I. RIEVOCAZIONE DEI FATTI
2. Quando l'Organizzazione delle Nazioni Unite tentò di far applicare l'art.73 della Carta, sottoponendo ad obblighi precisi i "Membri delle Nazioni Unite che hanno o che assumono la responsabilità di amministrare territori, le cui popolazioni non si amministrano ancora per conto proprio" (territori non autonomi), la Spagna pretese anzitutto che i territori sottoposti alla sua sovranità in Africa non avessero questo carattere, ma che fossero "considerati come provincie spagnole in conformità alla legislazione in vigore". È soltanto l'11 novembre 1960 che il rappresentante della Spagna annunciava alla IV Commissione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che il suo governo aveva deciso di "trasmettere informazioni sui territori in questione al Cap.IX della Carta" (dichiarazioni del rappresentante spagnolo alla IV Commissione, seduta n.1048, 11 novembre 1960).
La Spagna, per la prima volta, il 18 maggio 1961, ha trasmesso al Segretario generale dell'ONU le informazioni promesse. Queste vertevano unicamente su Fernando do Po, Rio Muni e il Sahara Occidentale (Rapporto del comitato delle informazioni relative ai T.N.A, A.G. Documenti Ufficiali, XVI sessione, suppl. n.15; A/4785).
3. La prima risoluzione relativa al Sahara è stata adottata dal Comitato speciale per la decolonizzazione il 16 ottobre 1964. Questa risoluzione tratta congiuntamente dell'Ifni e del Sahara. Sebbene il Marocco e la Mauritania avessero, nel corso dei dibattiti, espresso delle rivendicazioni territoriali sul Sahara, il Comitato speciale non ne ha tenuto affatto conto, ponendo l'accento nella sua risoluzione adottata all'unanimità sulla necessità da parte della potenza che amministra "di prendere immediate misure in vista della completa ed incondizionata applicazione delle disposizioni della Dichiarazione sulla concessione dell'indipendenza ai paesi e ai popoli coloniali".
L'Assemblea Generale ha adottato la sua prima risoluzione relativa a questo territorio non autonomo il 16 dicembre 1965 (2072 XX) nel quadro della sua azione per l'applicazione della Dichiarazione 1514 (XV) relative alla concessione dell'indipendenza ai paesi e ai territori coloniali. L'Assemblea "prega" con insistenza il governo spagnolo, quale potenza che amministra, di prendere immediatamente le misure necessarie ai fini di liberare dal dominio coloniale i territori dell'Ifni e del Sahara spagnolo e di intavolare a questo scopo dei negoziati sui problemi relativi alla sovranità che pongono questi due territori". La Spagna ed altri Stati erano contrari ad affrontare il problema della sovranità sia per l'Ifni che per il Sahara
Messo ai voti separatamente, il paragrafo è stato adottato con appena 25 voti contro due; c'erano state 55 astensioni.
La risoluzione 2229 (XXI) adottata l'anno seguente, il 20 dicembre 1966, distingue accuratamente il caso dell'Ifni, territorio situato all'interno del Marocco e quello del Sahara spagnolo. Dopo aver riaffermato "il diritto inalienabile delle popolazioni dell'Ifni e del Sahara occidentale all'autodeterminazione", la risoluzione:
"3) Chiede alla potenza che amministra di prendere immediatamente le misure necessarie ad accelerare la decolonizzazione dell'Ifni e di fissare con il governo marocchino, tenuto conto del popolo autoctono, le modalità della trasmissione dei poteri conformemente alle disposizioni della risoluzione 1514 (XV) dell'Assemblea Generale...";
"4) Invita la potenza amministrante a fissare il più presto possibile, in conformità con le aspirazioni della popolazione autoctona del Sahara spagnolo e di concerto con il governo marocchino e Mauritania e con tutte le altre parti interessate, le modalità organizzative di un referendum che sia tenuto sotto gli auspici delle Nazioni Unite onde permettere alla popolazione autoctona dei territori di esercitare liberamente il proprio diritto all'autodeterminazione...".
4. Di fronte alle reticenze ed alla cattiva volontà del governo spagnolo, il movimento d'opposizione alla colonizzazione spagnola si è amplificato in tutto il territorio. Manifestazioni organizzate su scala nazionale sfociano a El Aioun in una repressione sanguinosa da parte delle forze coloniali, facendo quasi duecento morti.
L'Assemblea Generale si "rammarica" di questi sanguinosi incidenti e richiama il governo spagnolo alle sue responsabilità come potenza amministratrice. Per la prima volta in una risoluzione relativa a questo territorio, l'Assemblea riafferma che essa "riconosce la legittimità della lotta che i popoli coloniali conducono per l'esercizio dei loro diritti all'autodeterminazione e alla libera scelta e prega tutti gli Stati di fornir loro tutto l'aiuto necessario". (ris. 2711-XXV del 14 dicembre '70).
In conformità alla risoluzione 2983 (XXVII del 14 dicembre 1972), l'Assemblea riafferma "il diritto inalienabile della popolazione del Sahara all'autodeterminazione e all'indipendenza, conformemente alla risoluzione 1514 (XV) dell'Assemblea Generale... la legittimità della lotta dei popoli coloniali come pure la sua solidarietà ed il suo appoggio alla popolazione del Sahara nella lotta che essa conduce per l'esercizio del suo diritto all'autodeterminazione e all'indipendenza e prega tutti gli Stati di porgerle tutto l'aiuto morale e materiale necessario a questa lotta".
L'Assemblea riaffermerà ancora questa legittimità della lotta del popolo sahrawi ed esprimerà di nuovo la sua completa solidarietà alla popolazione del Sahara in conformità alla sua risoluzione 3162 (XXVIII) del 14 dicembre 1973).
5. Nel frattempo, è apparsa nel territorio una nuova forza politica, che rappresenta la realizzazione della resistenza all'occupazione spagnola. Questa forza è il Fronte Polisario che dalla sua fondazione, il 10 maggio 1973, rivendica l'autodeterminazione per la popolazione del territorio e prende atto nel suo manifesto politico dell'insuccesso di tutti i mezzi pacifici usati di fronte alla repressione coloniale (vedi testo in Manfred O. Hinz "Il diritto all'autodeterminazione del Sahara occidentale". Bonn, PDW, p.110).
Il 20 maggio 1974, il Fronte Polisario è costretto, di fronte al rafforzamento del dominio coloniale, del terrore e della repressione e davanti a manovre tendenti, con un progetto d'autonomia interna, a privare il popolo sahrawi del suo diritto all'indipendenza, a scatenare la lotta armata contro l'occupazione spagnola, lotta che completa l'intensa campagna condotta per la mobilitazione politica delle masse. Il Fronte che si considera "strumento della liberazione nazionale" ottiene rapidamente successi politici e militari. Nell'agosto 1974, tiene il suo secondo congresso nel corso del quale riafferma la sua determinazione a condurre il popolo sahrawi all'indipendenza e alla liberazione nazionale (M.O. Hinz, op.cit. pp.111-116).
Questa risoluzione determina una risposta del Marocco e della Mauritania che si fanno più esigenti nelle loro rivendicazioni e ottengono dall'Assemblea Generale che essa solleciti presso la Corte Internazionale di Giustizia una richiesta di parere consultivo che si concentri essenzialmente sullo statuto del territorio al momento della colonizzazione e sulle relazioni giuridiche con il Marocco e la Mauritania. A norma di questa risoluzione 3292 (XXIX) del 13 dicembre 1974, in cui l'Assemblea prende atto dell'esistenza di una difficoltà giuridica riguardo allo statuto del territorio e chiede alla Spagna di soprassedere all'organizzazione del referendum, l'Assemblea richiama la risoluzione 1514 (XV), le sue risoluzioni anteriori relative al Sahara, riafferma espressamente il diritto all'autodeterminazione del popolo sahrawi e prega il comitato di decolonizzazione di seguire la situazione nel territorio e di inviarvi una missione in visita.
