William S. Burroughs

   

di Gomma

   
    Se c'è una costante letteraria e un personaggio che a partire dagli anni Cinquanta è sempre stato presente, in un modo o nell'altro, all'interno delle controculture o delle forme espressive più sperimentali e avanzate, questo è William S. Burroughs, per gli amici "zio Bill". Il suo cappello Stetson, la versione americana del nostro "Borsalino", è l'incubo ricorrente di tutti i sogni, giovanili o meno, di coloro che hanno creduto di poter cambiare il mondo attraverso la propria arte o attraverso la propria forma di comunicazione. Un esempio? Non crediamo che chi ha scelto il nome della rivista che state leggendo in questo momento sia stato immune da questa inquietante presenza, da questo "amore malato". Così come, andando a caso e per citare i casi più famosi in campo musicale, lo sono stati Lou Reed, Laurie Anderson, Patty Smith, Psichic TV, Sonic Youth e migliaia di altri gruppi di apprendisti sperimentatori che in un modo o nell'altro hanno cercato di applicare allo spartito e alle note la rivoluzione estetica proposta dal "nostro (amato)". Inoltre, nelle oscure cantine di tutto il mondo sono stati centinaia gli esempi di film-maker, scrittori, sceneggiatori, nonché militanti politici radicali che hanno seguito il suo esempio per la costruzione creativa del linguaggio attraverso le sue tecniche innovative. Una di queste, la più famosa e stimolante, è il cut-up, ossia il modo caotico e casuale di tagliare e incollare ("cut and paste" per chi usa un computer) pezzi di testo alla ricerca di nuovi significati. Burroughs lavorò su questa tecnica insieme a Brion Gysin, una strana figura di pittore sperimentale che ne fu il vero scopritore e, insieme, cercarono di applicarla alle arti in genere e a un po' tutti i supporti. Non solo quello cartaceo o su tela, ma anche quello magnetico lavorando su registratori e nastri con lo stesso piglio di un cyberpunk contemporaneo. Questo è un elemento che sottolinea la grande modernità e attualità della sua pratica anche nel senso multimediale e tecnologico dell'odierno stile hacker.
Potremmo dire che William Burroughs, che ha sempre avuto un'ossessione per i "virus" (il virus-linguaggio, il virus-sesso, la grande premonizione dell'AIDS come virus-morte sempre presente nei suoi libri), è diventato lui stesso un virus. E non poco contagioso, infatti ha colpito la cultura hippy, così come quella punk, quella dopo il punk e altre che non c'entrano nulla né con le une né con le altre. Quindi esperienze anche contraddittorie e antitetiche tra loro. A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi la ragione di tale trasversalità.
Una risposta potrebbe essere che Burroughs più che un grande scrittore o un "viaggiatore dei dati e dei segni" sia diventato un simbolo del potenziale rivoluzionario contenuto nella comunicazione, cioè della grande utopia, presente in tutte le maggiori controculture del dopoguerra (o del dopo-scoperta della televisone), del rovesciamento, attraverso una pratica rivoluzionaria della comunicazione, delle leggi, le regole e i comportamenti dell'esistente. Qualsiasi esperto di media mai affermerà che questo è possibile, ma nessuno potrà mai negare che i movimenti riescono non solo a sopravvivere anche su sogni e illusioni, ma che da questi ultimi a trarre notevole energia e ispirazione.
In realtà una sola spiegazione non è sufficiente. Né del resto siamo in grado in poche righe di sintetizzare un'opera e un personaggio così complesso.

