L'ESTREMISMO DI DESTRA NELLA PRIMA META' DEGLI ANNI SETTANTA |
L'ESTREMISMO DI DESTRA NELLA PRIMA META' DEGLI ANNI SETTANTA
O.1. La storia dell'estremismo di sinistra e del partito armato è apparsa alla Commissione pienamente conoscibile e sufficientemente conosciuta; e ciò non soltanto per i profili (la contestazione studentesca, le lotte sindacale ed operaie, la vita ufficiale dei gruppi della sinistra extraparlamentare, il movimento del '77) che appartennero al piano immediatamente leggibile degli eventi, ma anche per gli aspetti che la scelta della clandestinità rese inizialmente occulti e coperti da un velo - per vero abbastanza esile - di mistero. Permangono ancora marginali ambiti di inconoscibilità, zone opache o caratterizzate da una permanente ambiguità; e tuttavia il fenomeno si presta ad una lettura non equivoca, che la Commissione ha operato.
Considerazione appena diversa merita la storia della destra eversiva e cioè dell'altra grande protagonista delle tensioni sociali che hanno insanguinato per oltre quindici anni la vita del Paese. Anche per la tale diversa e opposta forma di estremismo politico può infatti ritenersi già sufficiente il grado di avanzamento degli accertamenti giudiziari, che hanno consentito di chiarire una miriade di episodi piccoli e grandi con precise attribuzioni di responsabilità individuale. Il copioso materiale acquisito dalla Commissione chiarisce altresì come tale disvelamento abbia riguardato in una prima fase episodi che sin dal loro verificarsi furono percepiti come frutto di terrorismo politico; in una seconda fase episodi che originariamente apparvero come di delinquenza ordinaria e che invece si sono rivelati connessi a vicende di criminalità politica, di cui hanno consentito una più ampia e completa lettura.
Può quindi ritenersi che anche per l'eversione di destra, come per quella di sinistra, un lungo cammino, anche se più lento e faticoso, sia stato già compiuto verso l'acquisizione di una piena conoscenza del fenomeno, fondata ancora per parte notevole su apporti di appartenenti ai gruppi eversivi, la cui collaborazione peraltro ha manifestato una progressione molto più complessa e complicata di quella, pur analoga, degli appartenenti alle formazioni di sinistra.
Si è in genere trattato di collaborazioni che, muovendo da riferimenti iniziali a specifici episodi, hanno in seguito avuto una maturazione molto lenta, spesso fortemente condizionata da dinamiche interne al gruppo o al movimento di appartenenza, nonché dai vincoli di amicizia che fortemente ne legavano gli aderenti, sicché la progressione delle diverse collaborazioni da un lato si è determinata in termini di reciproca influenza, dall'altro assai di rado ha raggiunto il livello di una radicale rottura con il passato e quindi di un effettivo "pentimento", dovuto vuoi ad una revisione critica della personale esperienza del collaborante, vuoi all'intento utilitaristico di avvalersi dei benefici della legislazione premiale. Tipica, come esempio, può ritenersi la figura di Vincenzo Vinciguerra, che, pure essendosi confessato esecutore materiale dell'attentato di Peteano, ha rifiutato qualsiasi beneficio derivante dalla collaborazione che ha iniziato solo dopo che la su
a condanna all'ergastolo era divenuta inoppugnabile. Vinciguerra continua a definirsi un soldato politico e querela chiunque lo definisca un collaboratore di giustizia.
Né si tratta di un esempio isolato. Anche Sergio Calore, ad esempio, che pure ha dato notevole contributo agli accertamenti giudiziari, ha a lungo rifiutato di considerarsi un collaboratore di giustizia, perché almeno nella fase iniziale il suo interlocutore non è stato il magistrato, né il suo obiettivo quello di ottenere i benefici previsti dalla legislazione premiale; il suo interlocutore è stata la stessa destra rivoluzionaria e il suo obiettivo quello di accreditarsi come combattente rivoluzionario, che ha lottato contro lo Stato con mezzi che riteneva legittimi perché diversi dallo stragismo e che ora chiamava gli altri ad un processo di chiarificazione che disvelasse i meccanismi e le ragioni della sconfitta.
0.2. Peraltro se può ormai parlarsi di una sufficiente ricostruzione della dinamiche dei gruppi eversivi e di destra e di sinistra (che ha consentito notevoli accertamenti di responsabilità personali per i singoli episodi), non vi è dubbio che altrettanto non può dirsi molti degli episodi più gravi che segnarono sanguinosamente la stagione eversiva e cioè gli episodi di strage.
Vero è che alla riflessione della Commissione appare poco più di un luogo comune la ripetuta affermazione che sulle stragi non si conosca nulla, mentre luce piena o almeno sufficiente si sarebbe fatta su tutti gli altri settori ed episodi del terrorismo. In realtà il materiale raccolto nei vari processi per strage appare alla Commissione di notevole qualità e forza probatoria ai fini di una già credibile ricostruzione storica del periodo, anche se è innegabile che soltanto in pochi casi ha consentito di giungere ad un accertamento giudiziario definitivo di condanna e cioè alla affermazione di individuali responsabilità.
Senza volere anticipare un'analisi ed un'esposizione compiuta delle ragioni per cui ciò sia avvenuto, sembra opportuno rammentare in limine che il fatto di strage indiscriminata, proprio per la sua caratterizzazione, fin dal primo momento prospetta un'intensa difficoltà di individuare la fonte di provenienza dell'attentato. E in ciò il fatto di strage si differenzia dall'atto terroristico, che anche quando non viene - come pur spesso accade - immediatamente rivendicato, presuppone sempre la possibilità di risalire con chiarezza al gruppo che l'ha commesso e che, appunto attraverso la leggibilità dell'attentato, riesce a conseguire il risultato "educativo" e di terrore finalizzato al proprio progetto politico. E' quindi coerente alla stessa natura del fenomeno che gli autori di una strage di tipo indiscriminato si pongano contestualmente l'obiettivo di evitare in qualunque maniera e ad ogni costo che la strage possa essere ricondotta al gruppo che l'ha effettivamen
te commessa; anzi in genere gli autori della strage si propongono l'obiettivo di rendere attribuibile la responsabilità ad altri e cioè o a settori degli apparati che combattono o a formazioni eversive di segno politico opposto. Tutto ciò serve non solo ad individuare la specifica diversità del fatto di strage, ma anche a comprendere perché in ordine ad indagini giudiziarie su fatti di strage non si siano ancora sviluppate le collaborazioni processuali, che invece hanno caratterizzato ormai da tempo le indagini sugli altri episodi di terrorismo. Ed infatti la collaborazione processuale per un fatto di strage presuppone il riconoscimento di una responsabilità che a livello individuale appare difficilissimo sopportare.
