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INTERVISTA A SILVIA BARALDINI

"Io confido solamente in Strasburgo"

P. L. - DANBURY La direzione del carcere di Danbury ci aveva avvertito: la stampa non avrebbe avuto il permesso né prima né dopo l'udienza davanti al parole board di Silvia Baraldini di accedere al carcere, né di sostare sui prati antistanti al penitenziario. Avevamo comunque deciso di andare a farle visita, ma non in quanto giornalisti, durante le ore precedenti l'udienza, fissata ieri alle ore 13,00.

C'era un grande affollamento di famiglie e uno strano movimento di guardie e secondini che nella sala visite controllavano i nomi delle detenute, contando e ricontando le detenute. Quando Silvia Baraldini, con la sua divisa kaki è entrata scortata e ci ha individuata, ci ha sorriso. L'obiettivo non era solo di intervistarla, ma anche di darle qualche momento di distrazione, pensando a quanto possa essere pesante rivivere un'ennesima esperienza drammatica dopo 15 anni, depositare tutto un bagaglio di vita dinnanzi a un eexaminer locale che con un puro atto burocratico deciderà in poco più di un'ora il suo destino: la concessione della parole (libertà provvisoria e immediata espulsione del paese) o la continuazione della detenzione sino al 2008 come prevede la sua condanna.

"Sono talmente tesa che mi fanno male persino gli occhi", ci confessa nervosamente. Poi istintivamente cerca due posti dove sedersi. Vuole che siamo vicini alla finestra, alla luce del sole. "Sai perché ormai sono meno angosciata? Perché mi è tutto chiaro. Questa mia comparizione dinnanzi al parole board è soltanto una formalità. A Washington la decisione è stata già presa. La presenza di funzionari del governo italiano non servirà certamente a far cambiare idea ai giudici americani". E alle nostre repliche ribatte secca: "Ma figurati se mi concedono la libertà provvisoria. Di questo ne sono convinta. So già il giudizio espresso a mio riguardo alla task force inviata del governo italiano. Vorrei proprio sapere qual è il livello di custodia a cui ritiene di dovermi sottoporre la direzione delle prigioni. Ritengo di essere ancora classificata con il grado "B", il massimo riservato generalmente per terrorismo". Silvia fa una pausa, poi riprende: "Questa classifica così alta conferisce loro la facoltà di estendere i tempi della detenzione secondo la propria discrezionalità. Ecco perché sono già convinta che la risposta ufficiale che verrà data da Washington sarà: continuazione dell'incarcerazione sino al compimento della condanna nell'anno 2008. Non sarà davvero la presenza formale del governo italiano per la prima volta a cambiare il risultato. Ho seguito la trattativa portata avanti dal governo italiano sul mio caso con le autorità americane e conosco le premesse di inflessibilità e di nessuna indulgenza nei miei confronti delle autorità americane. Il risultato lo vedremo. La decisione vera sulla mia liberazione avverrà soltanto quando in ricorso di appello in tribunale il mio avvocato Elisabeth Fink dimostrerà l'arbitrarietà della decisione espressa dal parole board. Solo allora, con gli atti processuali alla mano, gli americani non potranno più accusarmi di reati violenti di sangue da me mai commessi... l'omicidio di un poliziotto... inventare il mio ruolo eminente nell'organizzazione di azioni terroristiche...".

E poi c'è da chiarire meglio il ruolo giocato dal governo italiano nella trattativa tra i due paesi. "Il ricorso immediato da parte del governo italiano all'articolo 23 della Convenzione di Strasburgo per la mediazione arbitraria e amichevole potrà anche essere utile nei prossimi due mesi, ma l'intervento deve essere chiaro e netto. Soltanto allora ci potrà essere qualche speranza. Ma non così". Gli occhi di Silvia Baraldini si arrossano. La lasciamo dopo averla distratta discutendo un po' con lei di cinema e treatro, sue grandi passioni.


Articolo tratto da il manifesto del 15 Luglio 1997