Logo Banca dati della Memoria LA SVOLTA DEL 1974 E IL PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA

CAPITOLO VIII

LA SVOLTA DEL 1974 E IL PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA

1. Come si è già osservato, ad una riflessione complessiva gli anni '70 si presentano segnati, in coincidenza con la metà del decennio, da un punto di "snodo" o di "svolta" attraversando il quale i fenomeni che la Commissione fa oggetto della sua inchiesta, pur nella loro indubbia continuità, assunsero caratteri nuovi e connotazioni in parte diverse. Vuol dirsi cioé che il mutamento già rilevato nei caratteri del terrorismo di sinistra tra prima e seconda metà del decennio, é riscontrabile nella opposta area della eversione di destra e, più in generale, in tutte le componenti che animarono il "piano occulto" oggetto di indagine. Le due metà del decennio offrono quindi all'osservazione contesti non del tutto sovrapponibili; e le cui differenze meritano di essere vagliate per individuarne con esattezza ragioni e significato.

2.1 In sede saggistica è stato più volte sottolineato come il senso della svolta del 1974 possa essere agevolmente colto ove si abbia riguardo al coevo abbandono da parte degli USA della strategia di politica estera sino ad allora seguita. Quest'ultima aveva conosciuto una forte accentuazione agli inizi del 1969; e cioé da quando Henry Kissinger assunze la direzione del National Security Council, carica alla quale, nel settembre 1973, si sarebbe aggiunta quella di segretario di Stato. Kissinger agiva in perfetta sintonia con il presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, nell'ambito di una collaborazione che aveva visto "l'accentramento dei processi decisionali entro sfere ristrette all'interno della Casa Bianca, l'apertura di canali di comunicazione riservati ed extraistituzionali e parallelamente l'esigenza di porre freni (...) all'ingerenza del Congresso in politica estera, nonché quella che è stata definita - con eufemismo - come l'abitudine di 'origliare' ".(196) Ora, che la politica estera statunitense, ed in particolare della CIA, abbia avuto una forte influenza sulle tensioni che segnarono la storia italiana nel periodo '69-'74, costituisce un'ipotesi storiografica che inizia ormai a trovare probanti riscontri anche in sede di indagini giudiziarie. Ed infatti, come in parte già ricordato, la sentenza-ordinanza del Giudice Salvini attribuisce specifico rilievo, come si é già ricordato, ad una covert operation avviata dalla CIA nell'estate del 1967; l'operazione denominata in codice "C.H.A.O.S." consisteva nell'infiltrare a scopo di provocazione propri elementi in gruppi, associazioni e partiti dell'estrema sinistra extraparlamentare (anarchici, marxisti leninisti, operaisti e castristi) d'Italia, Francia, Gran Bretagna, Spagna e Repubblica Federale Tedesca. L'operazione risulta avviata nell'agosto del 1967 e terminata nel 1973. Nel 1975 la cosiddetta "Commissione Rockfeller" (più correttamente: Commission on CIA activities within the United States) redasse un rapporto su questa e su altre operazioni illegali della CIA. Il rapporto é stato declassificato e reso pubblico nel 1977. E' da rilevare che l'inizio dell'operazione C.H.A.O.S. si colloca temporalmente molto vicino alla costituzione, in Italia, dei Nuclei per la Difesa dello Stato e all'attuazione del cosidetto Piano di Sopravvivenza, di cui si é scritto più diffusamente in altra parte di questa relazione. Tutte queste iniziative seguirono di pochi mesi, come più volte ricordato, il convegno organizzato dall'istituto Pollio all'Hotel Parco dei Principi di Roma, del quale si é già trattato nelle pagine precedenti. Se a ciò si collega l'attività svolta dall'agenzia di stampa Aginter Press (che in realtà sulla base delle ultime acquisizioni giudiziarie si configura come un centro informativo specializzato in azioni di provocazione, strettamente legato alla CIA, oltre che ai servizi segreti portoghesi) emerge senza ombra di dubbio che nella seconda metà degli anni '60 fu intrapresa, da parte di settori della CIA, un'azione a vasto raggio tesa a contrastare con ogni mezz o l'espandersi a livello europeo, di movimenti e gruppi di sinistra; un'azione che indubbiamente influì nella determinazione di quel "contesto unitario" cui sono riferibili non solo i moltissimi attentati e tentativi eversivi - già pienamente disvelati anche quanto all'accertamento delle responsabilità individuali - ma influì anche, almeno in termini di estrema probabilità, sulle tre stragi rimaste insolute del periodo '69-'74. Nè vi é dubbio che l'assimilazioni tout court al neofascismo dei gruppi eversivi che prevalentemente operarono nella desritta stategia di tensione abbia per anni impedito una piena comprensione dei fenomeni. Il neofascismo si era connotato, nel periodo tra il 1945 e il 1968, come un movimento certamente violento in alcune sue manifestazioni, ma queste si erano esplicitate soprattutto in aggressioni e scontri fisici nei confronti di avversari politici, e solo saltuariamente esso aveva fatto ricorso all'attentato, usualmente incruento, prevalentemente rivolto a simboli e monumenti della Resistenza. Le manifestazioni di violenza nel periodo '45-'68 furono talora criminali, ma non terroristiche. Soprattutto mancava in esse una qualsiasi pianificazione. Erano fenomeni locali, sconnessi e separati tra loro. Ciò che nasce nel 1969 è un fenomeno del tutto diverso, che per molti anni si sovrappone e si somma alle manifestazioni dell'estremismo neofascista. E' pur vero che spesso i protagonisti sono gli stessi, ma in questa nuova attività appare subito evidente la presenza occulta, se non di un unico regista, almeno di un centro alieno di fomentazione, istigazione, finanziamento e parziale coordinamento. Un dato è certo: l'irruzione del fenomeno e il suo radicarsi stabilmente furono troppo repentini perché tutto ciò potesse essere considerato spontaneo. Le acquisizioni giudiziarie di questi ultimi venti anni confermano che la mutazione genetica subita da parte del radicalismo di destra fu un fenomeno indotto da settori delle strutture di sicurezza, che una saggistica pigra e superficiale ha definito "deviati"; e che invece le acquisizioni più recenti convincono siano appartenute ad una dimensione strategica di respiro internazionale.