Ciò non toglie che gli apporti collaborativi che provengono dalla destra eversiva possano già oggi considerarsi sufficienti ad attestare un'attitudine di tali gruppi, persistente per tutto l'arco della loro evoluzione, a rendersi protagonisti di atti di strage, logicamente inseribili in una strategia di terrore indiscriminato. Il riferimento non è tanto alla già citata ammissione di responsabilità di Vincenzo Vinciguerra per l'attentato di Peteano, trattandosi di un episodio che può essere ancora letto come un attentato inserito nell'ambito di una strategia militare di opposizione allo Stato (in questo non diverso da molti degli attentati tipic anche del terrorismo di sinistra); e che quindi può essere rivendicato, stante anche il ridotto numero delle vittime, da chi, come Vinciguerra, non voglia abbandonare i panni del combattente rivoluzionario.
Il riferimento è semmai a quegli apporti collaborativi che - sia pure in termini mai definitivamente chiariti - già consentono di ritenere riferibili in termini di certezza ai gruppi della destra eversiva attentati gravissimi, che a pieno titolo possono essere considerati "stragi mancate". Si pensi ad esempio alla collaborazione di Sergio Calore e di Paolo Aleandri che hanno fornito chiavi di lettura indispensabili per comprendere episodi di fondamentale importanza come quello dell'attentato al CSM del quale Iannilli e Mariani si sono assunti la responsabilità materiale tentando di accreditare una lettura riduttiva e fuorviante. Il 20 maggio 1979 un'auto bomba fu collocata in piazza Indipendenza, e secondo le intenzioni di alcuni degli autori dell'attentato sarebbe dovuta esplodere di notte, quando probabilmente vi sarebbero stati danni soltanto agli edifici e forse qualche morto; e il cui timer invece da altri coautori dell'attentato fu regolato per l'ora in cui la piazza Indi
pendenza si sarebbe concentrato un raduno nazionale degli alpini. La bomba non esplose per un errore nell'innesco, ma dalle dichiarazione di Aleandri e Calore è possibile comprendere come nei gruppi della destra eversiva persisteva ancora alla fine degli anni '70 un'indiscutibile attitudine a compiere un atto dagli effetti devastanti e che, per il tipo di obiettivo scelto (il raduno nazionale degli alpini), avrebbe reso possibile l'attribuzione della strage ad un settore diverso da quello da cui proveniva.
Nella medesima direzione possono essere altresì ricordati episodi più antichi come, ad esempio, gli attentati ai treni consumati nei primi anni '70 (attentati spesso attribuiti alla sinistra o che avrebbero dovuto essere attribuiti alla sinistra, nell'ambito di quel disegno depistante al quale prima si è accennato). Alcuni partecipanti a tali attentati hanno credibilmente dichiarato di aver ritenuto che le bombe dovessero essere collocate in luoghi dove il danno sarebbe stato limitato (ad esempio in una toilette). In realtà in molti casi, contrariamente agli accordi, le bombe vennero collocate in scompartimenti e in alcuni casi ne era prevista l'esplosione in luoghi o punti (in galleria), che avrebbero determinato danni molto più gravi rispetto al progetto originariamente condiviso.
Specifico è il riferimento all'episodio avvenuto il 7 aprile 1973 in cui un personaggio come Nico Azzi (un estremista di destra appartenente al gruppo milanese "La Fenice" diretto da Giancarlo Rognoni, che aveva come punto di riferimento ideale Pino Rauti e stretti contatti con il Circolo Drieu La Rochelle di Tivoli cui apparteneva il già citato Sergio Calore), venne gravemente ferito dall'esplosione anticipata di un ordigno che stava collocando sul treno Torino-Roma.
Perizie giudiziarie hanno accertato che se l'esplosione fosse avvenuta effettivamente nel luogo programmato avrebbe causato una strage tra i passeggeri. Azzi aveva con sé del materiale (giornali e documenti) che avrebbe portato ad attribuire la strage all'estrema sinistra. La gravità e le finalità dell'episodio furono già pienamente valutate ed intuite in sede del primo esame giudiziario della vicenda. Scriveva infatti il G.I. di Genova: "La prospettiva d'azione era quella di creare uno stato di tensione nel Paese: e a ciò sarebbe riuscito in maniera egregia l'eccidio ferroviario che, falsamente attribuito all'opposta fazione secondo una raffinata tecnica di lotta ormai collaudata dalla storia, avrebbe sconvolto l'opinione pubblica e cagionato universale esecrazione in una intensità proporzionale all'entità del delitto senza precedenti".
Sono tutti episodi che considerati nell'insieme consentono di ritenere fondata su elementi di certezza la valutazione di un'attitudine stragista dei gruppi della destra eversiva. Si trattava ovviamente non di un'attitudine generalizzata, perché gli episodi rammentati attestano una contraddizione interna ai gruppi medesimi, dove evidentemente non tutti accettavano fino in fondo il ricorso alla strage indiscriminata come mezzo di lotta.
E' anche evidente come una conclusione di tal tipo sia del tutto insufficiente a fondare un'automatica attribuzione alla destra eversiva delle responsabilità delle grandi stragi insolute, che segnarono tragicamente la vita del Paese nella prima metà degli anni '70. La stessa conclusione infatti è sufficiente soltanto ad escludere che possa essere attribuita ad un aprioristico ed indiscriminato teorema la circostanza che indagini e investigazioni sulle stragi insolute si siano prevalentemente e reiteratamente orientate in direzione della destra eversiva.
0.3. Un'ulteriore notazione appare peraltro alla Commissione dovuta in limine e cioè prima di accingersi ad una riassuntiva ricostruzione del sorgere e dello svilupparsi dei principali gruppi della destra eversiva: il richiamo a quanto in pagine che precedono si è scritto sul complessivo quadro caratterizzante la seconda metà degli anni '60 e cioè il periodo immediatamente anteriore al quindicennio terribile (1969-1984) che la Commissione fa oggetto della sua analisi specifica. Per rammentare come le strette connessioni tra destra eversiva e settori degli apparati istituzionali dello Stato, in particolare degli apparati militari e di sicurezza, costituisca un dato storico ormai universalmente riconosciuto sulla base di documentali certezze. Basti a mero titolo di esempio ricordare la partecipazione al convegno dell'Istituto Pollio, e cioè ad un convegno organizzato dai vertici delle istituzioni militari, di noti partecipanti della destra eversiva come Giannettini, Rau
ti e Delle Chiaie.
