico in cui si vengono a trovare i
prigionieri.
Rientrano nella normalità della vita carceraria misure
disciplinari quali il sovraffollamento, la costrizione a stare in
piedi o gli appelli , fatti tre volte al giorno, principalmente
durante le ore notturne.
I prigionieri sono costantemente sottoposti a torture fisiche e
psicologiche.
Si va dal pestaggio dei carcerati, all'isolamento degli stessi nelle
celle di punizione , fino all'uso delle armi da fuoco e all'uccisione
intenzionale dei detenuti che si rifiutano di adattarsi alle
condizioni carcerarie o che protestano per motivi anche futili.
I detenuti sono privi di qualsiasi assistenza sanitaria, pur trovandosi spesso in condizioni estremamente critiche, dovute tra líaltro alla pessima qualità del cibo distribuito (spessissimo avariato), alle insostenibili condizioni igieniche del carcere , alla precarietà, voluta, delle stesse strutture carcerarie ed infine alle prolungate torture subite.
Sono attualmente prigioniere per motivi politici nelle carceri
israeliane circa 5000 persone, di cui 250 trattenute per via
amministrativa.
Ad analizzare il fenomeno della detenzione più da vicino,
appare quantomai evidente come la carcerazione sia uno strumento di
oppressione nelle mani delle forze di occupazione.
Carcere politico contro ogni tentativo di resistenza o forma di
autorganizzazione da parte di forze dichiaratamente avverse
all'autorità israeliana.
Carcerazione contro ogni potenziale presa di coscienza popolare,
contro la diffusione, altrimenti spontanea, di idee e
progettualità politiche alternative ed antagoniste a quelle
ufficialmente accettate.Non può essere data altra credibile
spiegazione all'utilizzo di strumenti quali la carcerazione
amministrativa, l'esilio coatto o l'isolamento prolungato nelle celle
di punizione, né si può ancora una volta far
riferimento all'ipocrisia del senso comune che vede nella prigionia
di migliaia di uomini , sottoposti a condizioni di vita volutamente
durissime, l'attuazione di presunte intenzioni di aiuto o
reinserimento sociale.
La pratica della tortura è messa in atto da equipe di
psicologi specializzati nel raggiungere l'annientamento fisico e
psicologico dei prigionieri.
Obiettivo primario della detenzione politica e amministrativa
è, dunque, l'annullamento dell'identità individuale e
collettiva dei prigionieri, che vanno isolati dalle realtà di
lotta cui appartengono.
La lotta dei prigionieri politici palestinesi per migliorare le
condizioni di vita all'interno delle carceri è cominciata fin
dagli inizi degli anni '70.
In quest'ottica vanno viste le rivendicazioni fatte dai prigionieri
per i diritti loro negati.
In seguito a dure lotte, portate avanti anche con lunghi scioperi
della fame, sono stati riconosciuti i comitati di rappresentanza dei
prigionieri e le loro strutture organizzative di base.
Si sono conseguiti risultati di grande importanza, quali la nascita
di biblioteche interne al carcere fornite di libri e materiali
prodotti dagli stessi prigionieri, o l'abolizione del lavoro coatto
dei carcerati all'interno delle fabbriche militari israeliane.
Ma, nonostante le battaglie e le lotte, in cui hanno perso la vita
centinaia di prigionieri, l'intensità della repressione
carceraria israeliana non è diminuita, complice anche il calo
di interesse dell'opinione pubblica internazionale.
La condizione dei prigionieri rimane ancora estremamente critica, sia
per quello che riguarda le condizioni oggettive di vita all'interno
del carcere, sia in merito all'immutata volontà israeliana di
disgregare ogni realtà collettiva di lotta presente
all'interno.
Dalle stesse carceri sono state mandate all'esterno molteplici
richieste di sostegno alle proprie rivendicazioni e lotte, richieste
di cui non si può ignorare l'esistenza.
Gli accordi tra la borghesia palestinese e israeliana non prendono
minimamente in considerazione la situazione dei prigionieri politici
palestinesi.
L'autorità palestinese sostituisce, all'interno dei territori
occupati, il pugno di ferro israeliano, cosa che spiega il fatto che
le stesse carceri palestinesi siano ormai affollate da detenuti
politici, costretti a subire condizioni di vita simili, se non
peggiori, a quelle proprie delle carceri israeliane.
E' dunque quantomai necessario rilanciare la campagna per la
liberazione dei detenuti politici palestinesi e di tutto il mondo,
contro il mantenimento di strumenti quali la carcerazione
amministrativa o l'uso della tortura.
Mohammad Mansur, Raffaella Russo
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