2.2 Gli indici rivelatori del contesto sono stati già ampiamente evidenziati in pagine che precedono: nelle stesse si è anche chiarito come, rispetto ad una situazione di sostanziale potenzialità operativa che aveva caratterizzato il contesto stesso sino alla fine degli anni '60, la contestazione studentesca ed operaia che segnò la fine del decennio operò in termini che abbiamo già definito di meccanicistico innesco. Basterà qui l'indicazione di ulteriori elementi di conferma. Il giorno precedente la strage di piazza Fontana il settimanale "Epoca" uscì con una copertina tricolore e un articolo a firma di Pietro Zullino, nel quale si leggeva tra l'altro: "...se la confusione diventasse drammatica e se - nell'ipotesi di nuove elezioni - la sinistra non accettasse il risultato delle urne, le Forze Armate potrebbero essere chiamate a ristabilire immediatamente la legalità repubblicana. Questo non sarebbe un colpo di Stato, ma un atto di volontà politica a tutela della libertà e della democrazia. (...) Tuttavia, il ristabilimento manu militari della legalità repubblicana, possibile nel giro di mezza giornata, potrebbe non essere sufficente (...). Perché non ci poniamo seriamente il problema della Repubblica presidenziale, l'unica capace di dare forza e stabilità al potere esecutivo? Vi sono giorni in cui la storia impone riflessioni di questo tipo. Forse questi giorni sono venuti. Questi giorni, forse, noi li stiamo gi&agr ave; vivendo". (197) Sono caratteri di una vicenda complessiva che reiteratamente riemergono sino alla metà degli anni '70. Il 1971 vide anche la nascita di un movimento politico interpartitico di destra, la cosidetta "Maggioranza silenziosa", nel quale erano presenti diverse anime, da settori della Resistenza liberale alle varie correnti e tendenze del neofascismo. Ne fu animatore Adamo Degli Occhi, avvocato monarchico, ex partigiano "bianco". Nel marzo 1971 si svolsero a Milano e a Roma due manifestazioni nelle quali vennero scanditi slogans come "Basta coi bordelli, vogliamo i colonnelli" e "Ankara, Atene, adesso Roma viene", che facevano riferimento ad una svolta a destra che sembrava coinvolgere l'intera Europa meridionale. Nella manifestazione di Roma, il fronte dei partecipanti era ancora più ampio e comprendeva tra gli altri, il deputato missino Giulio Caradonna, il segretario del Partito Democratico di Unità Monarchica, Alfredo Covelli, insieme a Giovanni De Lorenzo, anch'egli eletto alla Camera nelle liste del partito monarchico. Il movimento ebbe vita breve e non lasciò segni rilevanti nella realtà politica del periodo, ma dieci anni dopo, nel 1981, il tenente colonnello Nicolò Bozzo rese una testimonianza spontanea ai giudici milanesi Colombo e Turone (198), dalla quale sarebbe emersa l'esistenza, negli anni 1971/1974, di un gruppo di potere annidato preso il comando della Prima Divisione Carabinieri "Pastrengo" di Milano, della quale facevano parte, tra gli altri, il generale Palumbo, comandante della stessa Divisione, e il colonnello Musumeci, che negli anni successivi sarebbe divenuto un importante dirigente del SISMI di Santovito e che, in questa veste, avrebbe partecipato alle attività illegali del cosidetto "Supersismi", per le quali fu condannato con sentenza definitiva. Ne facevano parte, inoltre, il colonnello Santoro, che era rimasto coinvolto nelle indagini su attentati avvenuti a Trento proprio nel 1971, ed altri ufficiali di grado inferiore. Sempre secondo la testimonianz a del tenente colonnello Bozzo, negli uffici del generale Palumbo si sarebbero svolti incontri con la partecipazione di Giorgio Pisanò, Franco Servello, Gastone Nencioni e Adamo Degli Occhi, cioé dei principali esponenti delle varie anime della destra milanese. alcuni di essi erano rimasti coinvolti in inchieste su fatti eversivi anche gravi, ma il dato politico significativo era che essi si incontravano in una sede istituzionale come il comando della Divisione Pastrengo con alti ufficiali dell'Arma dei Carabinieri. Alla luce di questa testimonianza, tutta la attivita eversiva del periodo 1971/74, in particolare a Milano, assunse contorni più chiari ed è significativo che molti dei personaggi citati sarebbero poi risultati iscritti alla Loggia P2.