Come si vedrà tali connessioni accompagnarono, anche se con intensità decrescente, l'intera storia della eversione di destra. Ed è un fenomeno che ha contribuito a determinare una progressione delle collaborazioni, ben più lenta rispetto a quella che ha caratterizzato gli apporti collaborativi di appartenenti alle formazioni eversive di sinistra.
Ed infatti la passata esperienza di ambiguo rapporto con l'apparato istituzionale, ha spesso portato l'appartenente al gruppo eversivo di destra, che andava maturando l'idea di collaborare con la giustizia, a non fidarsi delle persone che aveva di fronte, a non ritenere cioè che il suo interlocutore rappresentasse effettivamente lo Stato, perché aveva conosciuto l'istituzione sotto forma diversa, aveva cioè conoscenza di meccanismi attraverso i quali il suo interlocutore poteva improvvisamente divenire non più credibile, non più affidabile, sì da porre in dubbio che la sorte del collaborante potesse essere effettivamente quella che gli veniva prospettata dal magistrato o dal funzionario proponente la collaborazione.
Malgrado tali limiti specifici degli apporti collaborativi, la storia dei principali gruppi della destra eversiva è stata ormai oggetto di una compiuta lettura in sede e giudiziaria e storiografica; con risultati di cui la Commissione è tenuta a prendere atto.
1. Fino alla metà degli anni '70 lo scenario delle organizzazioni dell'estrema destra è denominato da Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale (135); sigle minori in ambito studentesco ed universitario sono comunque riconducibili ad esponenti che si muovono nelle file dell'una o dell'altra organizzazione o ad articolazioni delle stesse organizzazioni che tendono ad essere presenti nelle diverse realtà con sigle autonome (come il F.A.S., Fronte di Azione Studentesca, con cui Ordine Nuovo organizza la sua Úquot;penetrazione tra i giovani, poiché la rivoluzione la fanno i giovani... salvo ovviamente le poche eccezioni tra noi rappresentateÚquot; o come Caravella e Lotta di Popolo, in cui è forte la presenza di appartenenti ad AN). Tra le due formazioni non vi sono discriminanti ideologiche nette, ma solo una diversità di atteggiamento. I due movimenti occupano spazi politici ben determinati e sono complementari, l'uno (O.N.) privi
legiando il momento strategico, costruendo così il discorso teorico della rivoluzione per i tempi lunghi, per le generazioni avvenire, l'altro (AN) esaltando nella sua azione il momento tattico e quindi immediato (136).
Le comuni radici ideologiche, che risalgono alla tradizione storica del fascismo rivoluzionario e della Repubblica Sociale Italiana, si alimentano dell'analisi e della critica che di quelle esperienze viene fatta da Julius Evola. La concezione dello Stato e quella della missione delle avanguardie politiche da lui elaborate costituiscono l'humus di cui si nutrono le posizioni di entrambe le formazioni e che, al di là del processo più volte tentato di vera e propria fusione, hanno determinato nel tempo fenomeni di osmosi tra i militanti dell'una e dell'altra; e che quindi rendono la distinzione innanzi delineata sostanzialmente tendenziale.
2. Ordine Nuovo nasce nel 1956, come Centro Studi Ordine Nuovo, dopo il congresso di Milano del MSI, dal quale si scinde nel nome della continuità con gli ideali della RSI, sotto la guida di Pino Rauti che, all'interno del partito, aveva già dato vita ad una aggregazione denominata Ordine Nuovo. Promotori della scissione, insieme a Rauti, sono Graziani, Massagrande, Delle Chiaie. Dopo la morte del segretario Michelini, il nuovo segretario del M.S.I. Giorgio Almirante, che aveva guidato all'interno del partito l'opposizione interna più vicina alle posizioni degli ordinovisti scissionisti, avviò il tentativo di recupero di tutti i gruppi dissidenti. Il processo di riassorbimento arrivò a compimento nel dicembre del 1969 con il ritorno di Rauti nel MSI, che motivò tale rientro con la necessità, a fronte dei mutamenti in atto nella situazione politica nazionale, di procedere a "una revisione globale della sua posizione nel quadro delle contingenze globa
li che indicano, senza alcun dubbio, una possibilità di rottura degli equilibri, di estrema pericolosità... Ne consegue che è necessità vitale per la vita futura (prossimo futuro) di Ordine Nuovo inserirsi dalla finestra nel sistema dal quale eravamo usciti dalla porta, per poter usufruire delle difese che il sistema offre attraverso il parlamento, con tutte le possibili voci propagandistiche che ne derivano... Necessità contingente dunque, assoluta e drammatica...".
Alla posizione di Rauti si contrappone quella di Graziani, Massagrande, Saccucci Tedeschi, Besutti ed altri, che rifiutano di rientrare nei ranghi del MSI per la costituzione di un "movimento rivoluzionario al di fuori degli schemi triti e vincolanti dei partiti, una formazione agile, adeguata alle esigenze della situazione politica attuale e strutturata secondo criteri propri delle minoranze rivoluzionarie", che assume il nome di Movimento Politico Ordine Nuovo.
Il movimento, che si autodefinisce come l'unico movimento politico fautore di una strategia globale nazional-rivoluzionaria, si dà una prima organizzazione provvisoria nel corso di una riunione del 21 dicembre 1969 e una organizzazione più complessa dopo il I congresso tenutosi a Lucca nell'ottobre del 1970, comunicata agli aderenti con il Notiziario Riservato del 5 novembre 1970.
L'attività ed il progetto politico del movimento vennero all'attenzione dell'autorità giudiziaria, dopo che gli aderenti si erano resi protagonisti di più di quaranta episodi di aggressione e avevano giocato un ruolo significativo nei disordini di Reggio Calabria del 1970, quando nel giugno 1973, Ordine Nuovo formò oggetto di un dettagliato rapporto della Questura di Roma. Quel rapporto e gli atti che ne scaturirono portarono i quadri dirigenti del movimento prima a giudizio avanti al Tribunale di Roma per il reato di ricostituzione del partito fascista e, dopo la condanna del 21 novembre 1973 (137), al decreto di scioglimento dell'organizzazione, del 23 novembre successivo. L'ipotesi accusatoria ha vincolato l'accertamento del Tribunale alla verifica della corrispondenza tra il progetto, i fini e l'organizzazione del movimento e quelli propri del fascismo. Gli elementi che col tempo sono emersi consentono oggi di dire che già all'epoca erano stati consumati fatti delittuos
i di maggiore gravità e relativi a impotesi associative di diverso rilievo, che solo molto tempo dopo sarebbe stato possibile ricondurre nell'ambito dell'organizzazione. Pur con tali limiti, gli atti di quel processo e la sentenza che lo concluse costituisvono un punto di partenza ineliminabile per comprendere sia gli ulteriori sviluppi del movimento che i meccanismi delle dinamiche interne alla destra radicale.
