Senza Censura: work in progress


OSLO? MA QUALE PACE!

Contro la detenzione amministrativa e per la liberazione dei prigionieri rivoluzionari (Bologna)


Da quando nel '91 a Madrid è iniziato il "processo di pace" fra israeliani e palestinesi, le uniche informazioni riportate dai media non hanno fatto che ripeterci quanto le cose in Palestina stessero andando bene.

La trattativa, sponsorizzata dagli USA, trova la sua collocazione nello scenario internazionale seguito alla crisi dell'Unione Sovietica e in particolare nel quadro che si è delineato in quest'area dopo la guerra del Golfo.

L'importanza strategica di questa parte del mondo (una regione nella quale sono concentrate enormi risorse energetiche) è sotto gli occhi di tutti in questi giorni per le continue provocazioni americane all'Iraq, tese a ribadire ancora una volta la propria egemonia.

Il fatto che Israele abbia deciso di sedersi al tavolo delle trattative trova la sua motivazione nell'esigenza del passaggio da una classica economia monopolistica di guerra (incentrata principalmente sull'industria bellica) a una economia di "pace" improntata al liberismo: dalla riuscita degli accordi dipende la normalizzazione dei rapporti politici, e quindi commerciali, con gli stati arabi.

In realtà quello che viene definito "processo di pace" non è altro che una ottimizzazione della colonizzazione israeliana e consiste nel mantenere il controllo sui territori occupati con mezzi politici ed economici più che militari.

Per i palestinesi questo significa la disattesa di ogni loro rivendicazione, tra cui uno stato indipendente, e quindi il controllo della propria economia, la liberazione dei prigionieri politici, la possibilità di tornare alla propria terra per i rifugiati: in poche parole, la fine dell'occupazione.

Per schiacciare ogni opposizione a questi accordi/farsa, Israele sempre più si serve delle pratiche repressive del carcere, della tortura e in particolare della detenzione amministrativa. Questa formula (derivata dal Regolamento d'Emergenza Britannico) permette l'arresto senza prove e senza processo, per un periodo fino a 6 mesi, rinnovabile all'infinito.

In questa guerra sporca i prigionieri rivoluzionari sono gli ostaggi di un conflitto "irriformabile": se fosse veramente in corso un processo di "pace" questo comporterebbe la liberazione di tutti i prigionieri. Le carceri israeliane, e non meno quelle palestinesi, sono quindi il luogo in cui la brutalità dell'occupazione e il suo perdurare sono avvertiti con più chiarezza.

Nel "nuovo ordine mondiale" risulta sempre più evidente la volontà del kapitale internazionale di agire su una scacchiera che ha le dimensioni dell'intero pianeta. Nella volontà di opporci a questa imposizione di un unico modello di "sviluppo", diventa per noi inevitabile ricercare, ovunque si trovino, le contraddizioni più evidenti di questo "gioco".

Gli 800 detenuti amministrativi palestinesi sono una di queste contraddizioni e l'esempio della possibilità per i governi capitalisti, una volta esauriti tutti gli strumenti "democratici", di utilizzare qualsiasi metodo per fermare le lotte.

Un gruppo di studenti/compagni riunitosi contro la detenzione amministrativa
e per la liberazione dei prigionieri rivoluzionari (Bologna)

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