6. La missione dell'Assemblea Generale, composta dai rappresentanti di tre paesi: Costa d'Avorio, Cuba ed Iran, si è recata nel Sahara e nei paesi limitrofi durante i mesi di maggio e giugno 1975, dove essa ha avuto contatti con un largo settore della popolazione. La missione ha constatato in particolar modo quanto segue: "Nel territorio, la missione ha constatato che la popolazione o perlomeno la quasi totalità delle persone da essa incontrate si è pronunciata categoricamente a favore dell'indipendenza e contro le rivendicazioni territoriali del Marocco e della Mauritania. Essa ha espresso il desiderio che l'Organizzazione delle Nazioni Unite, l'Organizzazione dell'Unità Africana e la Lega degli Stati Arabi l'aiutino ad ottenere e a mantenere la propria indipendenza. Con le sue manifestazioni e con le sue dichiarazioni, ha dimostrato che appoggiava gli obiettivi del Fronte Polisario (Frente popular para la liberaciòn de Saguia El Hamra e Rio de Oro) e del PUNS (Partido de la Uniòn Nacional Sahrawi) favorevoli all'indipendenza del territorio. Nel territorio, la missione è entrata in contatto soltanto con due movimenti politici: il Fronte Polisario ed il PUNS, movimento di liberazione il primo, partito politico il secondo. Questi due movimenti sono unanimi nel reclamare l'acquisizione all'indipendenza del territorio, benché raccomandino metodi differenti per arrivarci. Essi respingono le rivendicazioni territoriali del Marocco e della Mauritania. Secondo i dirigenti del Fronte Polisario come per i rappresentanti del Puns nel territorio, il referendum era sorpassato dato che la popolazione aveva chiaramente fatto conoscere alla missione le sue aspirazioni. Ma tutti hanno dichiarato che avrebbero accettato il referendum, se questa fosse stata la via caldeggiata dall'ONU. Il Fronte Polisario, che era stato considerato clandestino sino all'arrivo della missione, è apparso la forza politica dominante nel territorio. Su tutto il territorio, la missione ha assistito a manifestazioni di massa in suo favore". (testo riprodotto da M.O. Hinz, op. cit. pp.74-75).
7. Nella sua delibera del 18 ottobre 1975, la Corte Internazionale di giustizia esclude senza ambiguità di sorta le rivendicazioni territoriali del Marocco e della Mauritania e riafferma, relativamente a questo territorio non autonomo, la priorità del diritto alla autodeterminazione.
All'unanimità la Corte dichiara, infatti, che il territorio del Sahara occidentale non era un territorio di nessuno (res nullius) all'epoca in cui venne colonizzato dalla Spagna (questione sottoposta all'Assemblea Generale). Per quanto riguarda la questione II, che concerne i legami giuridici fra il Sahara occidentale da un lato, e il Marocco e la Mauritania dall'altro, la Corte, quasi all'unanimità (14 voti contro 2 per quel che riguarda il Marocco, 15 voti contro 1 per quanto concerne la Mauritania) respinge le rivendicazioni di questi paesi e riafferma l'applicazione al Sahara occidentale del diritto alla decolonizzazione: "Gli elementi e le informazioni portati a conoscenza della Corte mostrano l'esistenza di legami giuridici di fedeltà tra il sultano del Marocco ed alcune tribù che vivono sul territorio del Sahara occidentale. Essi mostrano altresì l'esistenza di diritti fra i quali alcuni diritti relativi alla terra, che davano luogo a dei legami giuridici fra l'unione mauritana, nel senso in cui l'intende la Corte e il territorio del Sahara occidentale. In compenso, la Corte ritiene che dagli elementi e dalle informazioni portati a sua conoscenza non si ricava l'esistenza di alcun legame di sovranità territoriale fra il Sahara occidentale e la monarchia del Marocco o l'unione mauritana. La Corte dunque non ha constatato l'esistenza di legami giuridici di natura tale da modificare l'applicazione della risoluzione 1514 (XV) dell'Assemblea Generale sulla decolonizzazione del Sahara occidentale ed in particolare del principio di autodeterminazione mediante l'espressione libera ed autentica della volontà dei popoli del territori". (c.I.g. Raccolta 1975, p.68).
8. Il 14 novembre 1975, alcune settimane dopo il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia, delegazioni dei governi di Spagna, Marocco e della Mauritania fissano a Madrid un accordo in sei punti. Secondo l'art.2 di tale accordo, la Spagna istituirà un'amministrazione provvisoria del territorio con la partecipazione della Djemaa (assemblea locale). La stessa disposizione prevede il passaggio dei poteri dalla potenza amministrante alla commissione ad interim così formata, dalla quale la Spagna uscirà prima del 28 febbraio 1976. In base all'art.3 dello stesso accordo, "l'opinione della popolazione sahrawi espressa dalla Djemaa sarà rispettata". Prima ancora che questo accordo venisse firmato, fin dal 6 novembre, l'invasione marocchina mascherata da una operazione falsamente pacifica, la 'Marcia Verde', organizzata dal re del Marocco, ha varcato la frontiera, a dispetto del pressante appello del Consiglio di Sicurezza che, il 2 novembre, "chiede a tutte le parti coinvolte ed interessate di evitare qualsiasi azione unilaterale od altre cose che potrebbero aggravare ulteriormente la tensione nella regione" (risoluzione 374-1975). Alcuni giorni più tardi, il 6 novembre, il Consiglio di Sicurezza adotta la risoluzione 380 (1975) in conformità della quale: "notando con profonda preoccupazione che la situazione per quanto riguarda il Sahara occidentale si è ulteriormente aggravata.
Notando con dispiacere che a dispetto delle sue risoluzioni 377 (1975) del 22 ottobre 1975 e 379 (1975) del 2 novembre 1975, così come dell'appello fatto dal presidente del Consiglio di Sicurezza, con l'autorizzazione di questo, al re del Marocco per pregarlo insistentemente di porre immediatamente fine alla marcia dichiarata nel Sahara occidentale, la suddetta marcia ha avuto luogo.
Agendo sulla base delle risoluzioni sopra menzionate:
a) Deplora l'esecuzione della marcia.
b) Chiede al Marocco di ritirare immediatamente tutti i partecipanti alla marcia sul territorio del Sahara occidentale..."
9. Mentre la marcia verde il 6 novembre supera la frontiera 1975 con l'occupazione di Smara, seguita il 12 dicembre da quella di El Aioun, l'esercito della Mauritania, il 10 dicembre, s'impadronisce di la Guera. L'entrata di queste forze, con la complicità della Spagna, provoca l'esodo di decine di migliaia di rifugiati, dei quali il Fronte Polisario si assumerà la responsabilità.
La reazione dei notabili sahrawi membri della Djemaa non si fa attendere. Il 28 novembre 1975, a Guelta, 3 membri delle Corti spagnole, 67 membri della Djemaa (sui 102 che la formano) e 60 capi decidono di sciogliere questa assemblea, che "non essendo eletta democraticamente dal popolo sahrawi, non può decidere dell'autodeterminazione del popolo sahrawi". Lo stesso proclama constata "il tradimento della Spagna nei riguardi del popolo sahrawi, qualifica l'accordo di Madrid come una "convenzione colonialista", e riconosce il Fronte Polisario come "autorità unica e legittima del popoli sahrawi".
10. Conformemente all'accordo di Madrid, l'amministrazione e l'esercito spagnolo si ritirano dal territorio il 26 febbraio 1976. Nel frattempo, le forze marocchine e mauritane avevano occupato le principali città del territorio e la lotta armata fra queste forze e le truppe popolari si era intensificata.
Il 27 febbraio 1976, un giorno dopo che la Spagna si era unilateralmente liberata dai suoi obblighi di potenza amministratrice del territorio non autonomo, il Consiglio nazionale sahrawi provvisorio proclamava la Repubblica Araba Democratica Sahrawi (testo riprodotto da M.O. Hinz, op.cit., pp.88-90) la cui legittimità e legalità costituiscono il tema di un memorandum datato 20 maggio 1976 (ibid. pp.91-109).
11. Il 5 agosto 1979, la Repubblica islamica della Mauritania ha concluso con il Fronte Polisario un accordo di pace, in conformità del quale "La Repubblica Islamica della Mauritania si impegna solennemente che essa non avanza né avanzerà in futuro rivendicazioni territoriali e d'altro genere sul Sahara occidentale".
La Repubblica Islamica della Mauritania decide di uscire in maniera definitiva dall'ingiusta guerra contro il Sahara occidentale seguendo le modalità fissate di comune accordo con il rappresentante del popolo sahrawi, il Fronte Polisario. Il Fronte Polisario s'impegna solennemente a non avanzare nemmeno in futuro rivendicazioni territoriali o d'altra natura sulla Mauritania".
Questo accordo è stato eseguito dalla Mauritania, che ha ritirato le sue truppe dal territorio del Sahara occidentale, mentre le forze marocchine continuavano ad occupare talune parti del territorio evacuato dalla Mauritania.
12. Dal 1975, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato numerose risoluzioni relative al Sahara occidentale. L'ultima in ordine di tempo è la risoluzione 3397 (XXXIII). Più recentemente, il 2 novembre 1979, la Commissione Politica dell'Assemblea Generale (4.a Commissione) ha adottato una risoluzione riaffermando "il diritto inalienabile del popolo del Sahara occidentale all'autodeterminazione e all'indipendenza, deplorando l'aggravarsi della situazione derivante dal persistere dell'occupazione del Sahara occidentale da parte del Marocco e dall'estendersi di questa occupazione al territorio recentemente evacuato della Mauritania" e raccomandando a questo scopo che il Fronte Polisario, rappresentante del popolo del Sahara occidentale, partecipi pienamente alla ricerca di una soluzione politica giusta, duratura e definitiva della questione del Sahara occidentale, conformemente alle risoluzioni e alle dichiarazioni dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, dell'Organizzazione dell'Unità Africana e dei paesi non allineati".