3. Nel 1974, però, la situazione internazionale muta; l'esplodere dello scandalo Watergate indebolisce l'asse Nixon-Kissinger. In Europa, forse per l'affievolirsi dell'appoggio fino ad allora goduto da parte del governo statunitense, si dissolsero, senza opporre resistenza, i due regimi portoghese e greco. Il governo parafascista portoghese cadde il 25 aprile 1974, travolto dalla pacifica "rivoluzione dei garofani" condotta da un gruppo di giovani militari. Il potere passò nelle mani del generale Antonio de Spinola, un "conservatore illuminato". Tre mesi dopo, in luglio, cadde la dittatura militare dei colonnelli greci. Il regime si era indebolito in seguito all'occupazione, da parte dell'esercito turco, di una parte cospicua dell'isola di Cipro, fino a quel momento governata dall'arcivescovo greco Makarios III. Kissinger, nel timore di perdere le preziose basi statunitensi in Turchia, si era schierato piuttosto apertamente dalla parte dei Turchi, e questo aveva concorso a mettere in difficoltà il governo dei colonnelli. E' peraltro ipotizzabile che all'interno della CIA sia prevalso un settore che riteneva ormai impraticabile un ulteriore sostegno ai governi di estrema destra. In apparente sintonia con questa ipotesi, il Presidente del Consiglio Andreotti sostituì nel giugno 1974 il capo del SID, generale Miceli, e contemporaneamente incaricò il capo dell'Ufficio "D" del SID generale Maletti, di raccogliere documentazione sul tentato golpe del 7 dicembre 1970 e sui successivi approntamenti eversivi.

4. La volta del 1974 costituisce quindi derivazione diretta di un cambio di strategia statunitense. Ciò non può meravigliare. Perché se è vero che i due blocchi in cui il mondo era diviso tendevano ad atteggiarsi come "imperi", è naturale che scelte di politica imperiale influissero nella vita di ciascun "regno", soprattutto se, come l'Italia, collocato in una difficile posizione di frontiera. L'obiettivo strategico non mutò: restò ferma cioè la direzione di contrasto all'espansionismo comunista; a mutare furono i mezzi, meno rozzi e più sofisticati, cui fu affidato il preseguimento dell'obiettivo. Le tensioni sociali non sarebbero state più artificiosamente acuite nella prospettiva di creare le precondizioni di un golpe o comunque di una involuzione autoritaria delle istituzioni democratiche. Nel permanere e nel consolidarsi di queste, le tensioni sociali sarebbero state soltanto, in qualche modo ed entro certi militi, "tollerate" al fine di utilizzarne l'impatto su settori dell'opinione pubblica favorevoli al consolidamento elettorale di soluzioni politiche non eccessivamente sbilanciate a sinistra e sostanzialmente moderate. Sono questi i caratteri del diverso contesto che venne a determinarsi nella seconda metà degli anni '70 e in cui vanno, ad avviso della Commissione, inquadrati i già evidenziati limiti dell'attività di contrasto al terrorismo di sinistra; limiti che verranno verificati nelle pagine che seguono anche con riferimento all'eversione di destra. Nello stesso contesto va inquadrato, ai fini di una corretta analisi, il più clamoroso episodio di terrorismo politico che segnò la seconda metà del decennio e cioè il sequestro e l'uccisione dell'onorevole Moro. Nel settembre 1974, durante la visita del Presidente della Repubblica Leone e del ministro degli Esteri Moro a Washington, comparvero sul "Washington Post" e sul "New York Times" due articoli che si disse fossero direttamente ispirati dalla segreteria di Stato, nei quali si affermava apertamente che gli Stati Uniti si attendevano dai dirigenti politici italiani assicurazioni che non sarebbe stato né un indebolimento delle tradizionali alleanze dell'Italia, né un'apertura al PCI. In quegli stessi giorni, Kissinger, testimoniando a porte chiuse dinanzi al Congresso degli Stati Uniti circa l'operato della CIA in Cile, aveva espresso il concetto che le stesse persone che rimproveravano la CIA di essere intervenuta illegalmente in Cile, avrebbero rimproverato ancor più duramente il governo americano se non avesse fatto nulla per scongiurare l'ascesa dei comunisti al potere in Italia.

