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Carcere duro per Silvia Baraldini

Da New York, Patricia Lombroso

In ospedale legata mani e piedi. Giorni e giorni senza poter studiare o lavorare. Non uscirà sino al 2008? NEL CARCERE di Danbury Silvia Baraldini ha vissuto un'altra esperienza traumatica. Per la seconda volta a distanza di poco più di un mese è stata tradotta dalla prigione all'ospedale legata ed ammanettata, mani e piedi. Sotto scorta armata in assetto di guerra; Silvia Baraldini è stata portata su un'autoblindata a sirene spiegate, per essere sottoposta ad ulteriori analisi mediche in ospedale. In seguito all'operazione chirurgica per asportazione di un cancro all'utero il suo medico raccomandò la verifica della densità ossea della Baraldini per scongiurare la osteoporosi. In prima istanza, un mese fa, i medici della prigione, per loro stessa ammissione, sbagliarono le analisi. Al ritorno in cella la Baraldini, per telefono, non si vuole dilungare molto su quanto avvenuto. Decidiamo di tornare a visitare Silvia Baraldini in quella che è ormai divenuta una prigione di massima sicurezza. Il grigiore per la tormenta di neve di quella giornata e la scarsa visibilità fanno sì che il triplice filo spinato, la successione di gabbie attraverso le quali i visitatori vengono scortati come in un tunnel, coperto da filo spinato, per giungere alla saletta delle visite ci riporti all'immagine dei campi di concentramento. La percezione della vita qui appare soltanto grazie alla presenza di tacchini che razzolano nella neve sui campi antistanti all'entrata del carcere Federale. Persino il personale che sbriga le pratiche e le perquisizioni per accedere alla visita sembra aver perso molto della sua umanità. Le famiglie delle detenute latinoamericane o afroamericane vengono assoggettati a trattamenti al limite della crudeltà. Una meticolosità al limite dell'abuso nel formulare richieste in inglese a chi non parla quella lingua. Finalmente, nella sala visite attendiamo l'arrivo di Silvia Baraldini. E' visibilmente infuriata. Immaginiamo che la motivazione sia il trattamento da "pericolosa terrorista" a lei riservato ben due volte in poco tempo. "Di questo ne parleremo dopo" -commenta - Quanto è avvenuto oggi è molto peggio. Ora che devo studiare e prepararmi per la laurea in storia della letteratura comparata del Centramerica, la direzione continua ad impedire l'ingresso in carcere alla professoressa che dovrebbe aiutarmi nella preparazione agli esami. E' una decisione crudele. Non hanno voluto darmi spiegazioni. "Già da 15 anni il regime carcerario è pesantissimo, ma da quando è stato nominato il nuovo direttore che dirige l'ospedale di Lexington è divenuto da incubo. Ogni giorno - ci racconta-vengono introdotte nuove regole di condotta per esercitare una maggiore pressione psicologica sulle detenute. "L'ultima novità è che nelle giornate in cui c'è nebbia veniamo rinchiuse nell'unità anche di giorno. E qui in campagna ciò avviene spesso. Veniamo rinchiuse in cella come norma alle undici di sera sino alle sei di mattina, ma ora spesso l'unità di giorno è come un'intera cella di isolamento senza la possibilità di recarsi in biblioteca o lavorare. L'isolamento è in tali casi totale per 24 ore. Comprendiamo ora perché la Baraldini sia stata scortata nella sala visite. Fuori è una giornata di tempesta e scarsa visibilità. Le chiediamo della visita medica e dell'iter seguito: "Mi hanno detto alle sette del mattino che dovevano riportarmi in ospedale. Un altro incubo. Poi, mi hanno messo le manette ai polsi, incatenato mani e piedi. Scortata fuori dall'unità mi attendevano 15 secondini armati; autoblindo a sirene spiegate scortate da unità speciali di sicurezza di Danbury mi hanno condotto all'ospedale. Le comunicazioni telefoniche in entrata e uscita per le detenute dal carcere sono state sospese sino al mio ritorno in cella. Chi ha assistito a tutti i preparativi e mi ha visto mi ha chiesto "ma che cosa hai fatto; Non immaginavano che si trattava di una semplice analisi medica. In compenso questa volta le analisi erano state fatte bene ed erano favorevoli. Nella sala visite rileviamo che c'è un gran andirivieni di personale del carcere. Veniamo informati dalla Baraldini che i nuovi assunti fra i vari compiti hanno anche quello di tenere sotto speciale controllo due terroriste: Silvia Baraldini e Susan Rosenberg. Un'assistente del direttore denominato "il falco" ha il compito di effettuare tutte le indagini su chi entra in contatto con la Baraldini. Vengono effettuati speciali controlli e sorveglianza per tutte le persone con le quali la detenuta mantiene telefonicamente un contatto. Tutti i libri e documenti a lei spediti dall'Italia vengono regolarmente rispediti indietro. La posta viene letta, tradotta e subisce grandi e discrezionati ritardi nella consegna. "Se continua così - commenta la Baraldini - finirà che avrò la scorta armata anche durante le visite". Quando le diciamo che il governo italiano sembra intenzionato "seriamente" ad interessarsi del suo caso, la Baraldini sorride: "Lo vedremo dai fatti. Per ora parlano, promettono. Il 25 marzo 20 senatori di tutti i partiti sono venuti a trovarmi in carcere. Ma poi? I tempi e le scadenze per le iniziative del governo italiano e dei politici sul mio caso sono sempre generici. Nel frattempo giorno dopo giorno, io continuo a stare qui, dietro le sbarre. E gli anni passano. So che il governo americano ha già redatto il documento per la mia espulsione dal paese. Ironia della sorte, la data è sempre il 19 maggio. Era il nome della organizzazione per i diritti civili alla quale appartenevo. Ma l'anno è il 2008. "A luglio mi presenterò dinanzi al "Parole Board". Avrò bisogno di tutta la solidarietà degli italiani".
Articolo tratto da il manifesto del 28/03/1997