13. I principi fondamentali del diritto all'autodeterminazione dei popoli coloniali sono enunciati chiaramente nella risoluzione 1514 (XV) del 14 dicembre 1960 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, intitolata: "Dichiarazione sulla concessione dell'indipendenza ai paesi e popoli coloniali".
Prima di circoscrivere la portata e l'estensione della Dichiarazione, è il caso di determinare il valore giuridico. La questione del carattere vincolante delle risoluzioni dell'Assemblea Generale è stata a lungo controversa e può costituire ancora oggi oggetto di discussione la natura giuridica dell'una o dell'altra di esse. Non possono ormai esservi dubbi circa il fatto che determinate risoluzioni possono dare espressione a norme di diritto internazionale di nuova formazione che vincolano tutti gli Stati e che tale carattere possiede il diritto all'autodeterminazione dei paesi e popoli coloniali. I paragrafi dal 54 al 56 del parere consultivo sul Sahara occidentale, che riproducono parecchi passaggi del parere consultivo del 21 giugno 1971 "sulle conseguenze giuridiche per gli Stati della continua presenza in Namibia (sud-ovest africano) del Sud Africa nonostante la risoluzione 276 (1970) del Consiglio di Sicurezza", enunciano chiaramente che l'evoluzione del diritto internazionale, attestato in particolare da numerose risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e principalmente dalla risoluzione 1514 (XV), ha fatto dell'autodeterminazione un principio applicabile a tutti i paesi e popoli coloniali.
"Il principio dell'auto determinazione, in quanto diritto dei popoli, e la sua applicazione allo scopo di mettere rapidamente fine a tutte le situazioni coloniali sono enunciati nella risoluzione 1514". (C.I.J. Raccolta 1975 p.31).
14. Il diritto all'autodeterminazione fa nascere due questioni supplementari: a chi si applica e quali sono i suoi limiti? Per quali vie si deve dare attuazione a questo diritto? Non soltanto l'intitolazione della dichiarazione 1514 (XV) e il riferimento che contengono le sue diverse disposizioni al concetto di paesi e popoli coloniali, ma anche tutte le applicazioni che l'Assemblea Generale ne ha fatto in risoluzioni ulteriori relative a particolari situazioni, tendono ad inserire il principio di autodeterminazione nel processo di decolonizzazione.
Poiché il territorio di Salite El Hamra e di Rio de Oro era posto sotto l'amministrazione di una potenza coloniale, la Spagna, al momento in cui il popolo di questo territorio ha accentuato la sua pressione per ottenere la propria indipendenza, non c'è alcun dubbio che le domande attualmente sottoposte al Tribunale rientrano nell'ambito di applicazione della risoluzione 1514 (XV). Del resto, l'Assemblea Generale stessa, nella risoluzione 3292 (XXIX) testè citata, ha applicato la Dichiarazione del 14 dicembre 1960 al problema del Sahara occidentale. Per l'esame della richiesta di parere consultivo che gli è pervenuta, il Tribunale non ha da allora verificato se il diritto dei popoli all'autodeterminazione si estende a situazioni diverse da quelle nate dalla decolonizzazione.
15. Nel parere consultivo del 16 dicembre 1975, la Corte Internazionale di Giustizia si ispira alla risoluzione 1541 (XV) dell'Assemblea Generale per descrivere le principali forme "secondo le quali un territorio non autonomo può raggiungere la piena autonomia; esso può:
a) diventare uno Stato indipendente e sovrano;
b) associarsi liberamente ad uno Stato indipendente;
c) integrarsi ad uno Stato indipendente".
(C.I.J.Raccolta 1975 p.32)
Nelle tre ipotesi esplicitamente citate, il popolo fa uso del suo diritto all'autodeterminazione sia per costituirsi in Stato, sia per entrare a far parte di uno Stato preesistente. Così la formazione di uno Stato appare come il normale sbocco del processo di decolonizzazione.
16. Allorché il diritto all'autodeterminazione è esercitato in forma diversa dal costituire sul territorio decolonizzato uno Stato indipendente e sovrano, l'esigenza posta nell'art.5 della risoluzione 1514 (XV) dell'Assemblea Generale si rivela in tutta la sua importanza. Questa disposizione richiede che nei territori considerati siano adottate misure immediate "per trasferire tutti i poteri alle popolazioni di questi territori, senza alcuna condizione né riserva, in conformità alla loro volontà e ai loro desideri liberamente espressi, senza alcuna distinzione di razza, di fede, di colore, al fine di consentir loro di godere di una indipendenza e di una libertà complete".
Nel parere consultivo del 16 ottobre 1975, la Corte Internazionale di Giustizia riproduce questo articolo come pure l'art.2 della stessa risoluzione, in conformità del quale il diritto dei popoli all'autodeterminazione include il loro diritto a "determinare liberamente il proprio regime politico". La Corte conclude che "l'applicazione del diritto all'autodeterminazione presuppone la libera ed autentica espressione della volontà del popolo considerato. (C.I.J. Raccolta 1975, p.32)
17. La Corte cita poi la risoluzione 2625 (XXV) dell'Assemblea Generale, dal titolo "Dichiarazione relativa ai principi del diritto internazionale concernente le relazioni amichevoli e la cooperazione fra gli Stati, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite, in cui si delinea in materia di decolonizzazione "la fondamentale necessità di tener conto delle aspirazioni della popolazione considerata" (C.I.J. Raccolta 1975, p.33).
La Corte Internazionale di Giustizia conclude questa parte del suo parere consultivo con il paragrafo 59 redatto nei seguenti termini: "La validità del principio di autodeterminazione, definito come rispondente alla necessità di rispettare la volontà espressa dai popoli, non viene meno per il fatto che in alcuni casi l'Assemblea Generale non ha creduto di dover esigere il parere degli abitanti di questo o quel territorio. Queste eccezioni si spiegano sia in base alla considerazione che una data popolazione non costituiva un "popolo", che potesse pretendere di autodeterminarsi, sia in base alla convinzione che una consultazione non sarebbe stata di alcuna utilità in considerazione delle circostanze del caso.
18. Dopo aver richiamato i principi fondamentali del diritto alla decolonizzazione, la Corte Internazionale di Giustizia analizza l'applicazione che l'Assemblea Generale ha fatto di questi principi in numerose risoluzioni relative al caso particolare del Sahara occidentale, fra le quali la risoluzione 2229 (XXI) è una delle più antiche. Il paragrafo 70 del parere consultivo conclude tale disamina nei seguenti termini: "In sintesi, il processo di decolonizzazione che deve essere accelerato e che l'Assemblea Generale prende in esame in questa disposizione è un processo che rispetterà il diritto delle popolazioni del Sahara occidentale a determinare il proprio regime politico mediante libera espressione della loro volontà. Questo diritto non viene modificato né dalla presente richiesta di parere consultivo né dalla risoluzione 3292 (XXIX), che anzi lo riafferma espressamente. Il diritto di queste popolazioni all'autodeterminazione costituisce dunque un presupposto delle questioni sottoposte alla Corte" (C.I.J. Raccolta 1975, p.36).
La pretesa marocchina consisteva nell'invocare i legami che sarebbero esistiti prima della colonizzazione fra il Marocco ed il territorio del Sahara per impedire l'applicazione del principio dell'autodeterminazione alla decolonizzazione di questo territorio.
20. Due membri della Corte Internazionale di Giustizia, M. Gros e M. Petrèn, prospettano il problema nei termini seguenti. Secondo M. Gros, la questione giuridica specifica alla quale la Corte deve rispondere è quella di determinare se il Marocco ha il diritto di pretendere la reintegrazione del territorio del Sahara occidentale nel territorio nazionale del Regno del Marocco al quale apparteneva, secondo questo Stato, al momento della colonizzazione spagnola" (C.I.J. Raccolta 1975, p.80).
Su tale questione, M. Gros dichiarava, dal canto suo, di condividere la seconda parte del paragrafo 162 del parere consultivo (negazione di qualsiasi sovranità territoriale del Marocco sul territorio) ma non la prima (constatazione dei legami giuridici fra il Marocco ed il territorio del Sahara occidentale).
L'opinione separata del giudice Petrèn si sofferma puntualmente sull'aspetto giuridico della questione senza tuttavia suggerire una risoluzione.