5. Tuttavia sarebbe riduttivo attribuire il punto di svolta e quindi il mutamento di contesto esclusivamente a ragioni di politica internazionale. Va infatti ugualmente sottolineato come le istituzioni democratiche, pur sottoposte nel quinquennio '69-'74 a difficilissime prove, avessero tenuto. Ugualmente va riconosciuta la sincera adesione ai valori di una democrazia parlamentare da parte delle maggiori forze politiche presenti in Parlamento. I pericoli che la democrazia correva nel difficilissimo periodo furono adeguatamente percepiti; le spinte anche internazionali verso una involuzioneautoritaria furono certamente intuite, probabilmente conosciute, ma non assecondate. Esemplare in tal senso sono le calcolate e allarmanti parole pronunciate dal segretario della Democrazia Cristiana Arnaldo Forlani, durante un comizio a La Spezia il 5 novembre 1972: "E' stato operato il tentativo forse più pericoloso che la destra reazionaria abbia portato avanti dalla Liberazione a oggi. [...] Questo tentativo disgregante, che è stato portato avanti con una trama che aveva radici organizzative e finanziarie consistenti, ha trovato delle solidarietà probabilmente non soltanto di ordine interno ma anche internazionale. Questo tentativo non è finito: noi sappiamo in modo documentato che è ancora in corso". A tanto deve aggiungersi che la liberalizzazione dei costumi e il valore della partecipazione di tutti alle decisioni influenti sulla vita collettiva, che costituirono l'eredità non transeunte del movimento del '68, avevano determinato un ambiente sociale (chiaramente percepibile negli esiti del referendum sul divorzio del 1974) indubbiamente contrario alle ricorrenti tentazioni di pronunciamenti militari e di involuzione autoritaria delle istituzioni, che nella seconda metà del decennio vennero quindi in gran parte abbandonate.

6. Tuttavia sono intuibili le spinte che persistevano nel sistema tentando di impedire, anche nella nuova fase, che venissero disvelate le cause che avevano profondamente segnato la stagione anteriore. Ed infatti sulla linea strategica tendente a soluzioni golpiste - o comunque a involuzioni autoritarie delle istituzioni - aveva assunto prevalenza una linea diversa che affidava a tecniche più sofisticate il perseguimento di un risultato comunque stabilizzante. Con tale risultato non poteva ritenersi coerente l'incidivuazione delle responsabilità afferenti alla fase anteriore. Si preferì quindi un trapasso per linee morbide ed interne, dall'una all'altra fase, incompatibile con un preciso accertamento di responsabilità, con un pieno disvelamento di una verità che si è preferito restasse a lungo occulta o resa nota soltanto con modalità fortemente minimizzanti. Pure nel passaggio di fase sembrò vicino l'accertamento della verità e fondata la speranza di poter chiarire almeno parte delle pagine oscure della vita politica di quegli anni. Infatti, in quei mesi, a Milano i giudici D'Ambrosio e Alessandrini stavano indirizzando le loro indagini sulla strage di piazza Fontana in direzione dei vertici del SID del 1969; a Torino il giudice Violante, che indagava sul presunto "golpe bianco" attribuito a Sogno e Cavallo, stava giungendo a scoprire i loro legami internazionali e a Padova il giudice Tamburino aveva individuato i legami NATO della "Rosa dei Venti". Ma, nel giro di due mesi, successive pronunce della Corte di Cassazione sottrassero, con motivazioni discutibili, le istruttorie ai loro giudici naturali. L'indagine di Tamburino fu trasferita alla Procura di Roma e unificata con quella sul "golpe Borghese", affidata a Claudio Vitalone. Il quadro cospirativo delineato da Tamburino fu disintegrato in mille episodi distinti, tra i quali non si individuarono più le connessioni. Fu aperta una separata istruttoria sul cosiddetto "SID parallelo" ma, dopo stanche indagini, essa si concluse con un nulla di fatto. Anche l'istruttoria del giudice torinese Luciano Violante su Sogno e Cavallo fu trasferita a Roma, dove i magistrati non proseguirono nella richiesta di rimozione del segreto di Stato, per la quale Violante aveva ormai aperto la strada. L'inchiesta milanese su piazza Fontana fu addirittura trasferita a Catanzaro, dove peraltro i giudici operarono al meglio delle loro possibilità, ma non proseguirono sulla pista dell'Aginter Press, che il sostituto procuratore Alessandrini si apprestava a percorrere e che sarebbe stata ripresa, dopo venti anni, dal giudice Salvini. Con questi provvedimenti, al di là delle motivazioni addotte, la Corte di Cassazione vanificò obiettivamente tutte le promettenti prospettive che si erano delineate nell'autunno 1974.

