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SILVIA BARALDINI
Solo un "caso umanitario"

LUCIO MANISCO

N ON LA HANNO accusata di aver caricato la carabina Carcano pochi secondi prima che Oswald la puntasse contro J.F.K., né di aver armato la mano di Booth nel teatro Ford la notte dell'assassinio di Abraham Lincoln, ma nei rapporti contrari al suo rilascio inoltrati dal Dipartimento di Giustizia alla "United States Parole Commission" Silvia Baraldini viene descritta come una terrorista sanguinaria della peggiore risma.

Colpevole di ogni reato previsto dal codice penale, dal furto di una stecca di sigarette nel supermercato di Portland nell'Oregon all'eccidio di una dozzina di agenti di polizia e di guardie giurate, dall'uso di un falso gettone per guadagnare fraudolentemente accesso alla metropolitana ad un centinaio di attentati dinamitardi perpetrati per conto della "Fuerzas Armadas de Liberaciòn Nacional" per l'indipendenza di Portorico.

Il fatto che nessuno di questi reati figuri nel dispositivo della sentenza con cui nel 1983 è stata condannata a 43 anni di detenzione è di scarso rilievo per gli zelanti funzionari del "Department of Justice" che si oppongono al suo "rilascio su parola" ed alla sua immediata espulsione dagli Stati uniti dopo i 15 anni trascorsi nei peggiori penitenziari della repubblica stellata. Nella sentenza è stata riconosciuta colpevole di attività criminose mai effettuate e di concorso nell'evasione incruenta di Assata Shakur, una rivoluzionaria Afro-americana. Ai 40 anni per questi reati ne hanno aggiunti tre per "contempt of court", per essersi cioè rifiutata di testimoniare davanti ad un Gran Giurì che aveva aperto una inchiesta su gli indipendentisti portoricani. Certo, il reato associativo può includere tutto quanto perpetrato dalle organizzazioni rivoluzionarie clandestine o meno che tra gli anni '70 ed '80 si battevano, spesso con azioni violente, per l'emancipazione degli Afro-americani, dalla "Students for a Democratic Society" (Sds) alle Pantere Nere, dal "Movimento del 19 maggio" al "Black liberation army". Tutti i militanti di queste organizzazioni sono stati spazzati via, ammazzati in scontri con la polizia o condannati a secoli di detenzione, molti si sono pentiti, altri hanno scontato le loro pene: cinque mancano all'appello, risultano cioè latitanti e nei rapporti avversi alla Baraldini viene asserito che quest'ultima, una volta riacquistata la libertà, potrebbe ridar vita con questi cinque latitanti ad una organizzazione terroristica.

All'accanimento e ai voli di fantasia dei burocrati del "Department of Justice" e di qualche funzionario di polizia è mancata una adeguata risposta del nostro Ministero di Grazia e Giustizia che si è peraltro impegnato ad inviare due suoi rappresentanti all'udienza di domani della "Parole Board" di Danbury, dove compariranno la Baraldini e il suo legale Elizabeth Fink. In una lettera di una paginetta e mezza inviata a questa "Parole Board" e firmata non dal ministro Giovanni Maria Flick ma dal Direttore generale Giorgio Lattanzi, si parla soltanto dell'interesse del nostro Parlamento e della nostra opinione pubblica al caso "umanitario" di Silvia Baraldini di cui si chiede cortesemente il rilascio "su parola".


Articolo tratto da il manifesto del 13 Luglio 1997