IL TECH MODEL RAILROAD CLUB

   

di Steven Levy
Tratto da
Hackers: eroi della rivoluzione informatica, p.17-38

   
    Il vero motivo per cui Peter Samson, nel cuore della notte, stava vagabondando nel palazzo 26 è una faccenda che lui stesso avrebbe trovato difficile spiegare. Di certe cose non si parla. Se foste come quelli con cui Peter era sul punto di far conoscenza e di cui sarebbe diventato amico, in quel suo anno da matricola al Massachussetts institute of technology nell'inverno del 1958-59, non ci sarebbe stato bisogno di alcuna spiegazione. Vagabondare per il labirinto di laboratori e magazzini, in cerca dei misteri della commutazione telefonica nelle stanze piene di apparecchiature, seguendo sentieri di fili o di relè nei condotti sotterranei dell'aria condizionata... per qualcuno, era un comportamento normale, e non c'era bisogno di giustificare l'impulso di aprire una porta senza permesso, se dietro quella porta si fosse percepito un rumore sospetto irresistibilmente attraente. E allora, se non ci fosse stato nessuno a proibire fisicamente l'accesso a qualunque cosa stesse provocando quel rumore affascinante, a impedire di toccare la macchina, ecco che avreste cominciato a sfiorare gli interruttori e a osservare le reazioni, a girare una vite, sganciare un pannello, rimuovere qualche diodo e provare qualche connessione. Peter Samson e i suoi amici erano cresciuti in una particolare relazione col mondo, all'interno della quale le cose acquisivano significato solo se si scopriva come funzionavano. E come avrebbe potuto capirlo se non mettendoci le mani sopra?
Fu nel seminterrato del palazzo 26 che Samson e i suoi amici scoprirono la stanza Eam. Il palazzo 26 era un'alta struttura di vetro e acciaio, uno degli edifici più recenti del Mit, in contrasto con le venerande architetture neoclassiche che fronteggiavano l'istituto su Massachusetts avenue. Nel seminterrato di questo edificio privo di personalità, c'era la stanza Eam, l'Electronic account machinery, che ospitava dei macchinari che funzionavano come computer.
Nel 1959 non molta gente aveva visto un computer, figuriamoci poi toccarne uno. Samson, un ragazzo dai capelli rossi, ispidi e ricci con una propensione ad allungare il suono delle vocali come se stesse correndo dietro ai possibili significati delle frasi, mentre si trovava nel mezzo delle parole, aveva visto i computer durante le sue visite al Mit dalla sua città natale, Lowell, nel Massachusetts, a meno di cinquanta chilometri dall'università. Queste visite lo avevano reso un "fanatico di Cambridge", uno dei tanti studenti di liceo della regione, pazzi per la scienza, che erano stati attratti, come da una forza gravitazionale, verso l'università di Cambridge. Aveva persino cercato di mettere assieme il suo computer personale con pezzi di scarto di vecchi flipper: erano la migliore fonte di elementi logici che avesse potuto trovare.
Elementi logici: il termine sembra contenere proprio quel che attraeva Samson, figlio di un riparatore di macchine per l'industria, verso l'elettronica. Era la sua storia. Quando si cresce con un'insaziabile curiosità sul funzionamento delle cose, il piacere che si prova scoprendo quanto è raffinato un circuito logico, dove tutte le connessioni devono completare i loro percorsi, è eccitante a dismisura. Peter Samson, che aveva imparato presto ad apprezzare la semplice perfezione matematica di tutto ciò, ricordava di aver assistito sul canale della Tv pubblica di Boston, la Wgbh, a una trasmissione che forniva un'introduzione sommaria alla programmazione di un computer nel suo specifico linguaggio. Bastò ad accendere la sua immaginazione: per Peter un computer era di certo come la lampada di Aladino che una volta sfregata, avrebbe obbedito ai suoi ordini. Così cercò di imparare più che poteva in quel campo: costruì vari aggeggi per conto proprio, s'iscrisse a concorsi e competizioni scientifiche, e arrivò dove la gente della sua specie aspirava ad arrivare: il Mit. Il porto d'arrivo dei più brillanti liceali dagli occhiali da gufo e pettorali sottosviluppati, che meravigliavano gli insegnanti di matematica e che venivano bocciati in educazione fisica, che non sognavano di pomiciare dopo il ballo del diploma, ma di accedere alle finali del concorso in occasione della Fiera della scienza della General Electric. Questo era per lui il Mit, nei cui corridoi avrebbe vagato alle due di notte, cercando qualcosa d'interessante, e dove alla fine avrebbe scoperto quel che lo avrebbe spinto a iniziare una nuova forma di processo creativo, un nuovo stile di vita, e che lo avrebbe posto in prima linea di una società immaginata solo da qualche scrittore di fantascienza di serie B. Qui avrebbe scoperto un computer con cui "giocare".