A titolo introduttivo basti ricordare che la sua è una mitica figura, le cui caratteristiche hanno fatto volare attraverso varie dimensioni l'immaginario dei suoi lettori: sposato, uccide disgraziatamente la moglie poi diventa omosessuale; tossicomane per anni; esperto di esoterismo e misticismo; esperto di ogni tipo d'arma; ricco quanto basta per permettersi di studiare moltissimo e vivere da bohemien, si è sempre mischiato con la strada facendo tutti i tipi di lavoro, con una predilezione per quelli più perversi come, ad esempio il disifestatore di scarafaggi; ha viaggiato in lungo e in largo per gli Stati Uniti, il Centroamerica, l'Europa, Nord Africa; è stato pubblicato in tutte le lingue. È considerato una specie di grande saggio perché si è sempre schierato su problemi sociali e politici con la massima radicalità avendo la capacità di descrivere le situazioni guardandole dal basso, dal fondo dei vicoli sporchi, ma con una forza rara espressiva e, soprattutto, una grande e irriverente ironia.
Pur avendo raggiunto ormai quasi gli ottant'anni rimane sempre in prima linea. Si dedica al momento alla pittura usando come tecnica personale quella di sparare nelle tele appena dipinte e una sua piece teatrale "Black Rider", redatta insieme a Colin Wilson, viene ora rappresentata dal Teatro Stabile di Amburgo.
In campo cinematografico proprio recentemente sono apparsi in giro alcuni film e video che vantano la presenza dello zio Bill. Uno di questi è "Drugstore Cowboy" di Gus Van Sant, che, a nostro avviso, è stato il film "esplosivo" dell'anno, il più bello sull'argomento droga dopo il mitico "The Connection" del 1959 scritto da Jack Gelber del Living Teathre. Burroughs vi interpreta praticamente la parte di se stesso. Nel film è padre Tom Murphy, il prete tossicomane, un grande vecchio della tragedia cosmica dell'eroina, con tutta la sua lucidità e le sue contraddizioni. Se avete i nervi deboli o siete moralisti non andate a vederlo, ma se volete capire i meccanismi reali, umani, sociali e politici riguardanti la vita di un tossicodipendente correte al cinema... sempre che ne troviate uno che ancora lo proietti, poiché nelle sale dell'"Italia proibizionista" questo capolavoro è stato prontamente inscatolato per essere spedito in soffitta, causa il risveglio delle coscienze che può provocare negli spettatori. Grazie censura in-visibile!
Sempre di Gus Van Sant è disponibile, per fortuna in videocassetta, "A Thanksgiving Prayer", un'amara preghiera per il "giorno del ringraziamento". Dura due minuti e mezzo ma è una bomba. Il testo è stato scritto dallo stesso Burroughs e, nella nostra interpretazione, rappresenta il suo testamento a orologeria: "Grazie per il Sogno Americano... per un continente da saccheggiare e avvelenare, per il Ku Klux Klan, per gli uomini di legge che uccidono i neri, per le discrete beghine di chiesa con le loro facce medie, emaciate, amare, brutte. Grazie per gli adesivi 'Uccidi una checca per Cristo', per l'AIDS di laboratorio, per la proibizione e la guerra contro le droghe, per una nazione di infami. Grazie per l'ultimo e più grande tradimento dell'ultimo e più grande dei sogni dell'uomo". Il grande "sogno americano" si trasforma in incubo senza speranza attraverso una recitazione poetica da pelle d'oca e una regia altamente drammatica e colta. Imperdibile.

Come appare evidente da quanto scritto finora la figura di Burroughs è alquanto complessa: a chiarirci le idee, oppure a confondercele ulteriormente, ci ha pensato un amico dello stesso, Klaus Maeck (vedi scheda) con il suo film in videocassetta "William Burroughs. Commissioner of Sewers" ("W.S. Ispettore delle Fogne"), edita, con traduzioni allegate, dalla ShaKe Edizioni Underground. Questo film di un'ora circa racchiude un'intervista di Jurgen Plog (scrittore della scena beat tedesca che ora, a qualche anno dalla pensione, si è messo a fare il pilota d'aereo) che permette a Burroughs di passare in rassegna alcuni punti fondamentali del suo percorso di vita e stilistico: il ruolo dello scrittore, il problema del linguaggio e dei linguaggi geroglifici e segnici, la questione stilistica, i consigli ai giovani scrittori, la multimedialità, il viaggio, le mutazioni. Inframezzati all'intervista, in stile cut-up, vi sono brani di un reading dello stesso Burroughs del 1986 al Filmkunst 66 Theatre di Berlino e inoltre brani dagli storici film a cui egli ha partecipato: "Towers open fire", "Cut-ups" e "Ghosts at n.9" di Anthony Balch, "William Burroughs" di Howard Brookner, "Decoder" dello stesso Maeck e, naturalmente, "Drugstore Cowboy" e "A Thanksgiving Prayer" sopra citati. La musica è appropriatamente e variamente selezionata dal disco "The pipes of Pan at Jou-Jouka" curato dal Dead Rolling Stone Brian Jones, tra i tangos di Jorge Reyes, da Fish for Fish, F.M. Einheit degli Einsturzende Neubauten e una canzone cantata dallo stesso Burroughs. Nel film è possibile vedere in azione Burroughs sulla "dream machine" una macchina che permette, grazie alla stimolazione di frequenze alfa nel cervello, di raggiungere uno stato onirico da svegli (il "sognare ad occhi aperti"). Oppure, in qualche sequenza, vederlo lavorare mentre smonta e rimonta un registratore ottenedone una macchina per la "guerra della comunicazione".
La validità di questa videocassetta documentaria risiede nel fatto che permette una comprensione istantanea dell'agire multimediale di Burroughs, grazie ai montaggi di immagini nuove e di repertorio, spiegazioni da parte dello stesso Burroughs, letture e suoni. Diversamente solo attraverso uno studio attento dell'autore sarebbe possibile capire anche solo l'indispensabile, cosa resa peraltro molto difficile dalla scarsità del materiale critico esistente in Italia.
Chi è l'"ispettore delle fogne"? Sarà forse Burroughs che ha sempre infilato le mani nella sporcizia riuscendo a trarne fiori, perlomeno letterari, oppure sarà una metafora del potere che si ammanta di sembianze di decenza ma la cui occupazione principale è quella di avere a che fare con la merda? Lasciamo ai lettori il compito di chiarire personalmente questa ambiguità. Questo obbiettivo farà solo bene alla loro immaginazione, ma anche al loro senso della realtà.