Egli si domanda, infatti, se non si debba mantenere, in caso di decolonizzazione, un equilibrio fra il diritto all'autodeterminazione della popolazione e l'integrità territoriale di uno o più Stati. Il problema è quello di determinare "se il fatto che il territorio apparteneva, all'epoca della sua colonizzazione, a uno Stato che esiste tutt'oggi, giustifichi le rivendicazioni di questo in nome della sua integrità territoriale" (C.I.J. Raccolta 1975, p.110). Dopo aver affermato che "questo genere di questioni non sono ancora considerate abbastanza mature per essere deferite alla Corte" (ibid., p.110), il giudice Petrèn lamenta che il parere, ed in particolare il paragrafo 162, non rechi traccia di un'analisi degli aspetti sia teorici che pratici sul problema specifico" delle condizioni e della misura in cui i passati legami giuridici possono influenzare la decolonizzazione di un territorio" (ibid., p.112).
21. In questa prospettiva, l'opinione individuale più caratteristica è quella del giudice Dillard, il quale ritiene che la prima conclusione della Corte, relativa ai legami giuridici, abbia avuto soltanto un ruolo minore. Egli approva totalmente la seconda conclusione "secondo la quale non esisteva alcun legame giuridico di sovranità territoriale fra il Sahara occidentale da una parte e la Monarchia del Marocco dall'altra parte" (C.I.J. Raccolta 1975, p.119). M.Dillard ne trae tre conclusioni di cui le più importanti sono le seguenti:
a) il quadro della limitazione coloniale di una unità territoriale preesistente a partire dal 1884 è un quadro deformato (1)";
b) ogni pretesa a ciò che è stata chiamata una retrocessione automatica non è applicabile al Sahara occidentale... era dunque superfluo pronunciarsi sul principio dell'integrità territoriale proclamato al paragrafo 6 della risoluzione 1514 (XV)" (C.I.J. Raccolta 1975, p.120).
Sempre secondo il giudice Dillard il diritto all'autodeterminazione riconosciuto con il parere consultivo limita anche i poteri dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
22. Queste diverse opinioni personali restano tuttavia altrettanto ambigue quanto il parere stesso sulla questione di diritto che avrebbe suscitato una decisione contraria nel senso della constatazione dell'esistenza di legami di sovranità tra il territorio del Sahara e il Marocco anteriori alla colonizzazione.
A questo riguardo, il punto 3 della risoluzione 2229 (XXI), riprodotto qui sopra (n.3), stabilisce che, nel caso di un territorio che sia stato incontestabilmente staccato dall'Impero dello sceriffo, l'Assemblea Generale deve preoccuparsi di tener conto comunque "delle aspirazioni della popolazione autoctona". La ricostituzione dell'"Unità nazionale" che sarebbe esistita anteriormente alla decolonizzazione si deve fare nel rispetto dei principi fondamentali della decolonizzazione, cioè del diritto di autodeterminazione. Possono variare soltanto le procedure di consultazione della volontà delle popolazioni decolonizzate; infatti il referendum non è l'unico metodo di consultazione di queste popolazioni. Debbono pure essere prese in considerazione la durata della colonizzazione e le solidarietà nazionali che la resistenza ad un colonizzatore sia riuscita a creare o rafforzare.
L'art.55, che costituisce il punto centrale del sistema di cooperazione economica e sociale, collega strettamente lo sviluppo della pace al rispetto del principio di uguaglianza dei diritti dei popoli e del diritto a disporre di se stessi.
Gli art.1 e 55 devono essere messi in rapporto con gli art.2 e 56.
L'art.2 impone agli Stati membri di adempiere in "buona fede" agli obblighi da essi assunti in conformità alla Carta. L'art.56 stabilisce l'obbligo degli Stati membri "di agire sia congiuntamente che separatamente, in cooperazione con l'Organizzazione".
Va notato che questi testi devono ispirare l'atteggiamento degli Stati terzi, assumendo gli Stati delle responsabilità proprie di origine coloniale, nei confronti dei territori non autonomi, essendo inoltre tenuti a rispettare le disposizioni del capitolo IX della Carta (vedi sopra, n.2).
24. Fin dalla sua prima sessione, l'Assemblea Generale ha messo in evidenza nella sua risoluzione 9 (I), l'importanza che essa intendeva accordare alle aspirazioni politiche dei popoli ancora dipendenti e non rappresentati all'Assemblea, come pure i legami vitali esistenti tra i problemi dei popoli e il mantenimento della pace e del benessere universale. Nel corso della sua quinta sessione, l'Assemblea Generale riconosceva che l'esercizio del diritto dei popoli a disporre di se stessi era una prerogativa indispensabile al rispetto dei diritti dell'uomo. Essa decideva pure di inserire nei Progetti di Patto relativi ai diritti dell'uomo, un articolo sui diritti di tutti i popoli, ivi compresi quelli dei territori non autonomi a disporre di se stessi (Ris. 421 D del 4 dicembre 1950). Questa disposizione diventerà l'art.1° comune ai due Patti adottati nel 1966 dall'Assemblea Generale.
Al fine di consentire l'immediata applicazione del Capitolo XI della Carta, l'Assemblea Generale aveva adottato fin dal 1946 la lista dei territori non autonomi, stabilita sulla base delle indicazioni fornite dalle otto potenze coloniali, allora membri delle Nazioni Unite Ris.(66/1).
Questa enumerazione ha avuto come risultato quello di fissare, fin dalla prima sessione dell'Assemblea, l'estensione del campo di applicazione dell'art.73 e di consentire all'Assemblea di affermare progressivamente la propria competenza nel determinare territori non autonomi di fronte alle potenze coloniali che cercavano di far prevalere la tesi della loro competenza esclusiva al riguardo, in modo da far cessare il flusso delle informazioni.
25. Dopo l'adozione della risoluzione 1514 (XV), l'Assemblea Generale completerà e rinforzerà il sistema giuridico applicabile alla decolonizzazione su due punti essenziali. Il primo riguarda la legittimità della lotta, anche quella armata, quando un popolo vi deve ricorrere per ottenere l'effettivo esercizio del suo diritto all'autodeterminazione; il secondo punto è relativo agli obblighi che il carattere imperativo di questo diritto pone a carico degli Stati terzi.
26. Su questi due punti, l'essenziale del diritto internazionale in vigore si trova inscritto nella Dichiarazione relativa ai principi del diritto internazionale riguardo alle relazioni amichevoli ed alla cooperazione fra gli Stati, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite (Ris. 2625-XXV del 24 ottobre 1970). Questa dichiarazione riafferma i grandi principi della Carta alla luce del loro sviluppo progressivo a partire dal 1945, e in particolare:
- il dovere di ogni Stato di favorire la decolonizzazione e di aiutare l'O.N.U. ad assolvere le proprie responsabilità in conformità alla Carta, per mettere rapidamente fine al colonialismo;
* il dovere di ogni Stato di astenersi da qualsiasi misura coercitiva che privasse i popoli del loro diritto a disporre di se stessi e della loro indipendenza;
*
- il diritto dei popoli che reagiscono ad una tale misura coercitiva nell'esercizio del loro diritto a disporre di se stessi, a ricevere un appoggio conforme ai fini e ai principi della Carta delle Nazioni Unite.
"Ogni Stato ha il dovere di astenersi dal ricorrere a qualsiasi misura coercitiva che privasse i popoli stessi sopra citati nella formulazione del presente principio del loro diritto a disporre di se stessi, della loro libertà e della loro indipendenza. Quando reagiscono e resistono ad una tale misura di coercizione nell'esercizio del loro diritto a disporre di se stessi, questi popoli hanno il diritto di cercare e di ricevere un appoggio conforme ai fini e principi della Carta delle Nazioni Unite".
La dichiarazione ricorda anche che ogni territorio coloniale possiede uno statuto distinto e separato da quello della metropoli e che questo statuto sussiste fino a quando il popolo di questo territorio non abbia esercitato il suo diritto all'autodeterminazione.
"Il territorio di una colonia o un altro territorio non autonomo possiede, in virtù della Carta, uno statuto separato e distinto da quello del territorio dello Stato che l'amministra: questo statuto separato e distinto in virtù della Carta esiste fino a quando il popolo della colonia o del territorio non autonomo non eserciti il suo diritto a disporre di se stesso in conformità con la Carta delle Nazioni Unite e, in particolare, con i suoi scopi e principi". L'esistenza di questo statuto proprio s'impone ugualmente agli Stati terzi.