La stanza Eam nella quale Samson era incappato era piena di macchine a schede perforate, grosse come schedari metallici. Non c'era nessuno a proteggerle: il locale operava solo di giorno, quando un gruppo selezionato, dopo aver ottenuto un permesso ufficiale, aveva il privilegio di passare le schede gialle nelle mani degli operatori, che usavano poi queste macchine per farci dei buchi, a seconda di quali dati i privilegiati desiderassero registrare sulle schede. Un foro nella scheda rappresentava per il computer una certa istruzione, e gli diceva di mettere un pezzo d'informazione da una qualche parte, o d'eseguire un'operazione su una parte dell'informazione oppure di spostare un pezzo d'informazione da un luogo a un altro. Un intero blocco di queste schede costituiva un solo programma del computer, cioè una serie di istruzioni che producevano un determinato risultato, proprio come le istruzioni di una ricetta, se seguite scrupolosamente, portano a una torta. Queste schede sarebbero state poi consegnate a un altro operatore che stava al piano superiore, il quale avrebbe infilato le schede in un "lettore" che avrebbe registrato dov'erano i buchi e inviato quest'informazione all'Ibm 704: l'Hulking Giant, "il bestione"3, al primo piano del palazzo 26.
L'Ibm 704 costava diversi milioni di dollari, occupava una stanza intera, aveva bisogno di costante manutenzione da parte di una squadra di operatori specializzati, e richiedeva speciali sistemi di condizionamento dell'aria in modo che le valvole a incandescenza che aveva dentro non innalzassero la temperatura a livelli tali da distruggere le informazioni. Quando l'impianto di condizionamento andava fuori uso - cosa piuttosto frequente - suonava un gong, e tre ingegneri schizzavano fuori da un ufficio vicino per togliere frettolosamente le coperture alla macchina per non fargli fondere le interiora. Tutta questa gente indaffarata a perforare schede, infilarle dentro i lettori, a premere bottoni e girare interruttori sulla macchina era quello che comunemente veniva chiamato il "clero", e quelli abbastanza privilegiati da poter presentare le informazioni a questi gran sacerdoti erano gli "accoliti ufficiali". Era quasi uno scambio rituale.
Accolito: Oh macchina, vuoi tu accettare la mia offerta di informazioni per far girare il mio programma e forse darmi un risultato finale?
Prete (per conto della macchina): Proveremo, ma non promettiamo nulla.
Di regola, nemmeno ai più privilegiati tra gli accoliti era permesso ottenere l'accesso diretto, e sarebbero passate ore, a volte giorni, prima che potessero ottenere i risultati dell'ingestione da parte della macchina della loro "infornata" di schede.
Questo Samson lo sapeva e, naturalmente, per lui, che voleva riuscire a mettere le mani su quel dannato calcolatore, era una frustazione insopportabile: la sua vita era tutta lì.
Quel che Samson non sapeva, e fu deliziato di scoprire, era che la stanza Eam aveva anche un particolare strumento per forare le schede, chiamato 407. Non solo perforava le schede, ma poteva anche leggerle, ordinarle e stamparne un elenco. Sembrava non esserci nessuno di guardia a queste macchine, che erano dei computer o qualcosa del genere. Ovviamente usarle non sarebbe stato facile: occorreva inserire quello che era chiamato scheda a inserzione, un quadrato di plastica di cinque centimetri per cinque con una quantità di buchi dentro. Cablando centinaia di fili attraverso i buchi in un certo ordine, si sarebbe ottenuto qualcosa di simile a un nido di topo che però, una volta sistemato dentro questo marchingegno elettromeccanico, ne avrebbe mutato la personalità: esso avrebbe fatto di tutto.
Così, senza uno straccio di autorizzazione, ecco cosa Peter Samson decise di fare, assieme a certi suoi amici di un'organizzazione del Mit che si interessava particolarmente di modellismo ferroviario. Fu un passo casuale e spensierato verso un futuro da fantascienza, ma tipico del modo in cui una sottocultura atipica nasce e diventa un fenomeno underground di rilievo - per trasformarsi in una cultura che sempre sarebbe stata l'anima maleducata e non autorizzata del mondo dei computer. Era una delle prime incursioni degli hacker del Tech model railroad club, altrimenti noto come Tmrc.