Ordine Nuovo risultava già caratterizzato come un movimento semiclandestino, fortemente gerarchizzato, con una direzione politica centralizzata, orientato a muoversi in gruppi di pochissime persone che dovevano essere in grado di volta in volta di mobilitare un'area di simpatizzanti, ispirato ad una concezione elitaria e mitica dello Stato, antidemocratica e antiborghese, in assoluta contrapposizione con la democrazia parlamentare e l'organizzazione del consenso attraverso i partiti, ma almeno in parte non antistituzionael (138).
Il movimento è infatti caratterizzato da una "concezione antidemocratica, antisocialista, aristocratica ed eroica della vita", ma la stessa matrice evoliana gli conferisce un ruolo non antagonista rispetto allo Stato; anzi, come è stato osservato, la possibilità di utilizzare il "movimento nazionale" in funzione antisovversiva di difesa dello Stato è una costante, almeno nella prima fase, del pensiero di Evola: per difendere lo Stato ormai ostaggio delle masse organizzate, capaci in ogni momento di paralizzarne la vita, occorreva creare "una rete capillare intesa a fornire prontamente elementi di impiego per fronteggiare dovunque... l'emergenza", avendo come fine "anzitutto e prima di tutto la difesa contro la piazza dello Stato e dell'autorità dello Stato (persino quando esso è uno "Stato vuoto") e non la loro negazione" (139). In tale prospettiva il movimento nazionale doveva individuare, all'interno dello Stato, qu
ei "corpi sani" cui era possibile far riferimento, come i paracadutisti, la polizia, i carabinieri.
Tale originaria impostazione favorirà, fin dall'inizio, il contatto con quei settori dell'arma dei carabinieri e dei servizi di informazione che all'interno e contro le istituzioni si muovevano per condizionare la situazione politica in chiave autoritaria.
Il tratto distintivo più significativo, dal punto di vista della risposta delle istituzioni, tra l'azione di contrasto all'estremismo di destra e a quello di sinistra, è proprio la sintonia tra i disegni degli eversori e quelli di una parte degli apparati che li avrebbero dovuti combattere ed ha radici profonde e risalenti nel tempo, che poco hanno a che fare con la episodica strumentalizzazione del singolo fatto. Ciò ha contribuito in modo determinante a rendere impervio e a volte impossibile il compito degli inquirenti che solo assai faticosamente e a distanza di anni hanno potuto ricostruire ormai con sufficiente chiarezza i tratti significativi dei percorsi eversivi.
3. Avanguardia Nazionale fu fondata nel 1960 da Delle Chiaie, che si allontana con questo da O.N., della cui separazione dal MSI era stato sostenitore. Nel 1965 A.N. si sciolse e gli aderenti, pur non rompendo i collegamenti tra loro, parteciparono sotto altre sigle all'esperienza politica della destra radicale non dissimilmente da quanto faceva ON. Fu poi ricostituita nel 1970, in concomitanza con il processo di parziale riassorbimento di O.N. nel MSI. Animata da una pari ostilità nei confronti dei regimi comunisti e dello stato liberal-democratico, A.N. propugna l'idea di una rivoluzione europea per ripristinare le naturali differenze tra gli uomini e dar vita alla formazione di una élite rivoluzionaria che funga da avanguardia, organizzata in piccoli gruppi o in nuclei qualificati che nell'azione concretizzano la fusione tra ideale e sua realizzazione. Il movimento teorizza l'ipotesi golpista classica, richiamandosi, come O.N., al fascismo storico e alla RSI, ma ricollegandosi all'espe
rienza allora attuale dei regimi militari in Europa e America Latina. Si prefigge inoltre lo scopo di determinare "una definitiva divisione verticale nelle forze politiche in due fronti contrapposti: il demo-marxista e il nazionale rivoluzionaria". L'esasperazione del clima di tensione è strumentale a tale disegno e può essere raggiunta sia attraverso lo scontro con l'avversario che attraverso azioni di provocazione non riconducibili alla loro reale matrice. Funzionale a tale disegno è anche e soprattutto il mantenimento di contatti con gli apparati che, una volta determinata una lacerazione del tessuto del potere, sono destinati ad intervenire per ripristinare l'ordine. Anche A.N., sulla base della stessa attività di poliziagiudiziaria che aveva portato al rapporto contro O.N., fu, attraverso i suoi maggiori esponenti, sottoposta a procedimento per ricostituzione del partito fascista e, sebbene in tempi più lunghi e con condanne più miti, si pervenne prima
alla condanna, nel 1976, quindi allo sciogliemento dell'organizzazione (140).
Fonti che furono rese disponibili solo molto tempo dopo la conclusione di quel processo (141) riferiscono dettagliatamente dell'esistenza all'interno di A.N. di due livelli: un livello "ufficiale", destinato allo svolgimento delle attività pubbliche e legali, e una struttura "secondaria" che costituiva un vero e proprio apparato clandestino. Di tale seconda struttura, secondo una metodologia assai raffinata, facevano parte i militanti dotati di capacità organizzative più adatte al lavoro clandestino, scelti fra coloro che non erano noti alla polizia ed ai carabineiri per la loro attività politica pubblica e fra quanti avevano finto di abbandonare l'attività politica. Il lavoro di tale struttura, dedita ad attività terroristiche, era regolato da norme assai precise tra cui la conoscenza limitata ad un numero ristretto di altri membri dell'apparato e la non conoscenza di chi avesse compiuto una certa "azione" se appartenente a un'altra &qu
ot;cellula". Chi apparteneva alla struttura "secondaria" doveva godere della piane fiducia del vertice e collaborare al "filtraggio" dei militanti.