27. Il programma di azione per la completa applicazione della Dichiarazione sull'indipendenza, adottato dieci anni più tardi dall'Assemblea, qualifica come "crimine" il mantenimento del dominio coloniale e riafferma "il diritto inerente dei popoli coloniali a lottare con tutti i mezzi necessari" contro le potenze coloniali che impediscono l'esercizio dei loro diritti (Ris. 2621-XXV del 12 ottobre 1970).
La definizione di aggressione, adottata il 14 dicembre 1974 dall'Assemblea Generale (Ris. 3314-XXIX), chiede agli Stati di astenersi da ogni atto di aggressione e dal ricorso all'uso della forza, in contrasto con la Carta e con la Dichiarazione relativa ai principi del diritto internazionale. L'Assemblea riafferma: "Il dovere degli Stati di non utilizzare le armi per privare i popoli del loro diritto all'autodeterminazione, alla libertà e all'indipendenza o per violare l'integrità territoriale".
L'art.9 precisa che: "nulla nella presente definizione può portare pregiudizio al diritto all'autodeterminazione, alla libertà e all'indipendenza dei popoli privati di questo diritto... in particolare i popoli sotto la dominazione dei regimi coloniali e razzisti e sotto altre forme di dominazione straniera, né al diritto di questi popoli di lottare per questo fine e di ricercare e ricevere un appoggio a questo scopo, in conformità con i principi delle Nazioni Unite".
28. Il fondamento che il diritto alla decolonizzazione trova nella carta stessa, l'ampiezza e la solennità delle risoluzioni dell'Assemblea Generale che ad esso si riferiscono, permettono di considerare non soltanto, come ha fatto la Corte Internazionale di Giustizia (vedi sopra n.13), che il diritto dei popoli coloniali a disporre di se stessi è entrato nell'uso internazionale universalmente accettato da tutti gli Stati, qualunque sia il loro regime politico o economico, ma anche che i suoi principi fondamentali costituiscono delle norme imperative di diritto internazionale generale alle quali, secondo l'art.53 della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969, non è consentito derogare.
La stessa interpretazione è avvalorata dall'art.19 del progetto della Commissione di diritto internazionale dell'ONU sulla responsabilità degli Stati, che include la salvaguardia del diritto alla libera determinazione dei popoli tra le norme imperative del diritto internazionale e qualifica come "crimine internazionale" qualsiasi tipo di azione diretta a mantenere con la forza una dominazione coloniale (Annuario della Commissione di Diritto Internazionale, 1974, Vol.II; 2/a, pp.94 e s.).
A siffatta questione la Corte ha dato una risposta perentoria, negando qualsiasi fondamento alla pretesa del Marocco di sollevare "una questione di sovranità", suscettibile di incidere sul processo di decolonizzazione. Tuttavia la stesura del dispositivo della sentenza, malgrado il collegamento stabilito tra questo dispositivo e l'ultimo paragrafo della motivazione, ha finito per creare una certa ambiguità da cui si è tratto profitto per avvalorare una interpretazione abusiva dell'insieme della sentenza.
30. Per quel che concerne la seconda questione, la Corte decide "che il territorio aveva, con il Regno del Marocco, dei legami giuridici aventi i caratteri indicati al paragrafo 162 del presente parere" (C.I.J. Raccolta 1975, p.69). Questi caratteri sono già stati ricordati qui sopra, così come sono precisati (n.7) dall'ultima frase del paragrafo 162 della motivazione: essi non sono "di natura tale da modificare l'applicazione della risoluzione 1514 (XV) sulla decolonizzazione del Sahara occidentale ed in particolare l'applicazione del principio dell'autodeterminazione grazie alla libera ed autentica espressione della volontà delle popolazioni del territorio (vedere dal paragrafo 54 al 59 sopra)" (C.I.J. Raccolta 1975, p.69). Inoltre la frase precedente dello stesso paragrafo è redatta nei seguenti termini: "In compenso la Corte conclude che gli elementi e l'informazione portati a sua conoscenza non stabiliscono l'esistenza di alcun legame di sovranità territoriale tra il territorio del Sahara occidentale da una parte e il Regno del Marocco dall'altra".
31. Oltre alla formale esclusione di ogni legame di sovranità, che non appare nel dispositivo, i rapporti giuridici che vi sono affermati, sono regolati dal paragrafo della motivazione a cui si fa riferimento.
Se ci si ricorda che i due problemi posti alla Corte non avevano un carattere né accademico né storico ma concernevano un problema attuale di diritto internazionale, è consentito con alcuni membri della Corte, (vedi in particolare la dichiarazione Gros, C.I.J. Raccolta 1975, pp.75-76, le opinioni personali di Ignaco-Pinto, ibid., pag.78 e di Petrén, ibidem, pp.110-112) di dubitare del carattere "giuridico" dei rapporti di cui si ravvisa l'esistenza.
A ragione la Corte non ha qualificato le situazioni anteriori alla colonizzazione secondo i criteri del diritto internazionale contemporaneo o del diritto pubblico europeo del XIX secolo. Le eventuali relazioni risalenti al 1884, o ad epoche ancora più remote, non rientrano necessariamente nella categoria della Stato territoriale moderno, che non è l'unica forma di potere organizzato. Per quanto sia corretta, questa messa a punto non impedisce due conseguenze. L'una è che possono essere qualificati "giuridici", secondo il diritto alla decolonizzazione, solo dei legami suscettibili di esercitare ancor oggi un'influenza sul processo di autodeterminazione. Non si potrebbero qualificare come "giuridici" dei legami storici ai quali non si riconosca nel medesimo tempo uguale incidenza.
32. La seconda conseguenza deve essere tratta dalla posizione sostenuta dal Marocco e richiamata nel documento ciclostilato di 23 pagine consegnato al Tribunale dal rappresentante dell'Istiqlal, dal titolo "Il Regno del Marocco, un caso unico nella storia della decolonizzazione". Alla prima pagina di questo documento si legge quanto segue: "Qual'è la realtà di questa crisi? Innanzitutto quella di uno Stato, il Marocco, costituito da secoli, preesistente alla colonizzazione, avente da sempre una personalità internazionale e delle frontiere note e riconosciute".
È un fatto che parecchi secoli prima della colonizzazione il Marocco era un vero e proprio Stato alla stregua dei principali Stati Europei dell'epoca ed esercitava sulla maggior parte dell'attuale territorio del Regno del Marocco una sovranità territoriale pura e semplice. Tuttavia, per quanto riguarda la parte a sud dell'attuale territorio situato tra il Sous e il Draa, e tenuto conto del carattere nomade della popolazione, non ha esercitato in modo continuo ed effettivo funzioni di governo. Partendo da questa constatazione, il Marocco ha cercato di far credere di aver esercitato veri e propri poteri sovrani su una zona di influenza esclusiva che si estendeva all'infinito verso il sud, al punto di conglobare una parte del territorio del Sahara occidentale.
33. La Corte Internazionale di Giustizia ha respinto del tutto questa pretesa. Non soltanto essa afferma che la maggior parte delle tribù viventi ancora sul territorio del Sahara occidentale erano, come i Regueibat, del tutto indipendenti dal sultano del Marocco, ma per quanto riguarda le tribù che, come le frange Tekna avevano dei legami di nomadizzazione con i Caids Tekna localizzati all'interno dell'attuale territorio del Marocco, è in termini dubitativi che essa afferma l'esistenza di legami che, tramite questi Caids, avrebbero unito le frange Tekna al Sultano del Marocco. Le informazioni di cui la Corte dispone "non sembrano... escludere la possibilità che il Sultano abbia esercitato talune forme di autorità nei confronti di certe tribù del territorio. Non lo si potrebbe dire con certezza dei Regueibat o di altre tribù indipendenti che vivono sul territorio. La situazione è diversa per le frange Tekna di cui si è accertato che i percorsi di nomadizzazione attraversavano in particolare il territorio dei Caids Tekna all'interno del Marocco, come pure alcune parti del Sahara occidentale. Certamente, il territorio dei Caids Tekna nel Noun e nel Draa faceva parte del Bled Siba durante il periodo considerato e la subordinazione di questi Caids al Sultano era talvolta incerta. È però accertato che lo Stato dello sceriffo comprendeva il Noun e il Draa e che i Caids Tekna rappresentavano l'autorità del sultano". (C.I.J. Raccolta 1975, p.48).
Così i "legami giuridici" espressi nel dispositivo del parere consultivo si riducono alla semplice possibilità che una frangia delle tribù nomadi presenti su di un territorio attraversato dalla frontiera che separa il Marocco dal Sahara occidentale siano state in relazione con i Caids esercitanti la loro autorità su un territorio oggi marocchino, ma la cui subordinazione al Sultano del Marocco era, all'epoca, considerata, "talvolta incerta".
