Senza Censura: work in progress


MEMORIA E REPRESSIONE

Percorso storico delle lotte in Italia e forme della repressione dello Stato


Dentro l'area dell'antagonismo politico-sociale si è aperto un confronto che cerca di dare una risposta politica a proposito di prigionieri rivoluzionari rinchiusi nelle carceri imperialiste italiane.

Non entriamo ora nel merito delle posizioni discusse, comunque per quanto ci riguarda affermiamo con chiarezza che coloro che mettono al centro del loro "intervento carcerario" soluzioni che spaziano fra grazie per "pochi amici" e operazioni proposte da ex militanti teorici dell'oltrepassamento, (conosciute sotto il nome di soluzione politica), che sostanzialmente pongono la liberazione degli anni '70 in cambio di un ritorno alla "normalità democratica" di una società pacificata, sono di fatto fuori da quella realtà politica e sociale che combatte il revisionismo e lo stato di cose presenti.
Lontane dai nostri orizzonti politici anche quelle posizioni pasticciate quali indulto e amnistia che in ultima istanza operano su un duplice indirizzo politico: differenziare il campo dei prigionieri politici, attraverso la teorizzazione della sconfitta, perseguendo di fatto la pacificazione dentro l'orbita della compatibilizzazione istituzionale.
Si vorrebbe così seppellire il conflitto di classe, la cui frattura radicale è necessario "riassorbire" prima che qualche nuovo evento dalle sfumature incontrollabili ne ricucisca una continuità anche solo ideale.
Nel dibattito interno al collettivo è maturato il terreno di intervento, che ci vede affrontare correttamente le lotte degli anni '70 e la questione dei prigionieri politici. Nel primo approccio con tali tematiche la questione della prigionia politica deve essere considerata un riflesso della società capitalistica e delle contraddizioni che essa produce: finché ci sarà lotta di liberazione di classe si può affrontare e dare risposta politica alla problematica riguardo la liberazione dei prigionieri politici.

È necessario, nello sviluppo del dibattito in corso dentro l'area dell'antagonismo sociale, condurre un attenta riflessione ed un bilancio storico e politico degli anni '70; una ricostruzione delle lotte dunque ma anche un'analisi delle teorie che ne erano alla base e del contesto politico, economico e sociale nel quale si inserivano.

Le ragioni che ci spingono a privilegiare una riflessione di questo ristretto periodo storico, risiedono nella constatazione che tale periodo è importante per il contributo che esso ha fornito nella direzione della definizione teorico-pratica di una politica rivoluzionaria nella fase attuale dell'imperialismo.
L'analisi del passato va infatti indirizzata verso il futuro della lotta di classe, con l'obiettivo di comprendere quali elementi del nostro passato sia possibile utilizzare ancora oggi.
Vi è quindi innanzitutto la necessita di una corretta ricostruzione delle lotte degli anni '70, per contrastare l'azione volta a rimuovere e cancellare il patrimonio e la memoria storica dell'antagonismo di classe, la tradizione e la cultura della lotta del movimento operaio e proletario; rendere giustizia storica a quello che è stato un nostro recente passato e riaffermare l'internità dei prigionieri a quel multiforme movimento di classe che si è espresso in quegli anni.

Alle lotte operaie del '69 la borghesia ha risposto con la strage di piazza Fontana, con i morti nelle piazze, con le violenze degli squadristi in camicia nera, con migliaia di denuncie ad operai, studenti e intellettuali, con tentativi reazionari più o meno apertamente golpisti.
A quel ciclo di lotte la borghesia ricorre alle stragi, al terrorismo di Stato.

Allo sviluppo dell'Autonomia Operaia e Proletaria, dove nelle lotte rivendicative viene ad assumere rilievo politico il terreno di scontro per il potere e l'esercizio della violenza rivoluzionaria, (l'uso della violenza nelle manifestazioni di piazza, le prime azioni di lotta armata, le esplosioni di dure lotte e rivolte nelle carceri) lo Stato si attrezza a questa nuova situazione di scontro e mette in atto le nuove strategie di prevenzione-repressione contro la classe.

E' verso la metà degli anni '70, in concomitanza con il progressivo spostamento del P.C.I. da una posizione di "opposizione", sempre più verso l'area governativa, che si appronta l'attuale fase repressiva. È da quel momento che fiorisce la legislazione speciale, da sempre cavallo di battaglia della D.C., ma precedentemente contrastata dai partiti delle cosiddetta "sinistra storica".
Questo tipo di legislazione lungi dall'essere realmente d'emergenza e perciò transitoria ma destinata a divenire definitiva con un processo di autolegittimazione che tende a generalizzare il controllo sociale ad un area più vasta di quella che si propone di colpire.