7. I netti contorni della svolta del 1974 si possono cogliere anche nel raffronto tra i contenuti di ben noti documenti provenienti da Licio Gelli e più in generale dalla Loggia massonica P2. Sull'analisi di tale fenomeno e sul suo intrecciarsi con le vicende politiche, la relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta presieduta dall'onorevole Anselmi ha fissato punti fermi che mantengono ancora oggi la loro validità, avendo trovato nel tempo addirittura ulteriori conferme. E' pur vero che sul piano valutativo le conclusioni cui si è giunti in sede parlamentare sembrano aver trovato smentita in ambito giudiziario, dove la Corte d'Assise romana ha recentemente negato la fondatezza della accusa di cospirazione mediante associazione, escludendo quindi che la P2 sia stata una struttura in grado di interferire ad un livello dovesro da quello (di bassissimo profilo) dello scambio di favori e di raccomandazioni. E' vero peraltro, da un lato, che si tratta di un accertamento penale ancora provviorio, essendo stato impugnato dalla pubblica accusa, dall'altro, che sussistono differenze strutturali tra l'accertamento giudiziario penale e la valutazione storico-politica, in cui consiste il proprium di un'inchiesta parlamentare. Infatti, mentre in sede giudiziaria assume fondamentale importanza la verifica della riconducibilità di ogni specifico aspetto ai comportamenti concreti dei singoli imputati, in sede di valutazione politica diventa contrale esclusivamente l'esame di insieme del sistema delle connessioni. Può dunque, ovviamente, non solo confermarsi l'esistenza di un progetto politico modificatosi e adattatosi nel tempo allo sviluppo degli avvenimenti, ma anche la sua inerenza alla ragione d'essere stessa dell'organizzazione, che esiste proprio quale strumento di realizzazione di quel progetto. Il fatto che, come osservato dalla Commissione Anselmi, la logica ispiratrice della P2 fosse quella del controllo e non quella del governo dei processi politici attraverso un'articolazione trasversale ai partiti e particolarmente attenta agli apparati, crea una perversa sinergia tra le diverse anime della P2 - quella del condizionamento politico, quella della fratellanza massonica e quella degli affari - che solo un'ottica miope può tendere a schiacciare sul suo profilo più basso. E' un giudizio che appare quindi opportuno riconfermare nella sede parlamentare dell'inchiesta affidata a questa Commissione, dai cui specifici oggetti di indagine la Loggia P2 può solo ad una prima approssimazione ritenersi estranea una volta che - come si è già evidenziato - affiliati alla Loggia assumono rilievo centrale, in qualche modo collegandole, in numerose vicende di sicura competenza della Commissione. La P2 sta quindi all'interno del contesto occulto che viene investigato; e la circostanza che la maggior parte dei suoi affiliati fossero personalità investite da responsabilità istituzionali di elevato rilievo focalizza ancora una volta l'attenzione sul tema della "doppia appartenenza" o della "doppia lealtà", canale attraverso cui il piano occulto degli eventi reagisce su quello apparente, a volte con risultati di vera e propria torsione. E' un profilo che appare di indubbiarilevanza afferendo ad uno dei temi conduttori delle inchieste, e che non viene né smentito, né sminuito dalla considerazione della P2 come un luogo di "oltranzismo atlantico", come autorevolmente suggerito dall'ex Capo dello Stato Francesco Cossiga, perché oltranzismo atlantico richiama appunto il tema della "doppia lealtà" arricchito dal vincolo di fratellanza massonico che operava come filtro selettivo del riferimento. Non diversamente - e sia pure per altro profilo - le più recenti acquisizioni che incrinano un'immagine monolitica della P2, evidenziando le dinamiche di forte contrapposizione esistenti al suo interno, non escludono la possibilità di ritenere che progetti politici siano stati nel tempo elaborati all'interno della Loggia P2, cogliendone le differenze e quindi le linee evolutive.

8. In tal senso assumono rilevanza i documenti provenienti da Gelli fra i quali il "Memorandum sulla situazione politica del paese" ed il "Piano di rinascita democratica" che furono rinvenuti all'aeroporto di Fiumicino nel sottofndo malamente camuffato di una valigia di Maria Grazia Gelli, figlia di Licio, in arrivo da Nizza. Si tratta di due documenti databili intorno al 1976 di diverso contenuto, pure se complementari tra loro. Dopo averli fatti rinvenire, Gelli ha avuto cura di introdurre nuovi elementi di confusione precisando, nella memoria trasmessa dall'avvocato Dean al Presidente della Commissione Anselmi nel giugno del 1984, che: "il Piano di rinascita democratica non è mai esistito, posto che ciò che fu trovato nella borsa di mia figlia Maria Grazia non era altro che una quantità di appunti, che dovevano servire da scaletta per una serie di articoli e relazioni sul tipo del mio "Piano R", che consegnai nelle mani del Presidente della Re pubblica Giovanni Leone; non era altro che un'esposizione sullo stato della nazione, lecita per qualsiasi cittadino che voglia esprimere il suo punto di vista sull'andamento generale del paese". Lo "schema R", verrà poi pubblicato da Gelli nel suo libro "La verità", mentre il Presidente Leone, che non fu ascoltato in audizione dalla Commissione Anselmi, ma che ebbe con l'Ufficio di Presidenza un incontro il cui contenuto fu reso noto al plenum negò recisamente di aver avuto qualsiasi documento da Gelli; al contrario del presidente Cossiga che, in sede di deposizione processuale, anche questa resa fuori udienza, ha ricordato di aver avuto da Gelli, in un incontro, materiale documentale che ragionevolmente potrebbe essere quello dei documenti programmatici, senza aver dato ad esso soverchio rilievo. Il contenuto di tali documenti smentisce con evidenza l'ipotesi di un Gelli solitario elaboratore di appunti personali su fantasiose ingegnerie costituzionali per diletto o per la soddisfazione di qualche accolito nostalgico e sprovveduto. Lo stile dei documenti, pur infarciti di luoghi comuni cari alla tradizione più gretta e reazionaria, non è riconducibile né alo stile stentato che Gelli dimostra possedere negli scritti a lui sicuramente attribuibili, né al livello assai mediocre della sua preparazione culturale anche sul piano istituzionale. Peraltro ciò che ora interessa è il raffronto contenutistico tra lo "schema R" da un lato, ed il "Memorandum" ed il "Piano di rinascita" dall'altro. E ciò perché nel loro collegamento cronologico (lo "schema R" è almeno di qualche tempo anteriore rispetto al "Memorandum" ed al "Piano di rinascita", i quali appaiono il frutto di una elaborazione databile intorno al 1976) i documenti consentono di cogliere anche all'interno della P2 il passaggio di fase che si colloca a cavaliere della metà del decennio. Il senso di insieme che è dato cogliere dal raffronto del documento più antico con i due più recenti è appunto quello dell'evoluzione, da un'idea di colpo di Stato per la costruzione di un assetto politico e sociale autoritario e paternalista, ad un progetto di conquista del controllo dello Stato con mezzi più morbidi e secondo una visione più moderna di un assetto soc iale "ordinato", che si connota di efficientismo, meritocrazia, esaltazione dei valori individuali ed esasperazione della preminenza delle esigenze economiche, ma che conserva una sostanziale continuità con le impostazioni autoritarie precedenti.