34. Quanto al punto delle "frontiere conosciute e riconosciute" dal Marocco prima della colonizzazione, la Corte Internazionale di Giustizia ha respinto anche la pretesa secondo la quale esse avrebbero incluso il territorio del Sahara occidentale. La procedura davanti alla Corte ha dimostrato soltanto che la volontà espansionistica del Marocco verso il Sud è rimasta costante per secoli senza che essa sia mai riuscita ad imporsi. La decolonizzazione del Sahara occidentale ha fornito al Marocco l'occasione di far valere sotto una nuova forma le sue antiche pretese, senza che questo paese sia riuscito a dimostrare che la colonizzazione di questo territorio aveva, in qualche modo, amputato quello che era il suo territorio o attentato alla sua unità nazionale.
A) Il popolo sahrawi
Tre elementi sembrano concorrere al riconoscimento della qualità di popolo: il possesso pacifico di un territorio sottomesso, secondo i casi, a dominio coloniale o all'occupazione straniera; la formazione di un'organizzazione e di un sistema di vita comune fondati sulla coscienza collettiva e sulla mutua solidarietà; in caso di decolonizzazione e al momento del verificarsi di quest'ultima, la volontà espressa dalla maggioranza degli elementi della popolazione di determinare "liberamente il proprio statuto politico e di perseguire liberamente il proprio sviluppo economico, sociale e culturale" (Risoluzione 1514-XV, art.2).
36. Per quanto riguarda il popolo sahrawi la verifica dei due primi elementi si ritrova nel parere consultivo del 16 ottobre 1975: essi si potrebbero desumere anche dalle arringhe in nome della Spagna, del Marocco, della Mauritania. La popolazione della Spagna era certamente la più netta su questo punto (vedi in particolare: C.I.J. Raccolta 1975, p.62). Quanto alla Mauritania, non essendo nemmeno essa costituita in Stato al momento della colonizzazione del Sahara occidentale, era necessario stabilire i rapporti fra l'"unione Mauritania ed il popolo sahrawi" riconoscendo fin dall'inizio l'omogeneità delle popolazioni stabilitesi sul territorio assoggettato alla colonizzazione spagnola.
Nemmeno il Marocco è riuscito a far valere alcun titolo di sovranità sul territorio di Sakiet El Hamra e Rio de Oro, ma soltanto dei legami di fedeltà fra il Sultano e le popolazioni stabilitesi su questo territorio. Così l'esistenza di collettività che condividevano la stessa cultura ed avevano una forma di organizzazione sociale era un elemento essenziale della dimostrazione tentata dal Marocco e dalla Mauritania, poiché i soli legami che questi Stati potevano far valere prima della colonizzazione erano dei legami di natura personale che presupponevano una forma di "soggetto" passivo, origine dell'attuale popolo sahrawi.
È tuttavia il terzo elemento quello che caratterizza meglio la qualità del popolo sahrawi. La lotta condotta dall'insieme dalle popolazioni del territorio, la resistenza all'occupazione di questo territorio da parte delle forze marocchine, la costituzione della Repubblica Araba Sahrawi Democratica e fino ai successi militari riportati contro le truppe marocchine e contro le truppe mauritane dimostrano due fatti: da una parte esiste un popolo Sahrawi, la cui lotta contro gli invasori stranieri ne ha accelerato la crescita; dall'altro lato questo popolo ha manifestato chiaramente che intende esercitare il suo diritto all'autodeterminazione costituendo sul proprio territorio uno Stato indipendente e sovrano, la Repubblica Araba Sahrawi Democratica. A tale riguardo si osserverà che in un'opinione individuale aggiunta al parere consultivo del 16 ottobre 1975, il vice-presidente della Corte Internazionale di Giustizia, Ammoni, insiste sul significato di "lotta legittima in vista della liberazione dal dominio straniero", per l'esercizio del diritto dell'autodeterminazione (C.I.J. Raccolta 1975, p.9): egli avrebbe voluto che il paragrafo 59 del parere consultivo fosse completato con le parole: "ed in particolare la lotta legittima per la liberazione dal dominio straniero". (Ibidem, p.100).
37. Tuttavia, mentre il punto 2 del dispositivo della risoluzione (XXI) chiedeva "alla Spagna, in quanto potenza amministrante, in special modo, e inoltre al Marocco ed alla Mauritania, in quanto parti interessate a sottoporre alla Corte internazionale di giustizia tutte le informazioni o i documenti che potessero servire a far luce su questi problemi", nessuna richiesta analoga fu indirizzata ai rappresentanti del popolo sahrawi.
Nel corso delle ventisette udienze pubbliche dedicate dalla Corte alla questione del Sahara occidentale, oltre al rappresentante dell'Algeria e a quello dello Zaire, i rappresentanti dei tre Stati appena citati ebbero modo di far valere la posizione del proprio governo e di depositare dei voluminosi dossier, al punto che nelle loro posizioni individuali parecchi giudici fecero osservare che il dibattimento aveva fatto pensare piuttosto ad una procedura contenziosa che ad una richiesta di parere consultivo (vedi in particolare la dichiarazione del giudice Gros: C.I.J. Raccolta 1975, p.72).
Inoltre, con un'ordinanza del 22 maggio 1975, la Corte accolse favorevolmente la richiesta del Marocco di designare un giudice ad hoc, mentre l'analoga richiesta inoltrata dalla Mauritania veniva respinta. Il motivo era che nel primo caso, ma non nel secondo, il parere sollecitato riguardava un problema avente per oggetto una vertenza giuridica fra lo Stato richiedente e la Spagna, paese di cui un cittadino era in quel momento membro della Corte. L'elemento più significativo è che tra le parti "interessate" la sola che non abbia avuto l'occasione di far ascoltare la sua voce è il popolo sahrawi stesso.
La situazione è tanto più paradossale in quanto il parere avrebbe reso giustizia, in termini particolarmente forti, al diritto dei popoli all'autodeterminazione. Tuttavia il popolo stesso di cui questo diritto fondamentale costituiva l'oggetto del dibattimento davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, non era stato in grado di farsi ascoltare in nessun modo.
Questo è senza dubbio l'aspetto più originale della missione assunta dal Tribunale dei Popoli. Allorquando le istituzioni intergovernative e la suprema giurisdizione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite si rivelano impotenti a dar la parola ai rappresentanti di un popolo nel momento stesso in cui esse esercitano le loro funzioni relativamente ai diritti fondamentali di questo popolo, il Tribunale è incaricato dal popolo stesso prima che questo possa esercitare il suo diritto all'autodeterminazione costituendosi in Stato: esso non esclude dal dibattimento la parte essenziale, ossia la parola portata davanti a lui dai rappresentanti del popolo sui diritti del quale è invitato a dare un parere.
La legittimità' del popolo sahrawi
C) La rappresentatività' del Fronte Polisario.
Nello stesso rapporto la commissione constata quanto segue: "il Fronte Polisario, che era considerato come clandestino fino all'arrivo della missione, è apparso come la forza politica dominante nel territorio. Ovunque nel territorio la missione ha assistito a manifestazioni di massa in suo favore".
Il colonnello Rodriguez de Viguri, ultimo segretario del Governo Spagnolo nel Sahara, che ha svolto durante le ultime settimane della colonizzazione le funzioni di governatore ad interim, e che ha depositato come testimone davanti al Tribunale, aveva già dichiarato davanti alla Commissione degli Affari Esteri della Camera dei deputati spagnoli che l'opinione sahrawi era profondamente ostile all'annessione al Marocco, che il Fronte Polisario la rappresentava in questo atteggiamento e che il presidente della missione delle Nazioni Unite, che era arrivato nel Sahara convinto della fondatezza della tesi marocchina, durante la sua permanenza si convinse del contrario (Cortes, Diario delle sessioni del Congresso dei deputati 1978, n.30 p.5).
40. Da allora le dichiarazioni di Stati e di organizzazioni internazionali in favore della rappresentatività del Fronte Polisario si sono moltiplicate. Oltre alle prese di posizione molto nette in questo senso dell'Organizzazione dell'Unità Africana, in particolare nella 16.a sessione ordinaria tenuta a Monrovia dal 17 al 20 luglio 1979, si può citare la risoluzione sul Sahara occidentale, adottata il 2 novembre del 1979 dalla Commissione Politica (4.a Commissione) dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il cui paragrafo 7 è redatto come segue: "Raccomanda a questo scopo che il Fronte popolare per la liberazione di Saguia el Hamra e Rio de Oro (Fronte Polisario) rappresentante del popolo del Sahara occidentale partecipi pienamente ad ogni ricerca di una soluzione politica giusta, duratura e definitiva della questione del Sahara occidentale conformemente alle risoluzioni e dichiarazioni dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, dell'OUA e dei Paesi non allineati".