Nel frattempo la condanna degli ordinovisti e lo scioglimento dell'organizzazione O.N. aveva colpito l'ambiente della destra eversiva nel quale si faceva affidamento su una risposta più impacciata da parte dell'ordinamento e aveva determinato uno sbandamento nelle file ordinoviste, ma al tempo stesso costituì una sorta di trauma unificante richiamando attorno all'organizzazione colpita la solidarietà delle altre formazioni e quella di A.N. in particolare (142).
4. La risposta allo scioglimento di Ordine Nuovo (143) è costituita dal tentativo di riunificazione tra O.N. e A.N. che viene lungamente preparata con contatti tra gli ordinovisti in Italia e voluta fortemente da Stefano Delle Chiaie e che fu sancita in una riunione svoltasi ad Albano nel 1975. Alla presenza degli stati maggiori dell'eversione e di diversi latitanti (come Delle Chiaie e Concutelli) rientrati clandestinamente, fu dato corpo alla struttura riunita, che, utilizzando quale schermo la sigla ancora legale di A.N., non doveva essere la somma delle due strutture, ma la risultante della loro fusione, riconoscendo zona per zona la leadership all'organizzazione localmente più rappresentativa. L'organizzazione riunita doveva avere un suo organigramma e mettere in comune le armi, le strutture logistiche e il piano d'azione attorno ad una strategia che sanziona un radicale cambiamento di atteggiamento. Delle Chiaie, secondo quanto poi appreso dall'autorità giudiziaria, avrebbe e
sordito senza mezzi termini annunciando che: "noi siamo qui non per fare stupidaggini come seguire linee politiche o fare giornali, noi siamo qui per prenderci il potere" secondo una linea d'azione così sintetizzata da Calore: "arrivare ad ottenere la disarticolazione del potere colpendo le cinghie di trasmissione del potere statale". Come si vede il baricentro si sposta verso una scelta spiccatamente antisistemica. L'indicazione data in quella sede da Delle Chiaie proclamando che "Occorsio era un nemico da abbattere" fornisce una tragica esemplificazione del nuovo atteggiamento, ed avrà l'anno successivo puntuale esecuzione per mano dell'ordinovista Concutelli.
Ad avviso della Commissione il processo di riunificazione appare estremamente significativo per comprendere lo sviluppo della strategia della destra eversiva nel suo complesso. Esso non ha potuto avere in sede processuale - per ragioni necessariamente legate ai limiti e agli obiettivi di ogni vicenda giudiziaria - una adeguata valorizzazione ricostruttiva, rimanendo schiacciato tra le valutazioni in punto di diritto sugli elementi della fattispecie associativa e i vincoli derivanti dal principio del ne bis in idem. Tuttavia si può storicamente affermare che la riunificazione si pone come passaggio tattico di una strategia che vede intrecciarsi i percorsi degli ordinovisti e degli avanguardisti. Il delitto Occorsio, già ricordato, il sequestro Mariano, l'attentato a Leighton, si inseriscono in tale contesto. L'arresto degli appartenenti alle due organizzazioni (Tilgher, Vinciguerra, Crescenzi, Di Luia, tutti di A.N. e Gubbini di O.N.) nell'appartamento di via Sartorio in Roma nel dicembre del 19
75, fornisce, insieme al rinvenimento dell'organigramma della struttura unificata e di copioso materiale documentale (144), tra cui documenti ideologici di pugno di Concutelli e di Delle Chiaie, la dimostrazione evidente dell'avvenuta fusione.
5.0. Come si è avuto modo di sottolineare all'inizio del presente capitolo, le nuove acquisizioni processuali offrono elementi di conoscenza che concorrono a rendere intellegibile il contesto generale in cui si è iscritta la strategia della tensione. Il materiale reso disponibile alla Commissione da recenti inchieste - ancorché non formi ancora oggetto di giudicato penale e richieda ulteriori verifiche giudiziarie - appare sufficientemente idoneo a consentire la formulazione del giudizio storico-politico che la Commissione è chiamata ad esprimere circa il grado e l'effettività dell'azione di contrasto che le istituzioni dispiegarono per arginare il fenomeno dell'eversione e dello stragismo; e tutto ciò anche a prescindere dalla concreta possibilità che le autorità giudiziarie pervengano all'accertamento di responsabilità individuali.
Le più recenti acquisizioni processuali chiariscono con maggiore evidenza come il tentativo di riunificazione tra Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale sia nato nel contesto di uno scambio di antica data tra le due formazioni, ma soprattutto collocano organicamente entrambe le formazioni nel disegno di destabilizzazione, o meglio di "stabilizzazione" in senso autoritario del sistema, che si esprime con i progetti golpisti e con la strategia della tensione.
Dopo la prima stagione dei processi per ricostituzione del partito fascista e le condanne dei vertici delle due organizzazioni, si è già ricordata la fase nella quale aderenti di O.N. ed A.N. riportarono condanne per reati associativi e per episodi specifici che, al momento del loro accadimento, non erano stati ricondotti alle predette organizzazioni.
Ma le novità di maggior rilievo per quanto concerne i profili di interesse e la competenza della Commissione vengono da procedimenti in corso a Bologna (processo Italicus bis) e a Milano (che dall'attività del gruppo La Fenice risalgono fino alla strage di piazza Fontana). Le ricostruzioni istruttorie hanno confermato un disegno che nelle grandi linee era già tracciato, e cioè quello di una sostanziale contiguità tra O.N. e AN, ma soprattutto della stabilità dei rapporti di entrambe con settori dei servizi di informazione e alcuni apparati militari, di un loro coinvolgimento già dalla fine degli anni '60 (a livello operativo, cioè concretizzatosi attraverso fatti delittuosi) nei progetti golpisti succedutisi fino al 1974. Tali ricostruzioni hanno anche introdotto elementi di novità che qualitativamente mutano il quadro precedente.
In particolare, l'inserimento a pieno titolo di O.N. nelle strutture dei Nuclei di Difesa dello Stato (145), che sembrerebbe potersi affermare sulla base delle risultanze degli accertamenti milanesi - induce a riconsiderare la qualificazione dell'attività del gruppo mentre lo stesso numero degli episodi di copertura e depistaggio accertati aggrava la qualità di un collegamento con ambienti interni alle istituzioni che già nelle istruttorie precedenti era risultato evidente.
Benché la serietà e lo scrupolo delle istruttorie consentano di attribuire ad essi un grado di attendibilità elevato, è comunque doveroso precisare che si tratta di accertamenti limitati alla fase istruttoria e che la Commissione ha potuto prendere in esame solo i documenti conclusivi di tale fase (l'ordinanza del g.i. Grassi e la prima ordinanza del G.I. Salvini) e non, direttamente, tutti gli atti del procedimento. L'esito della ulteriore verifica di ogni singolo episodio non appare comunque passibile, nel complesso delle risultanze, di depotenziare il quadro emergente dagli atti.