9. Lo "Schema di massima per un risanamento generale del paese", che fu pubblicato da Gelli, è un progetto politico di taglio decisamente golpista. Il documento si fonda su un'analisi politica assai più grossolana e datata di quella relativa al "Piano di rinascita nazionale" (ed al "Memorandum" a questo allegato). L'anticomunismo (inteso come contrasto all'ideologia e insieme all'espansionismo anche militare dell'URSS) e l'avversione alla formula politica del centro-sinistra richiamano in parte i documenti del convegno dell'Istituto Pollio (di circa un decennio anteriori), assumendo un notevole rilievo sul piano storico specie con riferimento al succedersi e all'intrecciarsi delle istanze golpiste che vanno esaurendosi proprio tra il 1974 ed il 1975 e al loro stretto concatenarsi con la P2. Dal punto di vista cronologico lo "Schema" si direbbe immediatamente successivo alla tornata elettorale del 1975, e precedente di qualche tempo il "Memorandum" che contiene una lettura assai più articolata della situazione generale. Per queste ragioni desta qualche perplessità, peraltro priva oggi di conseguenze sul piano pratico, l'affermazione di Gelli secondo la quale sarebbe stato questo e non il "Piano" il documento sottoposto all'attenzione del Presidente della Repubblica. Come già accennato il pericolo di una eccessiva ascesa del partito comunista in Italia è il dato politico ispiratore di tutta la parte introduttiva del documento, che paventa la possibilità di un assorbimento dell'Italia nell'area di influenza del mondo comunista e vede nella crisi della Democrazia Cristiana il venir meno di un possibile baluardo a tale ascesa. La soluzione per una tale possibile catastrofica degenerazione della situazione politica italiana, che determinerebbe imprevedibili reazioni anche in campo internazionale per la impossibilità, da parte degli Stati Uniti, di prendere atto passivamente di una così rilevante modifica degli equilibri concordati dopo la fine della guerra, è condensata in un programma di interventi affidati all'iniziativa del Presidente della Repubblica, il quale dovrebbe varare immediatamente tre provvedimenti urgenti indispensabili: - revisione della Costituzione con la trasformazione dell'Italia in Repubblica presidenziale; - proclamazione dello stato di "armistizio sociale" per un periodo non inferiore a due anni; - nomina ed insediamento di un "comitato di coordinamento" composto da non più di undici membri, scelti tra tecnici di provata esperienza e capacità nelle rispettive specializzazioni con il compito immediato e principale di studiare e proporre eventuali riforme all'attuale Costituzione. In epoca immediatamente successiva si dovrebbero concedere al Comitato di coordinamento i poteri necessari per poter esaminare, analizzare ed eventualmente modificare gli schemi di riforme sociali ed economiche, nonché tutti i progetti di legge da rimettere al Parlamento. Inoltre il predetto Comitato dovrebbe avere pieni poteri per poter procedere al riesame di tutta la legislazione attualmente in vigore. Il meccanismo di accentramento del potere, di sospensione delle garanzie fondamentali e di creazione di una sorta di Comitato di salute pubblica risponde proprio ai principi elementari della manualistica del colpo di Stato ed il resto del documento non delude le aspettative in questa direzione. La limitazione del diritto di sciopero, la modifica della legge elettorale, l'aumento dei poteri delle forze dell'ordine e l'impiego dell'esercito nelle operazioni di ordine pubblico, la predisposizione di un piano di richiamo in servizio dei carabinieri ausiliari e di un piano di ripiegamento dell'arma territoriale con "raggruppamento in centri di raccolta opportunamente scelti in base a criteri operativi per fronteggiare eventuali esigenze di ordine pubblico e per evitare che le forze restino inoperose ed inutilizzabili...", la trasformazione dell'esercito da esercito di leva in esercito di volontari ed una serie di misure a favore delle forze armate e di rafforzamento del principio di autorità al loro interno, il ripristino della pena di morte, la riduzione del numero dei quotidiani, i provvedimenti in tema di "moralità pubblica", di economia e di istruzione costituiscono infatti lo sviluppo, che si articola in ben conquantaquattro punti, delle premesse poste con il pream bolo e con l'enunciazione dei provvedimenti urgenti necessari.