Si noterà infine che è stato il Fronte Polisario a concludere, in nome del popolo sahrawi, l'accordo di pace con il governo della Mauritania e che esso ha così beneficiato del riconoscimento di questo governo.
V. IL VALORE GIURIDICO DEL TRATTATO CONCLUSO IL 14 NOVEMBRE 1975 A MADRID FRA SPAGNA, MAROCCO E MAURITANIA.
42. Le numerose risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza relative al territorio di Sakiet El Hamra e di Rio de Oro hanno avuto come obiettivo l'attuazione riguardo a questo territorio della risoluzione 1514 (XV). Quest'ultima comportava, secondo i principi qui sopra richiamati, la consultazione degli abitanti del territorio (tuttavia con l'accordo di Madrid si è voluto disporre del territorio) al di fuori delle procedure fissate dall'Assemblea Generale e dagli organismi competenti delle Nazioni Unite.
43. L'accordo di Madrid è stato concluso poco dopo che la Corte Internazionale di Giustizia aveva ricordato il carattere obbligatorio, secondo il diritto internazionale, del diritto all'autodeterminazione dei popoli coloniali. È pure permesso considerare che oggi questo diritto ha il valore di principio di un diritto imperativo generale (jus cogens), al quale, secondo l'art.53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, non è consentito derogare (vedi sopra, n.28).
44. I principi di jus cogens sono regole che gli Stati e gli altri soggetti di diritto internazionale non possono trasgredire nell'esercizio dei diritti loro appartenenti.
L'accordo di Madrid presenta un vizio ancora più grave, in quanto è stato concluso da Stati che avevano preteso di disporre di un territorio che non apparteneva loro.
Nella sua qualità di potenza amministratrice, la Spagna non aveva altre competenze che quella di cooperare al processo di decolonizzazione secondo le modalità stabilite dagli organi competenti delle Nazioni Unite ed eventualmente trasferire i suoi poteri alle autorità liberamente scelte dal popolo che abita quel territorio.
In compenso la Spagna, non aveva il potere né di cedere né di trasferire a Stati vicini le competenze da lei detenute su di un territorio non autonomo nella sua qualità di potenza amministratrice.
Per quanto riguarda il Marocco e la Mauritania, l'incompatibilità dell'accordo di Madrid con il diritto internazionale risulta ancora più evidente in quanto esso è stato concluso poco dopo che la Corte Internazionale di Giustizia aveva negato a questi due Stati qualsiasi diritto di sovranità sul territorio di Sakiet El Hamra e Rio de Oro, sia pure in epoca anteriore alla colonizzazione.
Non avendo potuto ricevere alcun "titolo" dalla Spagna, i due Stati non possono fondarlo neppure nei legami giuridici che sarebbero esistiti prima della colonizzazione fra il popolo sahrawi, da una parte, e il Marocco e l'insieme mauritano dall'altra.
VI. LA VIOLAZIONE DA PARTE DEL MAROCCO DEL DIRITTO DEL POPOLO SAHRAWI ALLA AUTODETERMINAZIONE E ALL'INDIPENDENZA
Per quanto riguarda il Marocco, l'illegalità della presenza delle truppe marocchine sul territorio in via di decolonizzazione si è aggravata con l'occupazione del territorio evacuato dalla Mauritania. A partire dal 6 novembre 1975, ossia qualche settimana dopo la formulazione del parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia, la "Marcia Verde", ha costituito l'oggetto della risoluzione 380 (1975) del Consiglio di Sicurezza (vedi sopra, n.8) e l'attuale occupazione del territorio è stata condannata dalla risoluzione adottata il 2 novembre 1979 dalla Commissione Politica dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (vedi sopra, n.12).
46. La presenza di truppe marocchine sul territorio del Sahara occidentale e le violenze perpetrate contro il popolo sahrawi, che esercita il suo diritto di legittima difesa, sono contrarie al diritto internazionale. In effetti, con la sua decisione unilaterale di occupare un territorio, la cui decolonizzazione era in corso, il governo del Marocco ha interrotto il normale svolgimento di questa, in violazione della risoluzione 1514 (XV) e dell'art.1 dei Patti internazionali del 16 dicembre 1966. Più precisamente, si deve ritenere che l'azione scatenata contro il popolo sahrawi costituisce una violazione dell'art.2 paragrafi 2,3 e 4 della Carta delle Nazioni Unite:
- del paragrafo 2, perché l'esecuzione in buona fede degli obblighi assunti in conformità alla Carta proibiva al governo del Marocco di occupare il territorio del Sahara occidentale dopo che la Corte Internazionale di Giustizia aveva respinto qualsiasi pretesa territoriale diretta contro l'antica colonia spagnola e perché, in violazione dello stesso paragrafo, il Marocco si è finora astenuto dal cooperare con il Segretariato Generale nell'adempimento del mandato affidatogli nelle risoluzioni 377 (1975) e 379 (1975) del Consiglio di Sicurezza;
- del paragrafo 3, perché, lungi dal ricorrere a mezzi pacifici, il governo marocchino ha, senza rispettare la lettera, né lo spirito delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell'Assemblea Generale, occupato con la violenza un territorio in via di decolonizzazione;
- del paragrafo 4, perché il governo marocchino è ricorso all'impiego della forza in maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite, nel caso concreto la decolonizzazione pacifica del Sahara Occidentale e il diritto all'autodeterminazione riconosciuto al popolo di questo territorio dall'Assemblea Generale, dal Consiglio di Sicurezza e dalla Corte Internazionale".
47. Per quanto concerne in maniera particolare l'occupazione della parte del territorio del Sahara evacuato dalla Mauritania, occorre segnalare che, davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, lo stesso Marocco ha negato l'esistenza di legami giuridici anteriori alla colonizzazione.
La Corte Internazionale di Giustizia ha, su questo punto, preso atto del punto di vista marocchino da essa espresso nei seguenti termini: "Allorché il Marocco richiama Capo Bianco e Villa Cisneros nelle sue argomentazioni di carattere generale, esso non intende sostenere che la sua sovranità si esercitava su queste regioni al momento della decolonizzazione spagnola. Queste regioni facevano in effetti parte integrale della unione Mauritania all'epoca considerata, unione di cui la Repubblica Islamica della Mauritania è il solo successore" (C.I.J. Raccolta 1975, p.66).
Pertanto il ritiro della Mauritania, conformemente al diritto internazionale, non avrebbe dato luogo ad un preteso "diritto di prelazione" a vantaggio del Marocco, non soltanto perché la nullità che colpisce l'accordo di Madrid, colpisce pure il patto non allegato con il quale uno dei due Stati, in base ad un accordo con la Spagna, avrebbe ceduto i suoi diritti all'altra, ma anche perché il Marocco ha riconosciuto davanti alla Corte Internazionale di Giustizia di non aver alcun titolo proprio da far valere su questa parte del Sahara Occidentale.
48. La nozione stessa di "diritto di prelazione" evoca un altro aspetto dell'accordo di Madrid, ossia che quest'ultimo avrebbe configurato secondo l'espressione di Madame Victoria Abellàn Henrubia, vicerettore dell'Università di Barcellona , una "vendita". L'accordo di Madrid, il cui testo è stato comunicato al Tribunale, è accompagnato da altri accordi, qualificati come segreti: essi hanno in particolare una portata economica (vedi la dichiarazione di M. Rodriguez de Viguri davanti alla Commissione delle Corti, Diario di sessione del Congresso dei deputati, 13 marzo 1978 n.3O, p.9) costituente la contropartita per la Spagna, di una cessione di sovranità che rimane tuttavia illecita e inefficace.
Fra il Marocco ed il popolo sahrawi si può riscontrare l'esistenza di un vero e proprio stato di belligeranza al quale sono applicabili le regole del diritto della guerra a condizione che la popolazione sahrawi del territorio invaso dalle forze marocchine porti apertamente le armi e rispetti essa stessa le leggi e i costumi di guerra. Tale condizione va verificata all'occorrenza in base alla documentazione sottoposta al Tribunale. Occorre ricordare inoltre che le regole fondamentali delle Convenzioni umanitarie (convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949, art.3), essendo applicabili alle guerre civili e ai conflitti armati non internazionali, si applicano, a maggior ragione, alla legittima lotta del popolo sahrawi per la sua autodeterminazione.