Nei paragrafi che seguono, la Commissione ritiene di dover dar conto, in forma sintetica, di alcune delle indicazioni ricavabili dalle due sentenze-ordinanze testé ricordate. Tali indicazioni riguardano:
a) i contatti tra A.N., il Sid e l'Ufficio affari riservati del Ministero dell'interno,
b) i rapporti tra O.N., il Sid e ufficiali dell'Esercito,
c) le coperture fornite dal Servizio e le fonti (interne alle strutture eversive) mai utilizzate per un'azione di contrasto,
d) le attivià di provocazione e/o i delitti commessi dalla destra eversiva o dal Servizio, da attribuire alla sinistra.
5.1. I rapporti di Avanguardia Nazionale con i servizi di informazione, prima con l'Ufficio affari riservati, poi con il SID, hanno origini risalenti ai primi anni 60, quando l'area di A.N., tramite il giornalista Mario Tedeschi, fu coinvolta dall'Ufficio affari riservati del Ministero dell'interno nell'attività di affissione dei "manifesti cinesi", una campagna di attacco al partito comunista apparentemente proveniente dalla sua sinistra (146). Tale attività du ammessa dallo stesso Delle Chiaie che la ricondusse ad una iniziativa dell'Ufficio affari riservati, condivisa tatticamente da A.N. come valida manifestazione di "guerra psicologica" nei confronti del partito comunista. A prova della "copertura" fornita all'operazione da parte delle forze dell'ordine, secondo quanto riferisce Vinciguerra, Delle Chiaie (147) avrebbe appreso da un funzionario della Questura che la immediata liberazione di alcuni avanguardisti fermati durante l'affissione dei manifesti e
ra stata frutto di un preciso intervento in tal senso. Nell'operazione fu coinvolta AN a livello nazionale e non soltanto a Roma.
La collaborazione tra A.N. e l'Ufficio affari riservati è riferita poi dal capitano Labruna, che dice di averla appresa da Giannettini e da Guido Paglia. Tale circostanza trova conferma nelle dichiarazioni di Giannettini e nella nota relazione su "attività di Avanguardia nazionale e gruppi collegati" consegnata da Guido Paglia al Sid e non trasmessa all'autorità giudiziaria (148). La relazione fu invece utilizzata, secondo Vinciguerra (149), proprio come prova di affidabilità del servizio nei confronti di Delle Chiaie, con il quale Labruna si incontrò in Spagna poco dopo la ricezione della nota. Labruna faceva così sapere a Delle Chiaie che il Sid sapeva che il coinvolgimento di A.N. nel golpe Borghese era passato proprio attraverso la struttura di intelligence del Ministero dell'interno, ma teneva la cosa segreta.
I contatti istituzionali di Delle Chiaie all'estero non furono peraltro occasionali, come dimostrano altresì gli incontri di questo con Labruna e con lo stesso Federico Umberto D'Amato (150).
5.2. Numerosi sono i riferimenti a contatti tra O.N. e ambienti informativi e militari; tali contatti devono collocarsi nel quadro della mobilitazione della destra eversiva al servizio dei progetti di detsabilizzazione cui facevano riferimento le dichiarazioni di Spiazzi e di Vinciguerra già negli anni '80 e che ora sono andate delineando un quadro sempre più completo.
A tal riguardo appaiono significative le dichiarazioni di Graziano Gubbini, ordinovista perugino che tra il 1971 ed il 1972 si era trasferito in Veneto ed era entrato nelle formazioni ordinoviste locali. (151) Questi riferisce di incontri con militari e di una riunione nella caserma di Montorio, cui Guubini partecipò come rappresentante del centro Italia unitamente ad un rappresentante per il sud e per il nord per "dar vita ad una struutura di civili di ispirazione ordinovista che, in collegamento con ambienti militari, avrebbe dovuto organizzarsi con basi, armi ecc.. con finalità anticomuniste"..."L'operazione venne denominata "Operazione Patria" e prevedeva la costituzione di una struttura organizzata inmodo analogo al F.N.L., con a disposizione basi, armi ed il nostro addestramento. Avremmo avuto a nostra disposizione per il nostro addestramento delle basi militari cioè la creazione di una struttura mista di militari e civili che avrebbe potuto avvvalersi dei
supporti logistici e addestrativi dell'esercito"; L'operazione si sarebbe arenata per la resistenza degli ordinovisti del centro e del sud alla consegna dell'elenco completo dei militanti dell'organizzazione.
Anche il gruppo perugino di O.N. risulta aver avuto contatti con il servizio di informazione tramite Maurizio Bistocchi e Luciano Bertazzoni (indicato agli atti del servizio come fonte CAPE), contatti non negati dagliinteressati i quali tuttavia cercano di sminuirne la portata, ma collocati invece da Graziano Gubbini in un contesto ben più articolato: "Effettivamente mi risulta che il Bistocchi venne contattato da un ufficiale dei carabinieri e sia lui che il Bertazzoni mantennero contatti con questa persona. Io stesso fui avvicinato, precedentemente, da un sedicente ufficiale dei carabinieri che mi propose di collaborare organicamente nell'ambito di una struttura anticomunista. Questa persona mi disse che avremmo avuto a disposizione armi e quant'altro fosse servito...." (152)
Per quanto riguarda poi i rapporti con ufficiali dell'esercito per il procacciamento di esplosivi ed altro analogo materiale, occorrerà ricordare quanto emerge dal documento Azzi (153) sulla possibilità, confermata da più fonti, di prelevare materiale proveniente dalle caserme di Pisa e di LIvorno e sulla messa a disposizione di esplosivo da parte del colonnello Santoro, che a tal fine era in stretto contatto con l'industriale Magni.