10. Di contenuto e natura diversa sono invece i documenti sequestrati a Fiumicino e cioè il "Piano di rinascita democratica" ed il "Memorandum", che lo integra e lo motiva. Il contenuto dei documenti è tale da escludere che si sia trattato, come Gelli afferma, di una serie di appunti elaborati in vista di successivi interventi sulla stampa. Si tratta invece, come già osservato, di un progetto politico complessivo, frutto evidente di un'elaborazione collettiva; e cioè documenti programmatici che assumono rilievo non tanto in sé, ma in virtù della loro esatta coincidenza con l'accertata attività concreta della Loggia, e con comportamenti assunti nel tempo dai suoi affiliati. Vuol dirsi cioè che, analizzando i comportamenti concreti e i criteri con cui furono individuate le persone da reclutare, si evidenzia in controluce un piano di azione non molto dissimile da quello rinvenuto nella valigia di Maria Grazia Gelli e composto, come già più volte ricordato, dal "Piano di rinascita democratica" e dall'allegato "Memorandum". Quest'ultimo è un documento di analisi della situazione politica che parte dalla constatazione della situazione di crisi della Democrazia cristiana. La soluzione a tale problema potrebbe venire dalla creazione di due nuovi movimenti politici, uno social-laburista e l'altro liberal-moderato o conservatore, in grado di catalizzare, a destra ed a sinistra della D.C. le aree moderate che stentatamente convivono all'interno del partito impegnandosi in una lotta interna esiziale. Ma poiché tale progetto appare troppo ambizioso in termini di costo e di tempo necessari per la realizzazione, non rimane che avviare un processo di rifondazione della Democrazia cristiana che passi anche attraverso il ringiovanimento dei quadri e la sostituzione di almeno l'80% della dirigenza del partito. E' necessario poi che la D.C. prenda atto della "cetimedizzazione" della società italiana abbandonando perciò la sua anima più radicatamente popolare che solo nella contrapposizione all'ideo logia comunista trovava la sua giustificazione, in favore di una "morale fondata sull'equilibrio fra diritti e doveri, sul principio del neminem ledere", sulla libertà di scelta economica quale presupposto di quella politica, sul dovere di solidarietà cristiana e umana che ha inizio nel momento fiscale. Anche l'apparato del partito deve adattarsi con radicali cambiamenti articolandosi in clubs territoriali e settoriali destinati a funzionare come centri propulsori nel campo della propagazione delle idee mentre il ricambio ai vertici del partito deve essere garantito dall'eliminazione di gran parte dei vertici nazionali e periferici e la sostituzione con nuove leve provenienti dal mondo esterno. Solo una struttura di questo tipo sarebbe in grado di realizzare il programma contenuto nel "Piano di rinascita", che costituisce una sorta di allegato al "Memorandum", mentre d'altro canto non avrebbe senso lo sforzo necessario per la creazione della struttura, se non per la realizzazione di cambiamenti prospettati nel piano. Significativamente il documento termina con una previsione di spesa di una decina di miliardi, necessari per inserirsi nel sistema di tesseramento per "acquistare il partito" mentre una cifra altrettanto consistente appare necessaria per provocare la scissione del sindacato, altra condizione indispensabile per la realizzazione del progetto. Il "Piano di rinascita democratico" fissa, dandosi obiettivi a breve, medio e lungo termine, i punti necessari per il raggiungimento dello scopo e indica gli obiettivi da tenere presenti: i partiti, i sindacati, il Governo, la Magistratura, il Paralamento, Partiti, stampa e sindacati possono fin da subito essere oggetto di quella opera di "penetrazione" da parte di persone di fiducia che, con un costo prevedibile di trenta o quaranta miliardi, potrebbe assicurare il controllo degli apparati rendendoli disponibili all'operazione di salvataggio contenuta nel piano. Il resto del documento analizza partitamente ogni settore individuando gli obiettivi da raggiungere immediatamente o in tempi più lunghi e tale disamina è preceduta da una premessa: "Primario obiettivo e indispensabile presupposto dell'operazione è la costituzione di un club (di natura rotariana per l'omogeneità dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati, nonché pochissimi e selezionati uomini politici, che non superi il numero di trenta o quaranta unità. Gli uomini che ne fanno parte devono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore morale, tali cioè da costituire un vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politci che si assumeranno l'onere dell'attuazione del piano e nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare. Importante è stabilire un collegamento valido con la massoneria internazionale". In questo paragrafo è in qualche modo condensata la filosofia essenziale del "Piano di rinascita", che è quella di una visione fortemente economicista della società che relega in un angolo la politica, i cui rappresentanti hanno necessità di una garanzia che non gli viene dalla legittimazione ma dai rappresentanti delle élites, attribuendogli un ruolo di strumento di mediazione tanto ineliminabile quanto sgradito e quindi relegato in una posizione fortemente marginale e in buona sostanza appena tollerato per conservare il carattere democratico del sistema. Per quanto riguarda i procedimenti si può brevemente dire che l'obiettivo deve essere, nei partiti, nella stampa e nel sindacato, quello del controllo delle persone che in ogni formazione o in ogni giornale siano ritenute sintoniche con gli obiettivi del "Piano" e della creazione di strutture (formazioni politiche e giornali) che se ne facciano strumento di realizzazione. Per il sindacato in particolare, deve essere prioritario l'obiettivo della scissione dell'unità sindacale per poi consentire la riunificazione con i sindacati autonomi di quelle componenti confederali sensibili all'attuazione del "Piano". Tale obiettivo è preferibile (e meno costoso in termini economici) rispetto a quello, pur esso positivo, del rovesciamento degli equilibri di forze all'interno della confederazione. Per quanto riguarda i programmi, il documento si articola con l'illustrazione di una serie di interventi, sul piano delle istituzioni, dell'istruzione e dell'economia, coerenti con le premesse date e idonee alla realizzazione del progetto sia nel breve termine che nei tempi medi e lunghi. Il risultato finale di tutta l'operazione avrebbe dovuto restituire una magistratura più controllata (con la diversa regolamentazione degli accessi e delle carriere) e meno autonoma (con la modifica del C.S.M.); un pubblico ministeroseparato e legato alla responsabilità politica del Ministro di giustizia; un Governo il cui presidente viene eletto dalla Camera, libero da condizionamenti del Pralamento e i cui decreti non sono emendabili; un sistema della rappresentanza congelato con elezioni a scadenza rigida e simultanee per il Parlamento ed i consigli regionali e comunali; un Parlamento profondamente modificato e ridimensionato nella composizione e nelle funzioni; una Corte costituzionale ricondotta in argini più ristretti attraverso il divieto delle sentenze cosiddette additive; una amministrazione forte nei suoi apparati da contrapporre alla fragilità del controllo politico esercitato su di essa, una struttura sociale più rigida e meritocratica, una stampa più con trollata, un'economia libera da eccessivi condizionamenti. Abbastanza agevole è quindi cogliere, così chiarendo il senso del "passaggio di fase", una distinzione tra il "Piano R", vero schema di colpo di Stato, ed il programma di rinascita che assumeva i profili dell'illiceità con riferimento non al contenuto del Piano (a parte l'inciso sulla possibile sua realizzazione per decreto), quanto ai mezzi che ci si proponeva di utilizzare (non la legittimazione del voto, ma ad esempio le cosiddette "operazioni finanziarie" di controllo dei meccanismi della rappresentanza). Tuttavia, anche all'interno del "Piano" e del "Memorandum", è possibile ritrovare tracce testuali di una continuità di elaborazione che collega tali documenti posteriori allo "Schema R" e che testimonia della non episodicità e della non individualità delle riflessioni dell'organizzazione P2 sul tema. Anche lo "Schema" contiene infatti riferimenti al divieto di sentenze additive per la Corte costituzionale, alla necessità di abolire le province e di fissare una data comune e inderogabile per le elezioni del Parlamento e per quelle regionali e comunali, all'accertamento dei poteri di programmazione attraverso la riforma del Ministero delle partecipazioni statali (che nel "Piano" diventa Ministero dell'economia).

