La cura delle informazioni
Lo scorso 16 maggio a Bologna si è tenuta una discussione, in un evento di preparazione alla Bologna Anarchist Book Fair che si terrà il prossimo settembre, su alcuni progetti web nati e sviluppatisi negli ambienti dell’antagonismo e dei centri sociali. L’evento è stato descritto come Archivi digitali dei movimenti sociali: memoria collettiva e riappropriazione tecnologica.
Noi Grafton9, il non più attivo NGVision, ed ECN Antifa. Tre progetti apertamente diversi nella forma, nei contenuti trattati e nell’organizzazione.
Grafton9 si occupa del recupero e della digitalizzazione di documentazione cartacea, NGVision era un sito di distribuzione di autoproduzioni video, ECN Antifa è un aggregatore di notizie e approfondimenti sulle nuove destre neofasciste.
Ma tre progetti accomunati dalla vicinanza, dall’influenza e dalla relazione delle stesse persone, nate all’interno della stessa comunità, tanto virtuale quanto reale.
Va premesso che la definizione di archivio (nell’accezione di scienza archivistica) è alquanto impropria per tutti e tre i progetti, in quanto nessuno si sviluppa seguendo standard, buone pratiche e regole precise di funzionamento di un archivio. Siamo archivi vernacolari, che usano o creano strumenti e pratiche adattandole alle proprie necessità. Ma come spesso accede oggi, tendiamo a definire archivio qualsiasi aggregazione di dati, soprattutto se digitali. E tra gli obiettivi di questi nostri archivi non c’è mai direttamente quello della conservazione, che è tra le missioni primarie di un archivio: il nostro scopo è prevalentemente quello della creazione di conversazioni e della condivisione.
CONDIVISIONE E CONVERSAZIONE, NON CONSERVAZIONE.
Nella attività del fare archivio di questi nostri progetti la pratica ricorrente è quella della copia: prendere delle informazioni (che siano analogiche o digitali), adattarle, alcune volte modificarle, e poi redistribuirle senza vincoli, permettendo a chiunque di poterle a sua volta copiare.
È una pratica che abbiamo ereditato da quando abbiamo iniziato ad usare il web: agli inizi era un web di scarsità, con poca velocità di banda, difficoltà nell’accesso, poco spazio disco, pochi dispositivi. Quando si incontrava qualcosa di interessante, si era abituati a copiarla e conservarla offline, per poterla fruire senza rete o distribuirla copiandola su altri formati. Insieme a questa necessità materiale è maturata di pari passo una visione politica basata sul rifiuto del copyright, sul plagiarismo, sul desiderio di socializzazione dei saperi.
Ecco cosa hanno in comune i tre progetti di cui abbiamo parlato. Per sintetizzare, e forse semplificare, potremmo dire che hanno in comune il desiderio di curare delle informazioni: un processo di cura volto alla riorganizzazione, alla semplificazione, ed infine alla condivisione.
Oggi, nell’uso quotidiano del web, i movimenti dimostrano una scarsa capacità di cura, che si riflette in una frammentazione e dispersione dei contenuti, spesso con limiti di accesso, e quindi con una conseguente difficoltà nella conservazione per il futuro.
Un problema che avevamo sollevato in passato in questo tweet:
Nel 1998 l’intero web dell’antagonismo italiano era contenuto in 400 megabyte. Siti fatti a mano, ma che avevano una grande cura del linguaggio e dell’organizzazione dei contenuti. Tutte cose che i movimenti oggi hanno smesso di saper fare perché Facebook è più facile da usare
(Il riferimento è ai contenuti che ancora oggi possono essere navigati in Zone Digitali, un cd-rom realizzato nel 1998 che conteneva le copie statiche di diversi siti, molti dei quali oggi non più attivi).
Questo bisogno di riprendersi cura del web oggi viene espresso da diversi fronti, spesso collocato sotto la definizione di “giardino digitale”. Qui di seguito alcuni link sul tema:
- Se i social ti hanno stufato, è ora di costruirti un giardino digitale
- Digital gardens let you cultivate your own little bit of the internet
- Note sparse sui Giardini Digitali
- My blog is a digital garden, not a blog
- How the Blog Broke the Web
Il nostro obiettivo deve tornare ad essere quello della pubblicazione su web, di contenuti accessibili nel formato e nel linguaggio, e dall’estetica che esprima identità e creatività, e non sia normalizzata.
E siamo alquanto preoccupati che si stiano mettendo in atto delle forme di balcanizzazione del web per proteggersi dallo sfruttamento delle intelligenze artificiali generative. Vediamo nascere nuove tecnologie che riempiono la rete di trappole, di contenuti fake, o limitazioni all’accesso, con la scusa di doversi proteggere dai crawler.
Il web deve continuare ad essere uno spazio libero, e tutti dobbiamo prendercene cura.