50. La guerra fra il Marocco ed il popolo sahrawi non è solo una comune guerra: è un conflitto armato che oppone ad uno Stato un popolo coloniale che esercita il suo diritto all'autodeterminazione. Ciò impone, come si è visto sopra (n.23-27), regole speciali per gli Stati terzi. Questi hanno il dovere d'aiutare il popolo coloniale ad ottenere effettivamente l'indipendenza da esso, scelta nell'esercizio del suo diritto all'autodeterminazione. Pertanto si deve considerare legittimo l'appoggio dato al Fronte Polisario da parecchi governi, in particolare da quello algerino. Al contrario, bisogna considerare come atti di complicità nel crimine internazionale di attentato al diritto dei popoli a disporre di se stessi, le diverse forme d'aiuto che sono state date al governo marocchino per appoggiarlo nel suo intento di annientare la resistenza del popolo sahrawi. Lo stesso deve dirsi riguardo al materiale da guerra di cui il governo americano ha promesso la fornitura a tale scopo, così come della cooperazione fornita al Marocco dalla Francia, mediante l'invio sul terreno di istruttori e di tecnici militari francesi e di materiale militare.
VII. LEGITTIMITÀ DELLA PROCLAMAZIONE DELLA REPUBBLICA ARABA SAHRAWI DEMOCRATICA
Alla data dell'11 novembre 1979, la Repubblica Araba Democratica Sahrawi era già stata riconosciuta da 34 Stati.
Per questi motivi, il Tribunale decide
1) Che il diritto dei popoli a disporre di se stessi è una norma imperativa del diritto internazionale inscritta in particolare, negli artt.1, par.2, e 55 della Carta delle Nazioni Unite, nell'art.1 par.1 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e nell'art.1 par.1 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, principio applicato al diritto all'autodeterminazione dei popoli coloniali da numerose risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e in particolare dalle risoluzioni 1514 (XV) e 2625 (XXV).
Che la popolazione del territorio del Sahara Occidentale che costituisce il popolo sahrawi ha il diritto di decidere il proprio regime politico in piena libertà e di darsi il sistema economico e sociale da lui stesso scelto conformemente agli artt.5-6 e 11 della Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli.
2) Che, poiché conduce in nome del popolo sahrawi, con il sostegno del medesimo, una giusta lotta per liberare la parte del territorio illegalmente occupata dalle truppe marocchine e per difendere questo territorio dai tentativi di conquista straniera, il Frente para la liberaciòn de Saguia El Hamra y Rio de Oro (Frente Polisario) è l'unico e legittimo rappresentante del popolo sahrawi e che in quanto tale è riconosciuto dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, dalla Conferenza dei Paesi non allineati, dall'Organizzazione dell'Unità Africana e da molti Stati e in particolare dalla Repubblica Islamica di Mauritania.
Che i combattenti del Fronte Polisario devono beneficiare della protezione del diritto umanitario di guerra, così come risulta dalle Convenzioni di Ginevra del 1949, riviste nel 1977.
3) Che, così come già deciso la Corte Internazionale di Giustizia nel parere consultivo del 16 ottobre 1975, i legami che già esistevano prima della colonizzazione tra il territorio del Sahara Occidentale e il Regno del Marocco non sono mai stati legami di sovranità territoriali, né legami di dipendenza con effetto equivalente, e che essi non hanno alcuna incidenza sul diritto attuale all'autodeterminazione del popolo sahrawi; che l'esercizio di questo diritto non può violare, neppure parzialmente, l'unità nazionale o l'integrità territoriale del Marocco; che l'eventuale esercizio di una influenza non potrebbe essere considerato indice di un legame di sovranità.
4) Che, se il diritto di un popolo all'autodeterminazione dovesse entrare in conflitto con legami giuridici e anche, all'occorrenza, con un rapporto di sovranità anteriore alla colonizzazione, allora sarebbe necessario verificare, al momento della decolonizzazione, se la reintegrazione del territorio in uno Stato esistente soddisfi la libera e autentica volontà della maggioranza degli abitanti di questo territorio.
5) Che l'accordo concluso a Madrid il 14 novembre 1975 tra la Spagna, il Marocco e la Mauritania, accordo che, completato da clausole segrete, ha suscitato vivaci e continue proteste nel popolo spagnolo, è nullo e privo di qualunque efficacia, poiché la Spagna, potenza amministrante un territorio in via di decolonizzazione, non avrebbe potuto cedere, né trasferire su questo territorio alcun diritto di sovranità e ciò a maggior ragione, dato che l'accordo vìola una norma imperativa del diritto internazionale (jus cogens).
Che questo accordo, concluso alcune settimane dopo che il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia, sollecitato dal Marocco, ha confermato il diritto di autodeterminazione della popolazione del territorio del Sahara Occidentale sotto il controllo dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, costituisce una violazione dell'obbligo di adempiere in buona fede agli obblighi assunti ai sensi della Carta delle Nazioni Unite (Carta, art.2, par.2).
6) Che l'aggressione compiuta dall'esercito marocchino è un ricorso all'uso della forza proibita dall'art.2 par.4 della Carta delle Nazioni Unite;
Che questa aggressione è tanto più condannabile perché tende a privare un popolo dell'esercizio del proprio diritto all'autodeterminazione, diritto che si è affermato con una lotta legittima e che è stato riconosciuto dagli organi competenti dell'Organizzazione delle Nazioni Unite;
Che essa contraddice le risoluzione dell'Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nonché il parere della Corte Internazionale di Giustizia, che ha riconosciuto al popolo sahrawi il diritto all'autodeterminazione e costituisce perciò un'altra violazione dell'obbligo di adempiere in buona fede agli obblighi assunti in qualità di membro delle Nazioni Unite (Carta, art.2, par.2).
7) Che l'accordo di pace concluso ad Algeri il 5 agosto 1979 tra il Fronte Polisario e la Repubblica Islamica di Mauritania ha messo fine a un conflitto armato conformemente al diritto del popolo sahrawi all'autodeterminazione.
Che l'invasine da parte dell'esercito marocchino di un territorio legittimamente evacuato dalle forze mauritane, oltre a costituire una violazione degli obblighi internazionali citati al punto 6, mira a quelle regioni sulle quali il Marocco, secondo le dichiarazioni rese dinnanzi alla Corte Internazionale di Giustizia e di cui la Corte ha preso atto, non intende rivendicare la sua sovranità al momento della colonizzazione spagnola.
8) Che, nell'esercizio del suo diritto di autodeterminazione, il popolo sahrawi si è costituito in Stato e ha dato a questo Stato la forma della Repubblica Araba Sahrawi Democratica, finora riconosciuta da altri 34 Stati.
9) Che il diritto dei popoli a disporre di se stessi impone agli Stati un duplice obbligo:
- l'astensione da ogni forma di cooperazione militare che miri alla repressione di un movimento di liberazione nazionale;
- il dovere di favorire la decolonizzazione e l'autodeterminazione, fornendo a questo scopo ogni appoggio diplomatico e materiale.
Che questi obblighi conformi all'art.1 par. 2 della Corte sono stati formulati con il consenso unanime degli Stati membri delle Nazioni Unite dalla risoluzione 2625 (XXV) già citata e dalla definizione di aggressione adottata il 14 dicembre 1974 dalla risoluzione 3314 (XXXIX), conformemente all'art.2 par.4 della Carta.
Che di conseguenza, da una parte, l'assistenza militare fornita dal Marocco nella sua aggressione al Sahara Occidentale da alcuni Stati e soprattutto dalla Francia e dagli Stati Uniti, li rende complici di questa aggressione; dall'altra, l'aiuto dato dal Fronte Polisario alla lotta di liberazione è legittimo e conforme ai principi e agli obiettivi della Carta delle Nazioni Unite e necessario al mantenimento della giustizia e delle relazioni amichevoli tra le nazioni, fondato sul rispetto dell'uguaglianza dei diritti dei popoli e del loro diritto a disporre di se stessi.
Bruxelles, 10/11 novembre 1979.
(1)Traduzione ufficiale poco adeguata. Il testo inglese è così redatto: (cfr. p.15.):
"Questa limitazione può esprimersi in una frase: è la popolazione che determina il destino del territorio e non il contrario. In questa prospettiva appare scontato che l'esistenza di legami giuridici antichi, del tipo descritto nel parere, può influenzare alcuni dei metodi previsti per la decolonizzazione, ma non potrebbe che avere un effetto marginale sulle scelte in definitiva offerte agli abitanti. Ciò rafforza d'altronde l'idea che ho già espresso della portata limitata da attribuire alla prima conclusione del paragrafo 162 del parere" (C.I.J. Raccolta 1975, p.122).
Anche il giudice Nagendra Singh ha dichiarato che "i legami giuridici" constatati dalla Corte non erano tali da poter giustificare oggi la reintegrazione o la cessione del territorio senza una consultazione dei suoi abitanti" (C.I.J. Raccolta 1975, p.79). E più avanti continua: "Secondo me la consultazione degli abitanti del territorio in fase di decolonizzazione è un imperativo assoluto, sia che il metodo seguito per la decolonizzazione sia l'integrazione oppure l'associazione o l'indipendenza" (ibid., p.81).