5.3 Parallelamente alla rete di connessioni e di contatti, si sviluppa anche una intensa attività di copertura da parte dei servizi in favore degli estremisti di destra. Il quadro che i più recenti accertamenti hanno riassunto riprendendo le fila di precedenti istruttorie e approfondito con nuove acquisizioni, sgombra il campo dall'equivoco nel quale si incorre allorchè si affronta il tema della responsabilità dei servizi stessi, fino a svuotare di contenuto poitico la inadeguata risposta dello Stato alle minacce terroristiche, stragiste e golpiste. L'equivoco riguarda la asserita, congenita incapacità e la cronica disorganizzazione di tali apparati di sicurezza. I servizi di informazione in realtà disponevano di notizie, di elementi di valutazione, di stabili fonti di informazione e di capacità professionali per la loro valorizzazione che li avrebbero messi in condizione di dare un aiuto determinante all'autorità giudiziaria e alla polizia giudiz
iaria se solo questo fosse stato il reale intendimento con cui l'attività di servizio veniva svolta e non piuttosto la sua strumentalità a disegni e progetti politici che, peraltro, sembra non avessero nelle sedi istituzionali la loro fucina di elaborazione. E' chiaro che, al riguardo, in nessun momento tale giudizio drastico può colpire i servizi nella loro totalità e che, sempre, vi sono stati tra le loro fila funzionari leali e di piena affidabilità democratica; tuttavia l'ormai consolidato riferimento ai "settori deviati dei servizi" diventa fuorviante quando venga riferito ad epoche e situazioni in cui alle deviazioni hanno partecipato i massimi vertici degli stessi o i responsabili di settori determinanti.
Le coperture per l'espatrio di Giannettini e di Pozzan, le falsità dibattimentali suggerite a Lubruna, le risposte evasive provenienti dai massimi vertici dello stato, le produzioni documentali monche e ed elusive fornite frequentemente alle più diverse autorità giudiziarie da parte dei servizi appartengono ormai alla consolidata conoscenza collettiva; ma molti altri episodi posono essere ricordati.
Il servizio di informazione militare ha costantemente disposto di informatori e di infiltrati nei gruppi ordinovisti ed in avanguardia nazionale. La fonte "Tritone", interna a O.N. di Padova, che non è stato possibile identificare per il tempo trascorso, riferì tempestivamente sul contanuto di riunioni tenute poco dopo la strage di piazza della Loggia nel corso delle quali Maggi ebbe a spiegare agli intervenuti come l'attentato non dovesse costituire altro che il primo passo di ua programmata escalation di attentati che dovevano rendere ingovernabile il paese. L'istruttoria milanese ha poi portato alla luce il gravissimo episodio della chiusura, da parte del generale Maletti, della fonte Casalini (fonte "Turco" negli atti del servizio) proprio nel momento in cui questi stava per "scaricarsi la coscienza" riferendo quanto a lui noto sulle implicazioni di Freda e dei suoi negli attentati della primavera del 1969 a Milano e nella strage del dicembre successivo. Oltre
alla intrinseca gravità di tale fatto, è allarmante ilmodo in cui l'intervento di Maletti fu reso possibile. Risulta infatti che i sottufficiale che tenevano i contatti con Gianni Casalini ne informarono il responsabile del centro CS di Padova, colonnello Bottallo, che non investì l'ufficio D della questione anche per timore "che le notizie contenute potessero essere distirte". Agli atti del centro CS non fu conservato alcun appunto, ma fu informata la polizia giudiziaria che procedette ad un ulteriore esame della fonte con la partecipazione di un sottufficiale (il brigadiere Fanciulli) della divisione Pastrengo di Milano, il quale riferì il contenuto del colloquio con una relazione al generale comandante la divisione, relazione che non fu mai trasmessa alla polizia giudiziaria e scomparve dagli atti della divisione, ma che fu tempestivamente seguita, secondo l'appunto trovato presso Maletti, dalla tassativa indicazione di chiudere la fonte (154). La stessa cosa era avven
uta per gli accertamenti su Gelli attivati nel 1974 e bloccati perentoriamente sempre da Maletti, che ne viene trasversalmente informato dal capitano Tuminiello (anch'egli della P2) o dallo stesso Labruna tramite Viezzer, con la minaccia della restituzione all'arma terrioriale di chiunque avesse continuato a svolgere accertamenti sulpersonaggio. Anche nell'episodio della fonte Casalini scatta una catena di comando di matrice piduistica che ha una sua determinante articolazione nel gruppo di ufficiali che facevano allora capo alla divisione Pastrengo. Occorre in proposito rinviare alle circostanziate dichiarazioni rese dal generale Bozzo in più sedi giudiziarie, a Roma, Bologna, Venezia, Palermo e tenute in così scarsa considerazione dalla Corte di Assise che ha escluso la cospirazione politica per la loggia P2, e alle affremazioni fatte a suo tempo in proposito dal generale Carlo AlbertoDalla Chiesa. L'appunto rinvenuto tra le carte di Maletti si chiude con l'indicazione di conferimento del comp
ito di "procedere" al capitano Del Gaudio (anch'egli piduista e di sicura affidabilità per Maletti) ottenendo così la sterilizzazione di una importante fonte investigativa.
Per le sue false dichiarazioni in merito all'appunto e all'incarico avuto da Maletti il capitano Del Gaudio è già stato condannato con rito abbreviato ad un anno di reclusione dal tribunale di Venezia all'esito dell'istruttoria nata dallo stralcio di parte degli atti relativi alla strage di Peteano (155).
Che i servizi fossero in possesso di altre fondamentali notizie, cui non dettero il legittimo sbocco processuale, emerge soprattutto dal documento Azzi (56). In esso si fa riferimento alla attribuibilità al gruppo La Fenice (e a Rognoni personalmente) dell'attentato alla Coop (individuato in quello avvenuto il primo marzo del 1973) e all'idea di convincere Fumagalli e l'avanguardista Di Giovanni a prendervi parte, come pure si fa riferimento al progetto, confermato da altre fonti, di far rinvenire nelle adiacenze delle villa di Giangiacomo Feltrinelli nei pressi di Casale Monferrato una cassetta di esplosivo e parte dei timers residui dalla strage di Piazza Fontana per avvalorare l'attribuibilità della strage a quell'area. La cassetta fu poi rinvenuta in una località dell'appennino ligure subito dopo il fallito attentato al treno Torino-Roma dell'aprile del 1973.
Dallo stesso documento sono ricavabili indicazioni sulle responsabilità per l'attentato alla scuola Italo-Slovena dell'aprile del 1974 (ultimo degli episodi riferiti nell'appunto e l'unico verificatosi quando Azzi era già detenuto), fatto per il quale il Sid tentò una attribuizione alla sinistra, nonostante si collocasse temporalmente in una fase di estrema tensione tra la destra locale e la comunità slovena triestina. Agli atti del servizio è stato infatti ritrovato un appunto, anche questo di pugno di Maletti, nel quale egli fa riferimento ad una "fonte direttamia" che indica una matrice di sinistra per l'attentato e, riprendendo una nota pervenuta dal centro CS locale, incarica Genovesi di predisporre un appunto in tale senso per il direttore del servizio, consigliandone l'inoltro al Ministero dell'interno.