Le leggi dello Stato sono state inasprite con vari interventi legislativi "speciali" che hanno trasformato il volto repressivo delle leggi di uno Stato borghese, già idoneo a difendere gli interessi della classe dominante, nella legislazione speciale che istituzionalizza l'effettivo pieno potere della polizia e degli apparati repressivi.

Dall'estate del '77 sono state istituite le carceri speciali, carceri studiate appositamente per distruggere l'equilibrio psico-fisico del detenuto attraverso l'isolamento pressoché totale sia con l'esterno che con l'interno (queste carceri di massima sicurezza erano state progettate e sperimentate negli USA, in Germania, in Irlanda, Inghilterra e Francia e gestite dalle più alte gerarchie militari, poliziesche e giudiziarie di questi paesi in collegamento fra loro).
Dette carceri si istituirono sotto il controllo del Corpo Speciale dell'arma dei Carabinieri, comandati dal generale Dalla Chiesa, in omaggio alle ipotesi differenziazione-individualizzazione del trattamento statuito dalla legge di riforma n. 345 del luglio 1975. Tale norma, che sarebbe dovuta appartenere alla "Riforma Carceraria", si delineò subito come una "controriforma" mirante ad isolare i detenuti cosiddetti pericolosi su classificazioni decise dal Ministero di Grazia e Giustizia e dai direttori dei vari carceri a loro esclusivo arbitrio.

Nei 12 nuovi carceri speciali vennero rinchiusi i prigionieri rivoluzionari ed il proletariato più cosciente allo scopo di separarli dagli altri detenuti e attraverso un regime carcerario particolarmente duro, distruggerne l'identità politica.

Altro portato di quel periodo sono le cosiddette "leggi dell'emergenza" che prevedono aumenti di pena per i reati commessi con alcuni scopi particolari, e che fu introdotta per i reati commessi con finalità di terrorismo: la legge Reale (1975, prende il nome dal repubblicano Oronzo Reale), che nega la libertà provvisoria a chi è indiziato di reati contro l'ordine pubblico; estende i termini di carcerazione preventiva; dà facoltà a polizia e carabinieri di arresto non solo in flagranza di reato ma anche se sospettati di essere sul punto di commetterlo; autorizza perquisizioni senza mandato della magistratura; legittima l'uso delle armi da fuoco da parte delle forze dell'ordine e prevede un regime di impunità degli stessi. Le leggi dell'emergenza introducono reati quali l'apologia e l'istigazione: ciò permette di poter chiudere i giornali, radio e persino il sequestro dei libri.

In quegli anni dai 7 mila agli 8 mila compagni passano dal carcere per brevi, medi e lunghi periodi; non si contano coloro che visitano forzatamente questure e caserme dei carabinieri.

Le cosiddette leggi premiali sul pentitismo e sulla dissociazione (che determinano una maggiore differenziazione tra i detenuti), prevedono trattamenti individualizzati dei detenuti differenziati a seconda della presunta "pericolosità" sociale, dal titolo del reato , dalla condotta del detenuto.
Dopo tale osservazione, si dà luogo alla dislocazione del prigioniero in carceri a bassa afflittività, o in carceri normali o in carceri speciali. Bisogna rileggere correttamente certe pratiche che si sono susseguite negli anni precedenti e vedere poi le forme concrete con cui si presentano congiunturalmente partendo dal '77; la strategia differenziata applicata massimamente al circuito dei carceri speciali, le pratiche dei pestaggi scientifici e sistematici, le forme di isolamento prolungato ecc., che rappresentano un livello di attacco della controrivoluzione adeguato al grado di maturità raggiunto dallo scontro di classe.

Le prime forme di tortura praticate ancora in misura limitata e selettiva, consistevano negli interrogatori-tortura (Vasco nel '76, Triaca nel '78, i compagni della Barona nel '79, Iannelli nell'80 per ricordare i casi più noti), nell'applicazione intensiva delle tecniche di deprivazione sensoriale attraverso lunghissimi isolamenti nei containers, dall'80 in poi, fino ai suicidi programmati (Berardi e Buonoconto).
Su tortura, prevenzione-repressione negli anni '80 torneremo con altri interventi. Non sempre la repressione si manifesta in maniera brutale ma è possibile che nelle società capitalistiche avanzate lo Stato opti per una modificazione in senso riformistico della istituzione carceraria che ne rafforzi d'altro canto la funzione di controllo sociale.

La questione dell'estinzione del carcere e della pena non può che rimandare, a nostro avviso, ad un analisi sulla crisi e gli sviluppi che interverranno nei rapporti fra le classi: non può darsi prospettiva di liberazione se non all'interno di una lotta di classe.

Collettivo Politico Antagonista mo.s.s.a. - Versilia

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