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Aids:donne due volte prigioniere

Colgo questa occasione dell'8 marzo, giornata internazionale della donna, per ringraziarvi tutti direttamente.

Tutte le forme di appoggio e manifestazioni di solidarietà dimostratemi durante questo ultimo anno attraverso lettere, cartoline, messaggi di incoraggiamento, appuntamenti e riunioni a me dedicate in tutta Italia concerti, dischi, iniziative sportive e maratone sono servite tutte a sollevare il mio spirito. Sono riuscite a mantenere vivo in me, grazie al vostro appoggio, l'obiettivo finale del mio rimpatrio in Italia. Tutto ciò ha avuto un ruolo di vitale importanza per me, soprattutto in questo momento. Il 1993 è stato per me un anno molto difficile: non perché sia avvenuto qualcosa di eccezionale, ma gli undici anni e mezzo di detenzione hanno pesato e mi è diventato sempre più difficile accettare le condizioni del regime limitativo della vita quotidiana entro il quale devo muovermi in questo microcosmo di isolamento e di azioni ripetitive dell'unità di Marianna. Ho temuto di non avere più la capacità di andare avanti; è venuta meno la mia capacità reattiva. Ho sentito sempre più l'inquietudine ed il venir meno della pazienza: ho avuto l'impressione di perdere la capacità di continuare a navigare in queste acque.

Di conseguenza, il 1993 è stato un anno che ha richiesto da parte mia una costante e grande forma di disciplina interiore per potermi dedicare a qualsiasi altro obiettivo esterno al di fuori del mio dilemma personale. Sono riuscita nell'intento lavorando all'interno dell'unità con un gruppo di detenute con i malati di Aids tentando di creare con loro un ambiente che scoraggi la stigmatizzazione e le forme di panico create dal dilagare dell'Aids in forma epidemica. L'attività del gruppo consiste nel combattere all'interno dell'unità, perché i malati vengano curati e ricevano il massimo dell'attenzione dovuta. Il mio lavoro ed il nuovo rapporto con le detenute sieropositive è servito a darmi una motivazione per continuare nella mia condizione del regime carcerario quotidiano e per non perdere il controllo sulla mia esistenza nell'isolamento dietro le sbarre.

Negli Stati Uniti, l'Aids sta avendo conseguenze disastrose sulle donne afroamericane e latine nelle carceri americane. Coloro che sono sieropositive in carcere, e questo avviene con sempre maggiore frequenza, hanno bisogno di grande attenzione e cure, perché viene messo a rischio il loro diritto fondamentale alla vita. Chi sceglie di dedicarsi qui a questo lavoro conduce una battaglia su due fronti: le conseguenze immediate causate dalla malattia ed il tentativo di riuscire a conferire alle donne colpite la capacità di controllare la propria sessualità. Per le donne soprattutto esiste un diretto collegamento fra le condizioni del loro status di inferiorità sociale ed economica ed il virus dell'Aids.

Oggi, 8 marzo, una volta ancora, le donne sono riunite per celebrare insieme i traguardi sino ad ora raggiunti e per ricordare tutte le battaglie ancora da affrontare e da vincere. Mi unisco a voi con tutto il mio rinnovato impegno e solidarietà. Per concludere, voglio far presente la mia situazione: sono stata informata dal mio legale americano che il governo degli Stati Uniti prenderà una decisione sul mio caso entro i prossimi mesi. Deciderà se accettare la richiesta del governo italiano per il mio rimpatrio in Italia o negarlo. Se il govemo americano si opporrà al mio trasferimento con un diniego per la terza volta, tale richiesta non sarà più rinnovabile per i prossimi due anni. È questo quindi un momento decisivo e cruciale.

Può determinare una svolta per il mio caso. È necessaria quindi la massima determinazione nell'agire, perchè l'esito sia positivo. Negli Stati Uniti, la libertà di molti prigionieri politici nel 1993 è stata negata: Leonard Peltier, Geronimo Pratt, Sundiada Akoli, nonostante dubbiose fossero le imputazioni e malgrado le pressioni e l'appoggio prestato dalle organizzazioni per la difesa e tutela dei diritti umani a livello nazionale ed internazionale. La giustizia per i prigionieri politici rimane ancora un traguardo molto lontano.

Silvia Baraldini


Articolo tratto da il manifesto dell'8 Marzo 1994