11. Su tali basi è quindi possibile rilevare come ben relativo fosse il carattere democratico del "Piano di rinascita" che pure i suoi estensori pretesero di attestare in limine, e cioè nell'incipit della premessa: "l'aggettivo democratico sta a significare che sono esclusi dal presente Piano ogni movente o intenzione anche occulta di rovesciamento del sistema". Ad asseverare tale dichiarazione di intenti potrebbe valere il rilievo che gli obiettivi del "Piano" ben potrebbero considerarsi rientranti nel programma politico di un partito conservatore, soprattutto oggi che almeno parte di essi sono nel dibattito politico oggetto di una condivisione abbastanza ampia. Ma è l'analisi dei mezzi (e non dei fini) ad escludere, come già ricordato, il carattere democratico del Piano, affidato ad un'operazione occulta degli affiliati all'interno delle istituzioni, dei movimenti politici, del sistema dell'informazione e dell'economia. D'altro canto tutta la storia della P2 dimostra un tentativo di occupazione del potere e si realizza attraverso la distribuzione di uomini "propri" in ogni posto di responsabilità e se questo è nella logica storicamente consolidata della massoneria di tutte le "fratellanze" di qualsiasi matrice, si fonde nella P2 con lo sforzo di realizzazione di un progetto politico e di un assetto istituzionale che stravolge radicalmente quello esistente impossessandosene da dentro e violando i suoi principi fondamentali. A riprova che il carattere democratico di un ordinamento riposa non soltanto sul profilo statico di istituzioni che fondano e recuperano la loro legittimazione nel consenso popolare, ma anche (e in maniera non meno intensa) sul profilo dinamico dei metodi, caratterizzati da trasparenza e visibilità, ai quali l'ordinamento stesso affida le prospettive di una sua possibile riforma.


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