5.4 Altro tema di estrema impirtanza è quello dell'opera di inquinamento e di ostacolo svolta dai gruppi eversivi e da settori dei servizi per pilotare politicamente gli avvenimenti di quegli anni determinando un deterioramento della situazione dell'ordine pubblico così da alimetare una reazione dell'opinione pubblica nei confronti della sinistra. Alcuni di essi sono allo stato collocabili tra i depistaggi successivi agli eventi e destinati ad impedire che venissero individuati i veri responsabili. Altri episodi invece dimostrano una volontà di precostituzione di prove a carico della opposta fazione: la strage di piazza Fontana costituisce, in quest'ambito, un capitolo a sè per la straordinaria gravità dell'evento e per la complessità delle implicazioni, la lo stesso attentato, già richiamato, in cui rimase ferito Nico Azzi doveva essere attribuito alla sinistra e, per tale ragione, era stata ostentata la copia di "Lotta continua" nella tasca dell'impermeabile dell'attentatore. Alla sinistra doveva essere attribuito anche l'attentato al treno Brennero-Roma, attentato che doveva avvenire presso Bologna e che avrebbe dovuto determinare una situazione di panico generale destinata a sfociare in una richiesta di dichiarazione dello stato di emergenza nel corso della manifestazione della maggioranza sileziosa prevista per il 12 aprile (cinque giorni dopo) a Milano. Lo stesso disegno - cioè la creazione di una situazione di intollerabile allarme e la precost ituzione di una situazione favorevole ad iniziative autoritarie - proseguirà peraltro con la campagna di attentati ai treni del 1974 che avrebbe dovuto avere inizio a Silvi Marina (29 gennaio 1974) e svilupparsi in un crescendo di atti delittuosi, alcuni dei quali programmati, altri portati a termine, che doveva tragicamente raggiungere l'acme nell'attentato dell'Italicus del 4 agosto. E' emerso che anche l'attentato avvenuto nel novembre del 1971 e che provocò il danneggiamento delle mura di cinta dell'università Cattolica a Milano, doveva essere attribuito alla sinistra (157). Nell'ambito di una sofistica azione di provocazione si collocò poi l'operazione di Camerino, dettagliatamente ricostruita sia nell'ultima istruttoria di Bologna che in quella di Milano. In quella occasione furono fatti rinvenire armi ed esplosivi unitamente a moduli di documenti in bianco e materiale cifrato che ne consentissero l'attribuzione ad esponenti di sinistra, coinvolgendo così gruppi politici di diversa provenienza geografica e anche uno studente greco. L'operazione fu compiuta con materiale esplosivo fornito, secondo quanto affermato da Delle Chiaie, da Massimiliano Fachini, mentre i documenti ed il cifrario furono chiesti a Guelfo Osmani dall'allora tenente D'Ovidio che comandava il presidio territoriale dei carabinieri a Camerino. L'indicazione che fece scattare formalmente l'operazione di polizia giudiziaria partì dalla compagnia Trionfale dei Carabinieri di Roma ed in particolare dal capitano Servolini. Questi rese a tal proposito al giudice istruttore una deposizione che lo stesso magistrato ha severamente valutato ("si caratterizza per le contraddizioni e l'assoluta inattendibilità") mentre, secondo il racconto di Guelfo Osmani, sarebbe stato proprio l'ufficiale a consegnare a D'Ovidio, in presenza dello stesso Osmani, la canna di fucile poi ritrovata insieme all'esplosivo, alle bombolette di gas e all'altro materiale nell'arsenale. La matrice si "sinistra" del deposito fu raccolta e rilanciata con sospetta tempestività dal giornalista Guido Paglia, che aveva da non molto lasciato i vertici di A.N., e che, in un articolo pubblicato nella stessa data del rinvenimento, riferisce dati che la decrittazione del cifrario, operazione anch'essa di facciata, avrebbe reso disponibili agli inquirenti solo qualche giorno dopo. La vicenda vede pesantemente implicato il Servizio se è vero che tra le carte sequestrate al generale Maletti nel novembre del 1980 è stata trovata, in uno degli appunti relativi agli incontri con il direttore del se rvizio, alla data del 7 gennaio 1973, l'annotazione, accanto all'indicazione "Eversione di sin.": "Camerino (armi dx)". Ciò dimostra la consapevolezza dei vertici del servizio della operazione di provocazione che sarebbe costata l'incriminazione di alcuni esponenti dei gruppi di sinistra, prosciolti definitivamente dalla Corte di Assise di Macerata solo il 7 dicembre del 1977. Alla data dell'appunto Maletti non doveva essere soddisfatto dello sviluppo degli accertamenti giudiziari tanto che l'annotazione prosegue con una indicazione, non perfettamente comprensibile, ma dalla quale si capisce la volontà di inviare un anonimo alla Procura Generale della Repubblica di Ancona, secondo una prassi della quale le istruttorie relative alla strage di Bologna, a quella di Ustica, all'omicidio Pecorelli hanno dato non edificanti esempi. Si noti che l'operazione non nasce da una estemporanea iniziativa della periferia, ma è nota e meticolosamente sorvegliata dagli ufficiale centrali che ne controllano attentamente gli effetti pronti ad intervenire con aggiustamenti di tiro e correzioni; l'operazione obbedisce inoltre ad un principio di economicità, ponendosi allo stesso tempo più obiettivi ugualmente utili al servizio: dal coinvolgimento di dissidenti greci alla polarizzazione dell'attenzione sulla violenza e la pericolosità dei gruppi di sinistra in concomitanza con il depistaggio operato per la strage di Peteano. Osmani afferma inoltre di aver consegnato anche un rilevante numero di moduli di patenti al capitano D'Ovidio, moduli poi rinvenuti nel deposito di Camerino. I 604 documenti consegnati al capitano D'Ovidio facevano parte di uno stock di 4.700 moduli rubati al Comune di Roma il 14 maggio 1972 e da quello stesso stock proviene il modulo del falso documento intestato a Enrico Vaileti rinvenuto sulla person a di Sergio Picciafuoco a Bologna il giorno della strage. Questo particolare impone inquietanti interrogativi sui mai chiariti rapporti di Picciafuoco con i Servizi di informazione (158).